Gallese classe 1988, due anni or sono Kelly Lee Owens realizzò un mezzo miracolo discografico. Unendo la carica estatica del dream-pop ai beat possenti e impietosi della techno moderna, “Inner Song” era ed è un disco capace di astrarre l’ascoltatore dalla quotidianità e trasportarlo rapinosamente in un rave oltre le nuvole. A stupire non fu soltanto la rifulgente bellezza dei brani, ma anche la cura maniacale del sound, sia nei momenti più pop, talvolta vere e proprie canzoni, che in quelli dove a farla da padrone era la cosiddetta cassa dritta. L’importante featuring con John Cale, intitolato “Corner Of My Sky”, rifletteva poi la vocazione avanguardista e astrattista della giovane produttrice.
È proprio da questa propensione che nasce “Lp.8”, il terzo disco di Kelly Lee Owens. Tolte le due tracce che lo aprono con i loro beat possenti, ma comunque ovattati rispetto a quelli del Lp precedente, e al glitch scuola Alva Noto della conclusiva “Sonic 8”, il disco osserva il suono della dj disfarsi in un universo ambient gassoso.
Le varie “Anadlu”, “S.O (2)” e “Olga” fluttuano in una dimensione aeriforme dove Kelly può far librare i suoi sospiri e quello che rimane delle sue trame elettroniche. “Nana Piano” sceglie la via del pianoforte per ipnotizzare con il suo andamento minimalista; mentre “One”, con la sua suadente linea di canto di ispirazione scandinava poggiata su delicati cortocircuiti intermittenti, è la perla di questa collezione di canzoni.
Le ambizioni mostrate dalla Owens con questa terza prova sono vaste, così come lo è la sfacciataggine sfoderata tradendo i tanti che si aspettavano un “Inner Song” 2. Seppur ben prodotto e formalmente impeccabile, in molti dei suoi frangenti il disco pare mancare della profondità necessaria alla ambient per ammaliare e farsi intrigante, mentre dà il suo meglio proprio quando graffia o si concede al pop – le succitate “One” e “Sonic 8”.
02/05/2022