We're spitting off the edge of the world
Out in the night
Never had no chance
Nowhere to hide
Segnato da un argomento caldo come il cambiamento climatico, la conseguente crisi, e soprattutto quale pianeta (e quali problemi) si ritroveranno per le mani le generazioni future, "Cool It Down", quinto lavoro degli
Yeah Yeah Yeahs, arriva dopo nove lunghi anni di attesa. L'album deve il suo nome a una traccia omonima contenuta in "Loaded" dei
Velvet Underground, nella quale il protagonista è alla ricerca di una prostituta, ponendo in evidenza un parallelismo con il trattamento che stiamo riservando alla Terra. Prendiamo ciò che vogliamo a piacimento, non le non diamo tregua e non ci curiamo minimamente dei suoi tempi naturali: si pensi solo al cosiddetto "Earth Overshoot Day", data nella quale vengono dichiarate esaurite le risorse naturali messe a disposizione dal pianeta costringendoci all'utilizzo delle scorte accantonate per le prossime generazioni, e che ogni anno si presenta con maggior anticipo.
Con la band di
Lou Reed, Karen O e soci hanno in comune lo sguardo puntato verso le avanguardie punk-rock (almeno nelle intenzioni, risultando attualmente più orientati all'alt-dance), il fermento e le tante sfaccettature della Grande Mela, e la natura di un progetto "trashy, punky, grimy" quanto basta.
L'ottimo inizio di percorso è dominato dal pezzo forte "Spitting Off The Edge Of The World", una "
Blue Jeans" grintosa e oscura, condita da synth suadenti e atmosfere dense, al confine tra
dream-pop e
shoegaze, nella quale la voce di Karen O si intreccia a quella di Mike Hadreas, alias
Perfume Genius, e si consuma uno scontro generazionale tra giovani e grandi, colpevoli di aver preso decisioni sbagliate e segnato il destino dei loro eredi e della Terra. Proseguono su una linea affine con derive
space i sintetizzatori della sensuale e languida "Lovebomb", assumendo un taglio epico e orchestrale con gli archi del ritornello di "Wolf", caratterizzata da una rielaborazione di ritmi dance e rock elettronico provenienti dagli
Eighties.
"Fleez" punta tutto sulla sezione ritmica e interpola la nota "Moody" del progetto avant-funk ESG, nominato inoltre nelle liriche, innescando un gioco di parole, in quanto acronimo dei criteri "Environmental, Social and Governance", rating di sostenibilità per una miglior gestione delle risorse umane. La seconda metà dell'opera viene inaugurata dal piano jazz di "Burning", dove a far da padrona è la Urban Soul Orchestra, con un incedere che rimanda alla passata "
Sacrilege", cui seguono la minimale "Blacktop" e l'ulteriore contributo orchestrale di "Different Today".
Il viaggio si conclude con lo
spoken word di "Mars", incentrato sul sogno di un pianeta alternativo da popolare, utopia fantascientifica che nell'immaginario collettivo prende solitamente corpo pensando a Marte, destinata a rimanere tale, perché come ben sappiamo
there is no planet B.
Ritorno equilibrato e mordi e fuggi, poiché della durata di poco più di mezz'ora, "Cool It Down" riduce al minimo riempitivi e ripetitività, e pur non inventando nulla, rilancia al meglio il gruppo con una serie di spunti interessanti. L'ennesima prova di come non sia necessario rimanere costantemente sulle scene sfornando singoli vacui o Lp chilometrici a ripetizione, poiché spesso un'accurata scelta di contenuti può fare la differenza.
03/10/2022