Se, con l’avvento del nuovo secolo, le tentacolari evoluzioni del black metal hanno compiuto dei passi da gigante, il merito è stato anche dei norvegesi Dødheimsgard (chiamati comunemente DHG). Il gruppo di Oslo, già a partire dall’Ep “Satanic Art” ma soprattutto con le ardite sperimentazioni di “666 International” (1999), è infatti da considerare tra i protagonisti di una stagione in cui avanguardia e sonorità estreme cominciavano a spingersi verso l’ignoto (e oltre).
“Black Medium Current”, sesto lavoro per Yusaf “Vicotnik” Parvez e soci, si è fatto attendere ben otto anni: ancora una volta, possiamo accostare la musica dei DHG a un viaggio esistenziale all’interno del nostro cosmo interiore. Lo sguardo è rivolto alle stelle, ma il pensiero va inesorabilmente a sbattere contro la fragilità dell’animo umano.
La partenza è affidata a “Et Smelter”, dieci minuti di pura intensità cerebrale che si esauriscono con un epilogo di stampo progressive, un affondo quasi sulla scia dell’intricato surrealismo dei Ved Buens Ende (progetto dello stesso Vicotnik, ad oggi rimasto fermo a “Written In Waters” del 1995). Tuttavia, i DHG offrono il meglio del loro repertorio nelle successive composizioni, a cominciare dalla doppietta costituita da “Tankespinnerens Smerte” e “Interstellar Nexus”, due brani che incarnano la perfetta simbiosi tra metal estremo e improvvise sterzate atmosferiche, queste ultime spesso impreziosite dalle clean vocals e da un mood velatamente straniante (nei testi si respira un’angoscia latente: “In front of this door that opens no more, you can reflect but you cannot alter, now merge the remembrance when you sleep, you enter the void of what you seek”, recita il refrain di “Interstellar Nexus”).
Questo monolite (settanta minuti di durata) non solo necessita di svariati ascolti, ma si può apprezzare maggiormente se incastonato a dovere nel percorso artistico degli scandinavi, come se fosse un nuovo capitolo di un libro ancora da sfogliare. Sono pagine nere, quelle dei Dødheimsgard, come nel caso della strumentale “Voyager” o della superlativa “Abyss Perihelion Transit” (scelta come primo singolo), pagine che possono anche trasformarsi in una minaccia imminente (il crescendo teatrale di “Halow” finisce per schiantarsi nel tenebroso incedere di “Det Tomme Kalde Mørke”).
Diventa dunque riduttivo collocare “Black Medium Current” nelle viscere più bollenti del metal estremo, perché ormai da tempo la proposta dei DHG si annida nel cuore di un paesaggio misterioso che sembra celarsi nella faccia nascosta della Luna. Il nostro inconscio, probabilmente.
19/04/2023