Preannunciato dalla breve intro di “The Love Divine”, il capolavoro “Aphelion Void” apre con una scudisciata in tremolo, procedendo, quindi, con un flusso rapsodico di idee e lasciandosi carezzare da volute di sax che contribuiscono a disegnare scenari gelidi che la schizofrenica voce di Aldrahn perfeziona con le sue spigolose peripezie. Squarci pensosi si alternano a cadenze marziali e torride progressioni post-punk, in un continuum di toni, strutture ritmiche, accenti, timbri e via discorrendo. Insomma, musica progressiva nella migliore accezione possibile, in cui non solo gli umori si fondono, ma diversi generi (jazz, fusion, metal, folk, psichedelia etc.) entrano in rotta di collisione, dando vita a pannelli sonori in cui le singole sezioni rappresentano le diverse tappe di una odissea tutta interiore.
Percorsi più meditativi segue, invece, "God Protocol Axiom", strutturata intorno a reiterati arpeggi di chitarra che si diramano ora in dilatazioni ambient, ora in cori metafisici (questi ultimi li ritroveremo anche in “The Unlocking”, brano che, lanciato da una poderosa intro dissonante, ingurgita anche musica da camera, trasformandola in una grottesca visione di morte che richiama l’approccio non convenzionale degli Arcturus). Alle centrifughe black è riservato, al massimo, il compito di rovesciare con più forza gli scenari, catapultando gli strumenti attraverso orizzonti in cui velocità, precisione e un pizzico di follia s’inseguono come i riflessi più nevrotici delle liriche, fino a quella fuga che, in coda, fa perdere qualche colpo al cuore, rincorrendo magniloquenze Pink Floyd con il tormento dipinto sul volto: “Tomorrow we all bleed, we all fall.../ And admire.../ We all approach, the unforgiving fire/ We believe.../ (That) the ruler of the realm revealed/ Our warm adulation.../ In coming before his voice.../ ...To tremble...”.
La fiera delle invenzioni prosegue nelle trame sempre più post- di “Architect Of Darkness”, con linee di pianoforte che sfociano in un maestoso corale sinfonico e rivoli dissonanti contrappuntati da miraggi sintetici in epico decorso. L’attacco di “Blue Moon Duel” verrebbe da definirlo “catchy”, se non fosse che il tutto si riduce a pochi secondi e che, dietro l’angolo, ci aspettano altri quattordici minuti di labirintiche evoluzioni, tra tempeste sinfoniche, deliqui interrogativi con trombe bibliche e declamazioni desolate, sghembi corali e violentissime raffiche di adrenalina.
Avventuroso e creativo, prodotto dallo stesso Yusaf Parvez con cura maniacale, “A Umbra Omega” è, fino a questo momento, il disco più maturo dell’esperienza Dødheimsgard e uno dei lavori con cui a fine anno bisognerà fare i conti.
(25/08/2015)