Tra i tanti figli degeneri del punk, David Ian Jackson, per gli amici Joe, è quello che ha seguito il percorso più accidentato e sorprendente. La sua intera carriera è un'accelerazione in slalom tra i paletti dei generi, senza esclusioni di sorta. Da rabbioso working class hero a elegante crooner da night-club, dal reggae-dub al soul-blues, la goffa aggressività del rocker mancato al servizio di un forbito eclettismo da compositore maturo, spesso rapito dai richiami del jazz e della classica. In questo spiazzante esercizio di arte onnivora, mancava all'appello, però, un disco interamente dedicato al music-hall, genere al quale ha spesso ammiccato il pop inglese, dai Beatles ai Kinks. Lacuna prontamente colmata con "Mr. Joe Jackson Presents: Max Champion In 'What A Racket!'", una raccolta di canzoncine umoristiche e sentimentali per voce e orchestra apparentemente scritte dal misterioso personaggio del titolo. Un omaggio ironico e divertito - da parte dell'arguto The Man - alla "prima forma di intrattenimento di massa creata dalle classi lavoratrici" le cui origini vanno individuate "nei pub e nelle strade della Londra di metà 19° secolo". E così, con la sua consueta verve sardonica, colui che si improvvisò gangster Spiv e turista musicale tra le luci della notte newyorkese, si sceglie un nuovo, beffardo alter ego per prendersi gioco di fan e critici, ma soprattutto per mettersi alla prova con un'altra sfida artistica, schivando per l'ennesima volta le leggi dei discografici e dei grandi numeri.
Per il ventunesimo Lp della sua preziosa collezione, Joe Jackson presenta una piccola orchestra di 12 elementi che esegue 11 brani, tutti accreditati all'enigmatico Mr. Champion, che - stando alle sue parole - sarebbe nato nel 1882 nell'East End di Londra e avrebbe intrapreso una carriera di musicista bruscamente interrotta dalla Prima Guerra Mondiale, fino a cadere nell'oblio e tornare quindi a emergere, a partire dal 2014, quando i suoi spartiti sono stati riportati alla luce. "È come se Max ci parlasse direttamente dalla sua Londra del Ventesimo secolo, comunicando con noi all'inizio del Ventunesimo", afferma il compositore inglese presentando un disco in cui gioca a camuffarsi finanche nel booklet, celandosi dietro il nome Prof. B. Waldorf, D.Mus, F.R.A.M. al pianoforte, mentre la voce baritonale attribuita a Mr. Champion potrebbe essere quella di Jackson rielaborata con tecniche moderne.
Un salto nel tempo, dunque. Ed è difficile non immedesimarsi nelle atmosfere d'epoca fin dall'overture di "Why Why Why", riflessione sulla futilità della vita condita da un'orchestrazione eccitata e alticcia da far invidia al miglior Tom Waits, così come del resto la sarabanda festosa della title track. Sembra davvero di ritrovarsi per un attimo tra le poltroncine rosse di qualche teatro dei primi del Novecento, dove prostitute e aristocratici si mescolavano per cantare insieme con le superstar dell'epoca. Episodi come "The Sporting Life" - comica parabola sull'indolenza verso lo sport - e la non meno arguta "Health & Safety" sono un travolgente mix di energia e marcato British humor.
I brani del music-hall rappresentavano la vita quotidiana dell'epoca vittoriana con risvolti satirici, ma toccavano anche temi cupi, come i crimini di strada. Molti erano caratterizzati da contenuti sessuali velati, trattati con doppi sensi, metafore e giochi di parole. Ecco allora la pantomima voyeuristica di "The Shades Of Night", in cui il protagonista si aggira per la città osservando scene di vita intima attraverso le finestre, e l'ambigua "The Bishop And The Actress", che esplora relazioni tra mondi apparentemente opposti, mentre dietro la struggente ballata trapuntata d'archi di "Dear Old Mum" si nasconde un testo feroce che narra di come "Mum" avesse 10 figli, "tutti felici e puliti" finché non hanno iniziato a morire uno alla volta mentre Mum beveva gin e faceva i giochetti.
È un disco difficile da giudicare, "Mr. Joe Jackson Presents: Max Champion In 'What A Racket!'". A metà tra forbito scavo musicologico e divertissement, tra recita e allegoria satirica, vibra soprattutto dell'inesauribile vitalità di Jackson, tra coinvolgenti performance al pianoforte, vocalizzi surrealmente enfatici nello stile d'epoca e cori da pub imbevuti d'alcol. È un'operazione ambiziosa e allo stesso tempo senza pretese, se non quella di schernire i moralisti - dell'epoca ma anche di oggi - che hanno sempre snobbato il music-hall considerandolo un genere "non rispettabile". Di sicuro testimonia l'intatto stato di forma del sessantanovenne compositore inglese. E anche se il sospetto della burla e della manipolazione a tratti aleggia sui solchi delle undici tracce, alla fine Mr. Champion/Jackson ci strappa l'ennesimo sorriso compiaciuto, quello di chi non può proprio fare a meno della sua musica.
21/09/2024