Oriental metal: il buon Edward Said avrebbe senz'altro di che mugugnare, ma qui più che di etnocentrismo "nostro" si tratta di spirito d'appartenenza "loro". Sì, perché le band ascrivibili alla categoria non solo provengono da latitudini levantine, ma rivendicano con orgoglio le proprie tradizioni musicali, ibridandole con l'urlo dilaniato del black metal. Non sempre o non solo black, a dire il vero, ma il vento scandinavo si presta indubbiamente bene, data la comprovata capacità di attecchire sui più coriacei terreni folklorici.
Germogliato in Israele a inizio 90 grazie a band seminali come gli Orphaned Land e i Salem (no, non quei Salem), il metal "alla orientale" si è presto diffuso anche in paesi di lingua e cultura araba, specie di area maghrebina (i marocchini Lazywall, i tunisini Myrath, gli algerini Andaz Uzzal, l'egiziana Cherine Amr e i suoi Massive Scar Era, tanto per citarne alcuni). Il caso più clamoroso, però, non possono che essere i sauditi Al-Namrood: al contrario dei sopraccitati, difatti, provengono da un paese che non contempla fenomeni resistenziali o underground noti. Un paese in cui la musica è vietata a prescindere, figuriamoci quella estrema, nonché blasfema (il loro nome è un'arabizzazione di Nimrod, il leggendario tiranno babilonese che dichiarò guerra a Dio).
Trincerati per ovvie ragioni dietro un impenetrabile anonimato, dal 2008 i tre (?) hanno forgiato ben otto album, oltre a due Ep, due split e addirittura tre videoclip: cifre eroiche, considerato il contesto. E in occasione del quindicennale, perché non concedersene un altro ancora? Ecco allora "Al Alqrab", che ribadisce la felice alchimia infernale: screaming e melismi, tremolo picking e oud, tenebre e granelli di sabbia, all'insegna di un'epica rovente che ben commenterebbe un remake horror di "Lawrence d'Arabia".
Testi al solito in arabo, ma mi dicono dalla regia che gli affondi anti-islamici si sprecano. Sia come sia, dalle trombe del giudizio di "Ardh Bela Sama" al miraggio arcade di "Taht Al Jeld", fino alla cavalcata nel deserto di "Al Jurm Al Madfoon", il tessuto strumentale sa bastare a se stesso. Produce l'impavida Shaytan, ambasciata canadese per esuli metallici da EAU, Bahrain, Kirghizistan e analoghe oasi felici. Mastering a cura di "uno studio europeo che preferisce rimanere anonimo", tanto per non confinare le rappresaglie tra Mar Rosso e Golfo Persico.
01/12/2024