Que eu creia na reza da voz que me canta
Nem que seja pra discordar
Não sem razão
Ovvero "possa io credere nella preghiera della voce che mi canta, anche se è per non essere d'accordo, non senza motivo". Pregare per vivere, cantare, gioire della vita. Una prece che si fa musica, orchestra e ode in undici movimenti che legano minimalismo, bucolica, essenza. Che Luiza Brina potesse finalmente ampliare il proprio sguardo era quantomeno prevedibile, al netto di un'uscita tutt'altro che epica e non ancora a fuoco come "Tenho saudade mas já passou".
La cantautrice e polistrumentista di Belo Horizonte, già all'attivo tra percussioni,
cavaco e altre cento cose con i sottovalutati Graveola e o Lixo Polifônico, ha finalmente inquadrato il proprio sentiero. E per farlo ha ben deciso di farsi accompagnare da un trio di voci formato da Sérgio Pererê, Maurício Tizumba e Rainha Isabel Casimira e da un'orchestra composta da Karina Neves (flauto e ottavino), Aline Gonçalves (clarinetto e flauto), Rosana Guedes (oboe), Catherine Carignan (fagotto), Alma Maria (corno), Ana Cecilia (tromba), Natália Porto Coimbra (eufonio e trombone) e Natália Mitre (percussioni), a cui si aggiunge una serie nutrita di strumentisti chiamati a turno nei brani a seconda degli ospiti.
L'apporto di coro e orchestra è per fortuna "chirurgico", mai invadente. Gli ottoni infatti entrano sempre in punta di piedi, insomma non invadono mai il campo, o meglio la prateria di melodie chamber folk curata dalla Brina, che canta, rallegra, ravviva tutt'intorno, invocando desideri all'alba di un nuovo giorno, per un pensiero che fa il pari con un sentimento di necessità ("Per vivere insieme, devi poter vivere da solo", intona il coro in "Oração 18 (pra viver junto)"), quasi a scrollarsi di dosso un passato inesorabilmente pedante.
E, in effetti, lo scatto in copertina di Thiago Modesto inscena un feto maturo adagiato sulla madre terra mentre accarezza quelle che dovrebbero essere stelle cadute dal cielo. Un'immagine potente per quanto "ingenua", che però ben esplica le sensazioni agitate nelle undici
oraçãos di "Prece". A cominciare dalle percussioni di "Oração 2", ballata orchestrale cantata con Silvana Estrada che apre le danze e lascia ben intendere il nuovo percorso di Luiza Brina.
Tenho meu cantar
E a minha fé
No meu sangue
Angola
E Guiné
Tra ottoni in festa e saliscendi più o meno epici, non mancano momenti più pastorali come "Oração 17", anche se emerge più che in altre tracce una vocazione nelle parole al mistico e all'oscurità ("A cosa serve esistere?"). Si potrebbe citare un'altra bravissima cantautrice per certi versi fedele a formule di questo tipo come la catalana
Sílvia Pérez Cruz, soprattutto quando salgono in cattedra episodi come "Oração 16 (dios/adiós)", stavolta in duetto con l'argentina Lucia Rodríguez, in arte LvRod, nonostante la presenza più massiva delle pelli in appoggio al canto immacolato della Brina che ricorda ancora una volta quanto Dio sia in realtà presente in tutte le cose, prima di chiudere le porte del suo giardino con la mistica "Oração 10 (oração ao porto)" con un'ode al silenzio potentissimo dell'acqua, per l'ultima meravigliosa prece cantata sulla banchina di un porto immaginario e in un disco decisamente riuscito.
24/10/2024