Ha ancora molto da raccontare, Camae Ayewa, autentica e fondamentale voce dei nostri tempi. L'artista nota con il moniker di Moor Mother, nonché parte del gruppo Irreversible Entanglements, prosegue nel difficile percorso di elevare le coscienze attraverso una serie di progetti diversi che nel loro insieme assumono quasi i connotati di un'enciclopedia delle nefandezze umane.
Questa volta è lo schiavismo l'interrogativo scomodo di "The Great Ballout". Dopo l'atto d'amore per la musica di "Jazz Codes", lo sguardo profondo di Moor Mother si concentra sulle colpe del colonialismo inglese, sulle sopraffazioni e sulle atrocità che hanno lasciato una lunga linea di dolore e sangue, senza tacere di luoghi e date, di strategie e leggi che, nel riconoscimento parziale e giuridico delle sofferenze patite dagli schiavi, hanno offerto altresì al colonialisti inglesi una via di fuga dalle proprie responsabilità.
Il primo atto è "Guilty", dieci minuti di spoken word/jazz-blues nella miglior tradizione di Gil Scott-Heron, con Lonnie Holley a reggerne il greve peso emotivo e Raia Was a stemperarne la sofferenza con oniriche trame vocali che ne esaltano la spiritualità, con uno sguardo teso al futuro che rimanda alla mitologia cosmic/black di Sun Ra. In questa linea space-jazz le oscure e infette suggestioni electronic-blues di "All The Money" sono un originale prototipo di musica apocalittica, tra citazioni operistiche e intrecci di voci narranti che sembrano appartenere a un caotico mercato di corpi e anime.
"God Save The Queen", intonata su scampoli di jazz e hip-hop, suona quasi come un monito ironico e sarcastico, che concede poi spazio alla riflessione più cruda e tagliente dell'album, "Compensated Emancipation" (con al fianco le tribolazioni noise di C. Spencer Yeh), un'escursione a base di spoken-word, drone-music e canti gospel ricca di disperazione e rabbia.
La musica diventa pian piano sempre più opprimente, sconcertante, l'elettronica graffia gli ultimi residui armonici e il recitato diventa unico linguaggio ("Death By Longitude"), inseguendo nuove forme noise ("My Souls Been Anchored"), fino a confondere il canto umano con l'ululato di un lupo ("Liverpool Wins") per una catarsi che i nove minuti esatti di "South Sea" (con al clarinetto Angel Bat Dawid) provano a seppellire sotto una coltre di sonorità sperimentali e free-jazz che fungono da concime per una nuova consapevolezza sociale e politica che riscatti secoli di crudeltà.
A questo punto cercare confronti con il precedente "Jazz Codes" può risultare fuorviante: il progetto Moor Mother è svincolato da logiche produttive e "The Great Bailout" è un disco che agita jazz e blues con una poetica inquietante e sofferta. Un momento di riflessione su eventi storici che hanno segnato il nostro tempo, con la musica che diventa il mezzo per comunicare e renderci coscienti, anche a rischio di apparire ostica e disturbante.
Il selvaggio insieme di rap, spoken word, jazz, post-blues, industrial e noise di Camae Ayewa è non solo una delle forme d'arte più interessanti dei nostri tempi, concettualmente scomoda e coraggiosa, ma è soprattutto una musica meravigliosa.
PS: E' stata pubblicata di recente una versione deluxe con tre brani remixati.
24/09/2024