Le vie del Signore sono infinite e per Annie Caldwell anche misteriosamente intrecciate con il destino della musica. Da oltre quarant’anni, Annie è il cuore pulsante di un gruppo gospel familiare che risuona nei dintorni del Mississippi. Con il marito Joe alla chitarra, i quattro figli e la figlioccia a dividersi tra cori e strumenti, la loro musica si sprigiona ogni fine settimana, quando il lavoro quotidiano lascia spazio alla fede e al ritmo.
Ma la storia di Annie affonda le radici ancora più lontano. Prima di sposare Joe, aveva fatto parte degli Staples Jr. Singers, un gruppo che nel 1974 incise un album destinato a perdersi nel tempo. Poi, il destino ha tessuto la sua trama: quel disco dimenticato è riemerso grazie a Greg Belson, un dj e collezionista che, nel 2019, ha inserito una traccia dell’album in una delle sue compilation. La musica ha fatto il suo cammino, arrivando fino a David Byrne, che ha contattato Annie, scoprendo che non aveva mai smesso di cantare.
Da quel ritrovamento è nata l’idea di un nuovo album che raccogliesse il meglio della produzione della band familiare riadattandolo e riarrangiandolo.
Il disco, “Can’t Lose My (Soul)”, è stato registrato a West Point, proprio accanto alla casa di Annie e Joe, nel retro di una chiesa trasformato per l’occasione in uno studio di registrazione mobile.
La canzone di apertura “Wrong” è anche quella scelta per trainare l’album. Esuberante e allegra, con un tema sull’infedeltà coniugale e le tentazioni di Satana, ci trascina con un ritornello immediato e coinvolgente che si innesta su un arrangiamento ritmico solido. Si passa poi alla title track, canzone dalla durata imponente di oltre dieci minuti, che si sviluppa secondo una costruzione tipicamente soul. Qui, l’alternanza vocale tra madre e figlie è gestita con attenzione ai dettagli, creando una dinamica che varia tra sezioni compatte e momenti più rarefatti.
“I Made It” introduce una variazione stilistica con un’impronta funk ispirata agli anni 70. Il brano si distingue per il suo carattere accessibile e per la capacità di mantenere un’energia costante, fino a un finale in cui il basso si prende la scena con una linea fluida e avvolgente, dimostrando una padronanza tecnica di alto livello.
Nel lato B, l’album rallenta il passo, ma acquista spessore. Le composizioni si muovono su un soul più denso e radicato nella tradizione del Sud, con arrangiamenti meno strutturati e un margine di improvvisazione che conferisce un senso di spontaneità e autenticità. La conclusiva “Dear Lord” è un ultimo slancio funk rivolto direttamente al Signore. Qui, l’energia si riaccende progressivamente trascinando l’ascoltatore in un finale che suona come un ritorno alla luce.
Se questo disco non può essere definito un capolavoro, allora è difficile immaginare quale altro termine possa rendergli giustizia.
29/03/2025