Il termine field-recordings fa riferimento alle registrazioni sonore effettuate in ambienti reali, urbani o naturali. Il soundscape naturalistico, noto anche come nature-recordings, non è solo un atto di documentazione della fauna e della flora di terre remote e inesplorate, ma anche un'opera di conservazione: un archivio sonoro che preserva frammenti di un mondo destinato, forse, a dissolversi. Spesso, i field-recordists si addentrano in ecosistemi sconosciuti per immortalare voci di creature al margine dell'estinzione, in un gesto che coniuga rigore scientifico e l'urgenza di una testimonianza, un monito implicito contro l'inarrestabile avanzata dell'era che alcuni, non senza polemiche, hanno iniziato a chiamare antropocene.
Marco Shuttle, classe 1975, è da tempo una presenza imprescindibile nell'underground club, con una carriera quasi ventennale che lo ha visto incidere per etichette di culto come Spazio Disponibile (la creatura di Donato Dozzy, per intenderci), The Bunker New York ed Eerie. Il suo universo sonoro è fatto di equilibri millimetrici, una minimal-techno che rifugge l'euforia edonistica del raving anni Novanta per sposare un'estetica più cerebrale, da alchimista del suono, dove la ricerca e l'analisi si sostituiscono all'estasi della sala.
Questo nuovo capitolo segna tuttavia una frattura: per la prima volta Shuttle si allontana dal battito costante del four-on-the-floor, pur mantenendo quell'inclinazione ambient techno che ha sempre contraddistinto il suo tocco. Il salto nasce dall'incontro con Astral Industries, label londinese che negli ultimi anni ha saputo imporsi come una delle realtà più affascinanti della scena, grazie a un'estetica visiva riconoscibilissima (artwork che evocano visioni psichedeliche tra astrazione pittorica, fantascienza e natura primordiale) e a un catalogo in cui figurano lavori seminali di Deepchord, Sa Pa, Multicast Dynamics e, più recentemente, progetti italiani come Pianeti Sintetici e, appunto, Marco Shuttle.
L'etichetta non pubblica semplici dischi, ma portali sensoriali: ogni uscita è un varco su mondi lisergici, tessiture sonore impregnate di ayahuasca e mescalina, ambientazioni sospese tra il sogno e l'allucinazione. L'opera di Shuttle si inscrive perfettamente in questa poetica: un'immersione nella foresta amazzonica, attraverso field-recordings catturati nella riserva naturale di Tupana Arü Ü. Ma il suo intento non è semplicemente rievocativo; la sua ricerca intreccia il febbrile misticismo del paesaggio selvaggio con architetture sintetiche che sembrano giungere da dimensioni sconosciute. È come se un automa alieno si aggirasse nel labirinto vegetale, decifrando il linguaggio arcano della natura attraverso impulsi elettronici e riverberi cosmici, mentre la foresta stessa gli risponde con fruscii arcani, versi gutturali e sciami sonori che si dissolvono nell'eco.
Il risultato è in perfetta sintonia con la filosofia di Astral Industries: due lunghe suite, di ventiquattro e ventidue minuti, che si srotolano come incantesimi ipnotici, sospesi tra minimalismo e vertigine sensoriale. Il primordiale e il post-umano si fondono in un'esperienza che non resta impressa nella memoria, ma che si manifesta come un viaggio immersivo destinato a lasciare il segno, anche quando il suono si dissolve nel silenzio.
28/03/2025