Certamente gli Studio Murena sono divenuti ormai un punto di riferimento per la scena indipendente italiana. Portano avanti un'idea compositiva e di suono stratificata e multiforme, che in Italia fanno solo loro e che ha implicato la difficile sfida di rendere professionale e sostenibile un insieme di sei elementi.
Ma sono giovanissimi, preparati e forti di un saldo legame di amicizia e reciproco rispetto. Non stupisce, quindi, il percorso inarrestabile che li ha portati a questo nuovo album, essendosi lasciati alle spalle la pandemia e i cambi di etichetta e soprattutto avendo macinato una marea di date dal vivo, a dispetto di tutto.
Il nuovo album è un paesaggio di mutamenti, una corsa nel buio squarciata da flash improvvisi e densi di presagi e riflessioni. Il collettivo milanese espande l’identità sonora e semantica di un progetto già ambizioso, ma nello stesso tempo gioca di sottrazione, rendendo più essenziale il linguaggio.
Il disco rappresenta un’evoluzione formale e concettuale rispetto ai loro lavori precedenti, più attenta a una idea "ottimizzata" di suono e strutture. La tracklist – undici brani eterogenei ma coesi – disegna una topografia emotiva e sociale complessa: si passa da un’introspezione lirica radicale a una riflessione collettiva sul disagio contemporaneo. Il lessico dei testi è crudo, chirurgico, viscerale: costruisce immagini fortemente evocative, a tratti disturbanti, ed esprime la rabbia e la disillusione di generazioni alle quali si è promesso futuro e si assicura un presente fatto di lockdown, guerre, global warming, zainetti di sopravvivenza da 72 ore, dazi, turbocapitalismi e discorsi d'odio.
Sul piano sonoro, la fusione tra groove jazzistici, metriche rap serrate e tessiture elettroniche che da sempre caratterizza il suono dei nostri centra l'obiettivo di un equilibrio dinamico fra i singoli apporti strumentali e testuali. Il risultato è un sound riconoscibile, originale, non derivativo, che si avvicina alla forma canzone senza rinunciare alla flessibilità formale tipica del jazz contemporaneo.
Ai sei si aggiungono ospiti d’eccezione: tra gli altri Fabrizio Bosso, Willie Peyote, MezzosSangue, Rodrigo D’Erasmo, Riccardo Sala e l’attrice Valeria Perdonò. E c'è spazio anche per un featuring di mascotte postmoderna, 24kili, alter ego inventato, pitchato e disturbante, che incarna una forma di rap estremo, nichilista, simbolo di un io scisso e sfiduciato. La sua voce deumanizzata diventa canale di una rabbia viscerale, in cui corpo e tecnologia si fondono in modo diremmo futuribile, ma si tratta di contemporaneità.
"Baba Jaga" è una spirale psicotica fra amore e dipendenza, "Nostalgia" interpola jazz, canzone d'autore, poetica dello sketch sonoro e paesaggi urbani. "Tunnel", è un quadro saturo di tensioni, mentre "Tre porte di paura" esplora l’inconscio in chiave teatralizzata e modale.
"Oskar Kokoschka" e "Vai via" sono vere e proprie performance su disco: le rime militanti si sovrappongono a detonazioni free, o a chiaroscuri d'archi in crescendo emozionali molto intensi. "Fuori luogo", con il suo beat secco, lucido dolente, taglia la notte a brandelli e si fa strada verso un possibile domani, che se non è di speranza è almeno di reazione.
La dichiarazione d’indipendenza artistica di "Jazzhighlanders" chiude il disco: un manifesto d’autenticità che rifiuta logiche preconfezionate di immagine e mercato, in nome di una fedeltà radicale al proprio percorso. A queste regole però si può giocare con più persone possibile. "Notturno" è un sentimento del tempo, un diario intimo e un dispositivo critico. Comunque un disco necessario per chi lo ha scritto e per chi lo ascolterà.
13/05/2025