Federico Romagnoli

Cento anni di musica country

Autore: Federico Romagnoli
Titolo: Cento anni di musica country
Editore: Arcana
Pagine: 208
Prezzo: Euro 16,50

 

220countryImmaginate un grattacielo abbandonato in una città di provincia: le stanze vuote, sporche, ingiustamente sepolte dal tempo, da una negligenza che ha toni ridicoli. L’assenza di un compendio totale e totalizzante su ciò che è stato, è ancora e per sempre sarà la musica country ha come primo impatto la parvenza di un palazzone dimenticato a più piani. Cento, per l’esattezza. Come gli anni che ci dividono dal 1922. Mese più, mese meno. Da quel giorno in cui un violinista mezzo sconosciuto dell’Arkansas, Eck Robertson, decise di pubblicare un 78 giri con due strumentali che restano, stando alle ricerche, i primi vagiti di un genere musicale che ha circoscritto non solo territori ma che ha declinato un’epoca, confluendo ovunque. E su cui tanto è stato scritto altrove ma ancora troppo poco in Italia, nazione dove regna purtroppo un’ingiustificabile confusione e gli stereotipi del caso, spesse volte grotteschi, come ad esempio la musichetta di un rodeo inserito in una sceneggiatura a caso di un telefilm degli anni 70, la fanno da padrone. Percezioni spicciole legate perlopiù al cinema o vattelapesca. Connessioni che insomma annebbiano, deviano la portata e l’essenza stessa di un genere ricco, estremamente vasto, diramato.

 

“Cento anni di musica country” (Arcana, 2022) di Federico Romagnoli spolvera su quanto detto e rimette le cose a posto. A cominciare dalle false credenze, dalle dovute precisazioni storiche, dalle radici, dagli scambi culturali, dalle prime incisioni, dalle strategie di Ralph Peer e dalle canzoni di Jimmie Rodgers. Romagnoli analizza l’autenticità del fenomeno. E invita, giustamente, a “diffidare di chi prova a vendere un prodotto artistico come autentico”, perché “alla prova dei fatti non lo sarà mai”. E va anche oltre, scavando negli effetti del capitalismo, come gli sponsor che (sub)entrano a gamba tesa e finanziano fin da subito le radio country negli anni 30.
Sono pagine necessarie, inserite opportunamente in un testo che mira, come ben esplica il titolo, a condensare per bene la musica country nel suo centenario. Menzione speciale, a tal proposito, merita la parte sociologica, che emerge nel capitolo “Il ruolo di Henry Ford e il problema del razzismo”, in cui l’autore sottolinea i conti da fare con alcuni messaggi lanciati all'epoca ma anche gli elementi positivi, come quello di “dare spazio e voce agli ultimi” della scala sociale. Per chi poi vuole orientarsi lungo il fiume prima di affrontare la cascata, c’è una lunga parte introduttiva rivolta alle correnti del country. Si va quindi dal bluegrass al rockabilly all’urban cowboy fino a giungere ai giorni nostri, ossia al bro-country.

Il cuore dell’opera non può tuttavia che essere la parte centrale del libro, in cui Romagnoli identifica e sviscera cento artisti country, elencati in ordine di debutto discografico. Citarne alcuni è d’uopo. Si va da Red Foley a Patsy Montana. E da Pee Wee King a Carl Smith a Patsy Cline, Carl Perkins e Johnny Cash. E ancora Emmylou Harris, K.D. Lang fino a giungere ai coevi Sturgill Simpson, Chris Stapleton e Morgan Wallen. Ad ogni scheda segue una raccolta consigliata. E in ogni piccola monografia ci sono elementi preziosi che dai singoli tratti compositivi passano all’eventuale notorietà. E abbondano anche aneddoti biografici celeri ma utili a delineare un quadro d’insieme. Romagnoli, in quanto profondo divoratore e conoscitore anche di musiche non anglofone, approfondisce suoni e stili individuando connessioni geografiche e potenziali interscambi. Assembla differenze tra gli uni e gli altri, e determina traiettorie a seconda dei casi.

Non mancano poi i “dimenticati”. Viste le proporzioni del country, l’autore ci tiene a specificare l’impossibilità di racchiudere tutto lo scibile del genere, e afferma che “Cento anni di musica country” nasce nel nobile intento di “consigliare gli autori che possano in qualche modo far intuire le forme e lo sviluppo del country”. Alcuni dei nomi mancanti sono dunque menzionati in un capitoletto a parte e a margine di tutto: “Gli esclusi”.
Federico Romagnoli è una delle firme più affidabili, curiose ed espanse della critica musicale italiana. E basta farsi un giro tra i suoi scritti per intuire tanto la geografia quanto l’esclusività della ricerca. In “Cento anni di musica country” emerge la sua capacità di quantificare il peso artistico di un fenomeno, incasellato puntualmente con minuzia, e senza tuttavia bypassare il “lato armonico”, che, ça va sans dire, giganteggia fisiologicamente nell’oggetto del suo esordio in libreria.