Contestazione
Le proteste di Hong Kong rappresentano, insieme alle vicende del popolo curdo, uno degli eventi salienti del 2019. Dopo la rivoluzione degli ombrelli, nel 2014, la città sembrava avere abbassato la testa nei confronti dell’autorità di Pechino, fino a quando, quest’anno, la governatrice Carrie Lam non ha presentato un disegno di legge che avrebbe concesso l’estradizione dei residenti di Hong Kong nella Cina continentale, senza passare per i tribunali della città. Le proteste sono a quel punto esplose furibonde, fino a culminare nell’immensa manifestazione del 16 giugno (due milioni di persone secondo gli organizzatori, 340mila – cifra comunque impressionante – secondo le autorità).
Lam ha quindi ritirato la legge e si è scusata pubblicamente, ma le proteste non sono cessate, sia per contestare gli abusi delle forze dell’ordine in ripetute occasioni, sia a causa di intercettazioni in cui Lam appariva come un burattino in mano al Partito Comunista Cinese. Sono seguiti giorni di guerriglia urbana, con la città a rischio di legge marziale e l’interessamento di tutte le testate giornalistiche del mondo. Gli Stati Uniti hanno emesso tre norme a favore del mantenimento della democrazia a Hong Kong, votate bipartisan da repubblicani e democratici.
Introduzione alla band
I Tat Ming Pair sono Anthony Wong (cantante) e Tats Lau (polistrumentista), attivi dalla metà degli anni Ottanta, quando spopolarono a Hong Kong con una serie di album raffinati in cui mescolavano le melodie tradizionali cinesi con le sonorità dell’art pop e dalla new wave occidentale. Il duo curava perlopiù la musica, commissionando i testi ad autori esterni, dopo aver indicato loro l’argomento da trattare. L’autore più ricorrente durante la prima parte della carriera fu Keith Chan, uomo pienamente inserito nella società dello spettacolo tanto a Hong Kong, quanto nella Cina continentale, e che tuttavia non ha esitato a fornire loro testi sui temi più insidiosi, sempre sul filo del rasoio nei confronti del governo di Pechino, dalla repressione delle proteste degli studenti alla scarsa accettazione della società cinese nei confronti dell’omosessualità (Wong avrebbe poi fatto coming out nel 2012).
Il duo si separò una prima volta nel 1991, con ambo i membri pronti per fruttuose carriere come solisti: Wong diventando uno dei simboli del pop in cantonese, Lau entrando nel mondo del cinema, anche come attore. Nel corso degli anni si sono susseguite numerose reunion, sempre salutate da tour che hanno mandato esaurite in un lampo le arene di Hong Kong.
Nella Cina continentale la fama della band è legata principalmente a un brano del 1987, “石頭記” (“Sek tau gei”/“La storia della pietra”), dopo il quale non sono riusciti a ottenere altri grandi successi, a causa dell’ostilità del governo nei confronti delle loro canzoni politicamente impegnate.
Commemorare è un crimine
L’epopea dei Tat Ming Pair è meritevole di ogni approfondimento possibile, ma in questa occasione ci concentreremo sul loro ultimo singolo.
All’inizio dell’anno il duo contatta Albert Leung, per commissionargli il testo di una nuova canzone. Leung è uno dei più prolifici autori nella storia del cantopop, vincitore del Golden Needle nel 2008. Si tratta del massimo onore tributato dalla città di Hong Kong a coloro che lavorano nel mondo della musica, e nel 2019 è stato vinto proprio dai Tat Ming Pair, come riconoscimento per una carriera prolifica e immacolata, che non ha mai ceduto al compromesso. Durante la cerimonia di premiazione Wong ha tenuto un lungo discorso a favore della democrazia.
Pochi giorni più tardi, il nome della band era scomparso da tutti i servizi di streaming e download della Cina continentale. In passato i Tat Ming Pair erano stati sì osteggiati, ma la loro musica rimaneva disponibile. Da questo gennaio non più, e per il resto della carriera i due dovranno accontentarsi del seguito, pur irriducibile, che vantano nella propria città.
A ogni modo, non si sono minimamente persi d’animo: prova ne sia il brano nato dalla collaborazione con Leung, in sostanza un inno per tutte le proteste che si sono susseguite in Cina dal 1989 a oggi.
Traduzione
Quella che segue è una delle possibili versioni italiane del testo, posto che il cinese letterario di Leung può vantare numerose sfumature interpretative, e non è fattibile renderle tutte in contemporanea nella nostra lingua.
A quei tempi, chiedesti al cielo: "Come puoi permettere che i pensieri vengano distrutti?"
Come se fossero insorti solo per il gusto di avere un seguito.
Non chiedere ora chi abbia il coraggio di commemorare apertamente.
Dirottato dalla realtà, non puoi incolpare il cielo.
Se le luci delle candele sono un crimine, l'oscurità persisterà per decadi.
Se le cicatrici hanno un'anima, il loro volto non è cambiato.
Se commemorare è un crimine, come può la verità rimanere silente?
Se le persone hanno vissuto la storia, la verità verrà fuori.
Se chiedi oggi "Rimpiangi di aver fatto un passo troppo lungo quel giorno?"
Le strade sono dissestate, nessuno ha il coraggio di avventurarcisi.
Se mi chiedi oggi "Perché insisti nel commemorare?"
Dopo che un incendio è stato spento, ci sarà il fumo.
Il celeste sovrano non deve rispondere a niente,
deve solo assicurarsi che le persone dimentichino.
Houtu non conosce il caldo o il freddo, i ricordi non ti seguono nel saṃsāra.
La storia sa solo andare avanti, eppure ci siamo girati e rigirati per trent'anni.
Ora la gioventù è cambiata, non farà domande al cielo.
Se alziamo i nostri ombrelli, di chi è il destino a cui teniamo un funerale?
Così tanti addii nella piazza...
Anche se è la verità, chi continuerà a resistere?
Spero che le voci non spariscano dalla piazza.
Può essere utile decriptare alcune delle simbologie utilizzate da Leung:
- “le luci delle candele” non sono metaforiche: si tratta infatti delle candele che migliaia di persone portano al Victoria Park di Hong Kong ogni anno, nella ricorrenza del massacro di piazza Tienanmen;
- nella Cina continentale è assolutamente vietato ricordare quell’avvenimento, da cui il titolo del brano: “Commemorare è un crimine”. Alcuni coraggiosi tentano di fare comunque riferimento a quei fatti, scrivendo in codice: fra i più utilizzati “8964”, o anche semplicemente “64”, in riferimento alla data (il 4 giugno 1989);
- il celeste sovrano (天皇) è una figura della mitologia cinese, che pare regnò per diciottomila anni, durante le origini dell’umanità. Leung l’ha trasformato in un avatar di Xi Jinping;
- Houtu è la dea della Terra secondo la religione tradizionale cinese;
- il saṃsāra è il ciclo di vita, morte e rinascita di religioni quali buddhismo e induismo. In seguito alla rinascita tutti i ricordi delle vite precedenti vengono cancellati: è quindi chiaro l’utilizzo del termine, che viene messo in parallelo al tentativo di oblio della memoria portato avanti dal governo di Pechino nei confronti di ogni evento storico scomodo;
- “gli ombrelli” sono ovviamente quelli di Hong Kong nelle proteste del 2014.
Il brano è accompagnato da un suggestivo video, allegato all’inizio dell’articolo, che contiene diverse fra le simbologie apparse nel testo: le proteste di Tienanmen (l’uomo davanti al carro armato), le candele, gli ombrelli e la schermata “Error 404”, in riferimento al fatto che certi argomenti, nei motori di ricerca cinesi, non restituiscono alcun risultato.
Appare piuttosto evidente il coraggio che ci è voluto per cantare simili versi. A tutti gli effetti, “Wui jik jau dzoey” è un capolavoro della canzone di protesta e il brano più valoroso prodotto dalla musica popolare nel 2019, a livello mondiale. Perché non c’è rapper di strada o poeta urbano occidentale che tenga, di fronte a chi si espone in un paese oppresso, scendendo in strada in prima fila e scegliendo, fra una comoda carriera e uno slalom fra le insidie di boicottaggi e censure, la seconda opzione.
Musica
Se il testo vale quanto mostrato, la base strumentale, composta da Lau, non è da meno. Epica ballata a metà fra art pop e folktronica, mescola suoni futuristici a fonti antichissime: da un lato battiti programmati, sintetizzatori saturi, jangle di chitarra compressi sullo sfondo; dall’altro solenni colpi di timpano e la suona, incantevole strumento a fiato cinese risalente al terzo secolo, che aveva già segnato uno dei brani più importanti del duo, “天問” (“Tin man” / “Domande celesti”), del 1990.
Su tutto si erge però la splendida voce di Wong, un crooner di prima classe, al contempo delicato e capace di esprimere tutta la sofferenza del suo popolo. Probabilmente la cosa più vicina a David Bowie che la sfera culturale cinese sia stata capace di produrre.
06/01/2025
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