New wave

Le mille anime di una rivoluzione

Introduzione

La new wave è un movimento culturale e musicale estremamente sfaccettato, ricchissimo di spunti, di indicazioni, di tendenze che hanno traghettato la musica rock, attraverso l'imprescindibile terremoto di riassestamento determinato dal punk, dalla ricchezza policroma ma uniforme dell'arcobaleno dei Sixties e dei Seventies al macroscopico caleidoscopio di suoni e di umori odierni.

La new wave non è, quindi, un genere ben preciso e determinato, ma si affolla di mille rivoli (a volte semplici rigagnoli, a volte fiumi impetuosi) che hanno come unico comune denominatore la diretta derivazione dal punk e dalla sua caratteristica fondamentale: la semplificazione sintetica dell'approccio musicale.


La prima metà degli anni 70 è stata segnata dall'esaltante stagione del progressive che però, dopo la forte spinta creativa iniziale, si sta ormai "crogiolando" in arrangiamenti barocchi ed esercizi di pura perizia tecnica, che stanno allontanando sempre più il rock dalla sua spontaneità primordiale.

Il punk, con furia iconoclasta, azzera (più o meno) tutto, rimettendo in discussione l'approccio sociale, culturale e artistico della musica rock: ora bisogna ricostruire sulle nuove basi indicate dalla rivoluzione del '77 e dintorni.

Ma ciò che nel punk è spesso sintesi rozza e approssimativa (anche se oltremodo affascinante), nella new wave diventa approccio stilistico cosciente e motivato: il recupero, l'analisi e l'assemblaggio dei più disparati generi musicali (dal progressive al garage, dal rock'n'roll al soul, dalla psichedelia al rhythm and blues, dall'hard al funky) rielaborati in una sintesi che è cosa nuova rispetto al passato per gusto, sensibilità e prospettiva storica.

Per definire una sorta di cronologia, possiamo inquadrare la new wave in un periodo che va, all'incirca, dal 1977 al 1984: i primi vagiti si intersecano e si sovrappongono all'esplosione del fenomeno punk, gli ultimi respiri coincidono da una parte con la nascita dei R.E.M. e degli Smiths (eccellenti fautori di un ritorno più marcato a certe sonorità pop "guitar-oriented" di matrice Sixties), dall'altra con un sempre più evidente utilizzo di modalità elettroniche nell'incisione e nella registrazione dei dischi, fatto che snaturerà la spontaneità della new wave e fornirà un suono un po' "di plastica" a tanta produzione anche dignitosa. Ma lo spirito della new wave aleggerà anche nei decenni successivi, influenzando una miriade di nuovi stili e tendenze (basti pensare al recente exploit degli Interpol).


Essendo la new wave un movimento notevolmente poliedrico, per comodità di approccio e di comprensione lo abbiamo suddiviso in tre grandi aree (da non intendersi assolutamente come tre compartimenti stagni): il post-punk, il dark e l'elettronica.


1. Il post-punk

Prima di intraprendere questo viaggio musicale, non possiamo non citare le intuizioni di coloro che (tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) hanno aperto la strada al punk e alle sue immediate derivazioni: i primi due album dei Velvet Underground, i primi due degli Stooges di Iggy Pop e i devastanti esordi degli MC5 e dei New York Dolls.

Reso omaggio anche agli Heartbreakers, a Richard Hell, ai Ramones, ai Clash e ai Sex Pistols (i cui rispettivi primi album, tutti del '77, sono pietre miliari del punk comunemente inteso), dobbiamo però ribadire come il punk sia un fenomeno che, per sua stessa natura (elementarità dell'approccio stilistico e delle capacità tecnico-compositive), tende ad evolversi verso strutture più complesse o comunque in commistione con meccanismi compositivi e tensioni espressive diverse e più articolate.


La terminologia "post punk" è volutamente generica in quanto, in essa, rientrano espressività che, pur riconducibili alla rivoluzione punk, si evolvono secondo linee le più diverse e frammentate.

Subito dopo l'esplosione "ribelle" del biennio '76-'77, molte di quelle formazioni intraprendono una strada che le sganci da certa monotonia espressiva del punk, per elaborare nuovi percorsi (espressi sia nell'assemblaggio non sempre ortodosso dei generi musicali "base", sia nel netto recupero della "forma canzone"), pur nel rispetto di quelle coordinate stilistiche.


Madrina della new wave è colei che diventerà in breve tempo la più nota "poetessa" del rock: Patti Smith, nervosa e febbrile cantautrice originaria di Chicago, ma attiva nel circuito underground di New York. E' proprio al suo primo 45 giri, "Hey Joe/ Piss Factory", che viene assegnato il ruolo storico di apripista della nuova scena musicale statunitense che evolverà nella new wave.


Memori della stupefacente lezione lirica e sonora dei primi due album di Patti Smith - "Horses" (1975) e "Radio Ethiopia" (1976), entrambi in bilico tra i Velvet Underground e Leonard Cohen - due formazioni di New York gettano le basi di questa nouvelle vague d'oltre Oceano. Si tratta dei Talking Heads e dei Television, che esordiscono con due ottimi dischi proprio nel '77 (l'album delle "teste parlanti" ha come titolo proprio l'anno di uscita).


Nei primi, la velocità punk degli inizi (ricordiamo la frenetica "Psycho killer") si fonde subito con ritmiche funky, chitarrismo sperimentale e misurato utilizzo dell'elettronica: il tutto sfocia in uno strepitoso crescendo con gli album "More songs about buildings and food" (78), "Fear of music" (79) e "Remain in light" (80). In quest'ultimo, David Byrne e compagni (con l'aiuto determinante di Brian Eno) danno sfogo a una creatività senza precedenti, producendo un disco epocale, "avanti" di almeno 15 anni rispetto alle sonorità del periodo, con la sua miscela di dinamiche funky, ritmi sghembi e vocalizzi stranianti. Una formula che nel corso degli anni sarà approfondita soprattutto dal leader della band, David Byrne, in un'ottica etnico-percussiva, perdendo per strada, tuttavia, buona parte del suo originario appeal. Dai Talking Heads origineranno anche i Tom Tom Club, nel segno di una funky-dance sublimata nel singolo "Wordy Rappinghood".


I Television di Tom Verlaine incidono invece "Marquee Moon", un capolavoro di chitarrismo sixties irruente e delicato allo stesso tempo che conferma, con le eccellenti capacità tecniche del leader, come il post-punk vada prendendo pian piano le distanze dalla rozza superficialità del primo punk. Segue l'anno successivo un altro bel disco, "Adventure", sostanzialmente sulle tracce del precedente. Elucubrati, trasognati e ipnotici, i brani dei Television rappresentano probabilmente il vertice artistico di questo nuovo avamposto rock d'oltre Oceano.


Il tempio della new wave è un locale di New York, il CBGB's (tradizionalmente noto per l'attenzione verso generi quali Country, Bluegrass e Blues, da qui l'acronimo). Qui si esibiscono anche i Blondie dell'incantevole Debbie Harry, che sfornano hit da ko immediato, come "Heart Of Glass" e "Call Me", dando vita al cosiddetto "disco-punk". A lanciarli nell'olimpo del rock è soprattutto l'album "Parallel Lines" (1978). Sempre sul versante pop, ma con intenti più sperimentali, i bostoniani Cars di Ric Ocasek, la cui formula, ispirata a un'elettronica intelligente e a un raffinato equilibrio tra esuberanza pop-rock e romanticismo, culminerà nel grande successo mondiale di "Heartbeat City" (1984.)


Tra i pionieri americani della new wave vanno ricordati i Pere Ubu, band di Cleveland (Ohio) dedita a opere ostiche e fascinose, improntate a un art-rock in bilico tra Captain Beefheart e i Velvet Underground. Il loro capolavoro "The Modern Dance" (1978) è una sorta di piece apocalittica sulla società post-industriale, che si snoda nervosamente tra ritmi isterici, rumorismo, deturpazioni armoniche e vocalizzi allucinati (opera del cantante David Thomas).

Ma è soprattutto San Francisco, California, il laboratorio più fertile di questa nuova scena sonora, antesignana della new wave. E' qui, infatti, che si consumano gli esperimenti di tre band tanto criptiche quanto rivoluzionarie: The Residents, Chrome e Tuxedomoon.

I misteriosi Residents (anche nei loro volti, coperti dalle maschere) costruiscono collage grotteschi e parodistici à la Frank Zappa ("Not Available", "Meet The Residents"), caratterizzati da un uso avanguardistico del rumorismo e delle nuove macchine elettroniche. I Chrome prediligono invece un sound distruttivo e caotico, sorta di "requiem per l'era delle macchine", che culminerà nell'inquietante "Half Machine Lips Moves" (1979), originale commistione di punk, dadaismo, elettronica e rumorismo. Più vicini all'avanguardia che al rock tradizionale, infine, i Tuxedomoon di Steve Brown raggiungono uno dei traguardi più ambiziosi del periodo con il multiforme "Half-Mute" (1980), che riesce a spaziare con disinvoltura dal pop alla musica da camera.


Una stagione del tutto particolare sarà poi quella della "no wave" newyorkese di fine anni 70, che avrà per alfieri i Contorsions di James White, i Teenage Jesus And The Jerks di Lydia Lunch, i Mars e i Dna di Arto Lindsay. Un movimento estremo ed effimero, caratterizzato da un atteggiamento nichilista e iconoclasta, tradotto sul piano musicale nell'impetuoso ricorso all'improvvisazione stile free-jazz e nella violenta deformazione "rumorista" degli stilemi tradizionali del rock. Da tale corrente attingeranno in qualche modo anche i maestri indiscussi del noise-rock di lì a venire, i Sonic Youth.


Ma è in Gran Bretagna che la new wave fiorisce in modo ancor più rigoglioso, con gruppi che, partiti stilisticamente dal punk, se ne distaccano progressivamente per elaborare un suono che ricomprenda e rielabori gli infiniti spunti prodotti dal rock dei 60 e dei 70.

E', ad esempio, il caso degli XTC, i quali, dopo aver partorito nel '78 i due primi album ("White music" e "Go 2") in pieno stile pop-punk, infilano un trittico straordinario - "Drums and wires" (79), "Black sea" (80) e "English settlement" (82) - dove il punk è solo un ricordo, sovrastato da un chitarrismo sempre in bilico tra pop e sperimentazione, da un intelligente recupero per niente nostalgico di trame psichedeliche sixties e da un "mood" tipicamente beatlesiano, il tutto avvolto in arrangiamenti sofisticati e malinconici, sorretti da testi intelligentemente umoristici e ironici.

Oppure è il caso degli Stranglers, strumentisti e compositori di vaglia a differenza di moltissime band punk: il loro percorso si dipana, a partire da quel fondamentale anno che è il '77, attraverso i primi due album ("Rattus Norvegicus" e "No more heroes"), punk all'apparenza ma già percorsi da nervose trame psichedeliche tracciate dalle tastiere, per continuare con i successivi "Black and white" (78), "The Raven" (79), "The meninblack" (81) e "La folie" (81), dove la padronanza tecnica e compositiva mette d'accordo gli ultimi rigurgiti punk con strutture e melodie progressive di buona fattura.


Citati di passaggio i Fall - ricordiamo almeno, dalla loro vastissima discografia, "Live at Witch trials" (79), "Grotesque" (80), "Hex enduction hour" (82) e "Perverted by language" (83) -, la cui ricerca ritmico-armonica supera da subito per complessità e genialità la semplicità punk pur derivando da essa, è d'obbligo fare riferimento a una band la cui attitudine stilistica, pur assimilata agli stilemi punk, si evolve secondo un'intelligente traiettoria sonora che la porta a fissare dei cardini melodici ineludibili in ambito new wave: sono i Buzzcocks, i quali testimoniano la loro vivacità post-punk in soli tre album: "Another music in a different kitchen" (78), "Love bites" (78) e "A different kind of tension" (79).

Legati ai Buzzcocks sono i Magazine (il leader Howard Devoto milita nella prima incarnazione rigorosamente punk dei Buzzcocks, le cui tracce sono presenti nel 'bootleg' "Time's up" del '78, successivamente ristampato come disco ufficiale nel '91): qui la frenesia punk si mischia indelebilmente (col predominante uso delle tastiere) alle intuizioni glam-sperimentali dei Roxy Music (segnatamente i primi due album, nei quali sono presenti le sonorità genialmente non ortodosse di Brian Eno).

Dei Magazine (a proposito dei quali dobbiamo sottolineare una certa profondità dei testi non sempre riscontrabile in ambito new wave) ricordiamo i primi tre album, impeccabilmente arrangiati: "Real life" (78), "Secondhand daylight" (79) e "The correct use of soap" (80).

Contemporanei ai Magazine, e per questioni temporali e per approccio stilistico, sono i Japan di David Sylvian e gli Ultravox di John Foxx.

I primi, dopo gli inizi - "Adolescent sex" (78) e "Oscure alternatives" (78) - a imitazione pedissequa del Bryan Ferry e dei Roxy Music più glam e commerciali, producono, in un entusiasmante crescendo di originalità, "Quiet life" (79), "Gentlemen take polaroids" (80) e "Tin drum" (81) dove la new wave si tinge di soffusa elettronica e di piccole ma decisive tracce etniche (soprattutto orientali) e ambient.

Queste ultime caratteristiche, riprese da Ryuichi Sakamoto (già leader di una band giapponese di tecno-pop, la Yellow Magic Orchestra, e collaboratore di Sylvian) nella colonna sonora del film "Merry Christmas Mr. Lawrence" (83) (dove è presente un evocativo e struggente brano con un cantato da brividi, "Forbidden colours", a firma di entrambi), saranno alla base di tutti i lavori successivi di David Sylvian, una volta sciolti i Japan, e segnatamente di due dei grandi capolavori della new wave e del rock tutto, ossia il suo esordio solista dell'84, "Brilliant trees", e il successivo "Secrets of the beehive" (87) da ricordare accanto all'e.p. "Words with the shaman" (85), degno compagno della ricerca etnica di Peter Gabriel.

Gli Ultravox sono una band straordinariamente originale, capitanata da un artista poliedrico come John Foxx. I tre album della loro prima incarnazione - "Ultravox!" (77), "Ha! Ha! Ha!" (77) e "Systems of romance" (78) - intanto prendono formalmente le distanze dal primo punk grazie all'uso del violino e delle tastiere, che richiama certa ricchezza sonora dei primi 70, ma ciò che li rende, in fin dei conti, dei capolavori sono le stupefacenti capacità creative del gruppo (accompagnato inizialmente dalla produzione di Brian Eno) impegnato a unire con magica fluidità le opzioni più melodiche con una ricca tensione cupamente avanguardistica, assieme a un'invidiabile capacità di sintesi. La successiva carriera solista di Foxx, così come la seconda incarnazione del gruppo, saranno materia specifica della parte relativa all'elettronica.


Soffermiamoci ora su due gruppi fondamentali dell'estetica punk, i Clash e i Jam, i quali, intelligentemente evoluti e rimodellati i loro percorsi sonori in ulteriore e apprezzabilissimo sforzo di sintesi, appaiono tra i più interessanti e originali alfieri della new wave.

I primi, capitanati da Joe Strummer e Mick Jones, dopo aver esordito con un capolavoro del punk - "The Clash" (77) - e con un secondo album, "Give'em enough rope" (78), di transizione, in bilico tra istanze ancora crudamente punk e prime suggestioni wave, producono tra il '79 e l'80 una valanga di canzoni che vanno a comporre due monumenti come il doppio "London calling" e il triplo "Sandinista!": entrambi, pur nell'ottica del "formato canzone" e con un occhio di riguardo ai nuovi ritmi ballabili in voga da qualche anno, forniscono una straordinaria ricerca e rielaborazione delle matrici bianche (il rock'n'roll e il country) e nere (il blues, il funky, il reggae) del rock, dando il la', con dieci anni di anticipo, al "crossover" che oggi impera e di cui spesso si abusa. Il successivo "Combat rock" (82) (sia pure edito come album singolo) si propone come la summa della fuga in avanti dei Clash.

I Jam, proprietà quasi esclusiva di Paul Weller, dopo essersi barcamenati nei primi due album ("In the city" e "This is the modern world", entrambi del '77) tra la velocità superficiale del punk e l'amore per gli Who (inevitabili i riferimenti all'epica e all'epoca 'mod') approfondiscono, negli album successivi - "All mod cons" (78), "Setting sons" (79) e "Sound affects" (80) - il loro amore per certe sonorità sixties e per il rhythm and blues assieme a una connotazione sempre più marcatamente politica (di sinistra) nelle liriche che riprende la protesta sociale e il ribellismo contro il sistema (sempre più consapevole) dei Clash, politicizzati sin dall'inizio. L'ultimo album di studio prima dello scioglimento, "The gift" (82), evidenzia che le preferenze di Weller si sono ormai spostate verso un suono decisamente black: stanno nascendo gli Style Council, la sua nuova creatura intrisa di jazz, soul, funky e blues che, dopo diversi singoli di assaggio - tra cui ricordiamo la splendidamente evocativa "Long hot summer" (83) -, produrrà nell'84 un classico della new wave più "commercialmente sperimentale" come "Cafè bleu".


Per rimanere in ambito "nero" dal punto di vista musicale e "rosso" dal punto di vista politico, non possiamo dimenticare due meteore del post-punk inglese (schierate apertamente contro l'establishment conservatore di marca thatcheriana di fine 70 – inizio 80) che, sia pure nel loro rapido passaggio, hanno lasciato tracce indelebili nell'elaborazione di determinati percorsi new wave: i Pop Group (ovvero violenza punk, frenesia funky e rumorismo creativo nell'esordio "Y" del '79 e nel successivo "For how much longer do we tollerate mass murder?" dell'80) e i Gang of Four, straordinario incrocio tra minimalismo punk, ritmica funky e chitarrismo tagliente senza compromessi nel fulminante esordio "Entertainment!" (79) e nel successivo "Solid gold" (81).

Un'altra meteora sono i Dexys Midnight Runners, titolari di due album ("Searching for the young soul rebels" dell'80 e "Too rye ay" dell'82) che, del punk, recuperano la frenesia, ma che sono essenzialmente pervasi di soul, folk e rhythm and blues.


Alla new wave sono riconducibili i primi dischi di due dei gruppi più famosi del rock degli ultimi 20 anni: i Police di Sting e gli U2.

I primi esordiscono nel '77 addirittura con un singolo di chiara impronta punk, "Fall out", ma già i passi successivi sono caratterizzati da un'intelligente commistione di stili, che vede in primo piano una chitarra punk-sixties, la creazione di accattivanti melodie pop e una ritmica rock-reggae genialmente rielaborata dal drumming di Stewart Copeland: il tutto produce "Outlandos d'amour" del 1978 (che contiene quel capolavoro di delicatezza lirico-sonora che risponde al nome di "Roxanne"), l'ottimo "Regatta de blanc" (79) e "Zenyatta mondatta" (80), prima che il sofisticato pop d'alta classifica (pur di pregevole fattura) diventi obiettivo predominante.

Le incisioni iniziali degli irlandesi U2 si inseriscono alla perfezione nel post-punk, connotate come sono da un chitarrismo di impronta psichedelica e da un'invidiabile freschezza compositiva e di arrangiamento. I primi tre album racchiudono l'evoluzione del gruppo di Bono che misura - da "Boy" (80), attraverso "October" (81), fino alla compattezza di "War" (83) - la crescita di un suono che si fa via via sempre più epico e coinvolgente, merito delle sempre migliori capacità vocali del leader e del potente drumming di Larry Mullen jr. Liricamente, invece, si spazia dall'esposizione, ingenua ma ficcante, dei disagi giovanili a contatto con la realtà amara del mondo alla coraggiosa presa di posizione pacifista nell'ambito dell'annoso contrasto tra cattolici e protestanti in Irlanda. Dopo aver inciso un ottimo album live ("Under a Blood Red Sky", 1983), che chiude il primo periodo, gli U2, complice imprescindibile Brian Eno, producono nell'84 "The Unforgettable Fire", un album fondamentale nel definire i canoni necessari a creare un ponte di collegamento tra la new wave e le intuizioni ambientali di Eno.

Irlandesi come gli U2 e provenienti dal loro stesso ambiente musicale, i Virgin Prunes, pur frammentari nelle loro uscite discografiche, producono nell'82 un geniale album, "…If I die, I die", in bilico tra folk, rumorismo e una sperimentazione ritmica quasi tribale. Sempre dall'Isola verde arrivano i Boomtown Rats di Bob Geldof (che diverrà celebre soprattutto per aver ideato l'evento di "Live Aid"). Il loro "inno" resterà quella "I Don't Like The Mondays", contenuta in "The Fine Art Of Surfacing" (1979).


Scozzese è invece l'origine dei Simple Minds, i quali, al pari di altri gruppi analizzati in precedenza, privilegiano l'uso delle tastiere (evidente il tentativo di ricalcare senza troppa originalità i Roxy Music nei primi due album, "Life in a day" e "Real to real cacophony", entrambi del '79). La svolta viene annunciata nell'80 col terzo album, "Empires and dance", e si concretizza con i due dischi successivi: "Sons and fascination" dell'81 (con allegato il mini album proveniente dalle stesse 'sessions' "Sister feelings call") e "New gold dream 81-82-83-84" (82) sono due autentici capolavori, dove una ritmica trascinante, a volte quasi dance, e i maestosi interscambi tra chitarra e tastiere dominano il tutto, governati dalla sempre più matura voce di Jim Kerr. Il successivo "Sparkle in the rain" (84), pur attraente, risente del tentativo di imitare il suono magniloquente ed epico di "War" degli U2 (anche a causa dell'utilizzo dello stesso produttore, Steve Lillywhite).


Di origine australiana (ma inglesi d'adozione) sono invece i Birthday Party del grandioso Nick Cave: il loro suono è un originalissimo mix di sgraziata velocità punk, di cabaret sperimentale tedesco, di disperato amore per i grandi bluesmen americani (compreso l'amelodico blues dei seminali primi album di Captain Beefheart) e di rumorismo lancinante e ossessivo, il tutto completato dalla cavernosa, cupissima, ma straordinariamente affascinante voce del leader.

Nei pochi anni di vita, contrassegnati da gravi problemi di droga, producono tre album - "The Birthday Party" (80), "Prayers on fire" (81), il migliore per coesione e compattezza, e "Junkyard (82) e due mini lp ("Bad seed" e "Mutinity!", entrambi dell'83).

Intrapresa la carriera solista, Nick Cave esordisce nell'84 con "From Her To Eternity", un'amelodica ma geniale rilettura del patrimonio rock, blues e country americano, proseguendo poi la strada proponendosi in maniera originale ed emozionante nell'ambito della canzone d'autore. Un percorso che raggiungerà probabilmente il suo apice nel 1990, con il maestoso "The Good Son".


In Italia, gli alfieri della new wave saranno due band fiorentine, i Litfiba (che poi abiureranno quelle sonorità orientandosi su un power-pop smaccatamente commerciale) e i Diaframma. Più "punk", invece, i CCCP di Giovanni Lindo Ferretti, poi confluiti nella nuova sigla CSI, sempre con buoni risultati.


Concludiamo questo viaggio nel post-punk parlando di alcune band che hanno uno dei loro grandi punti di riferimento nella psichedelia sixties inglese.

Cominciamo con gli Psychedelic Furs, fautori di un suono spesso psichedelico (belli gli intarsi di sax e chitarra) duro ma fluido, che ricorda il glam-rock dei Roxy Music e dei T. Rex di Marc Bolan. Notevoli sono l'esordio, omonimo, dell'80 e il secondo, "Talk talk talk", dell'anno dopo, mentre i successivi tradiranno un eccessivo amore per l'orecchiabilità. Su tutto, comunque, la monocorde ma affascinante voce di Richard Butler, spesso e volentieri in debito verso le tonalità bowiane.

Interessanti anche Echo & the Bunnymen, con una chitarra che percorre in maniera lancinante ma mai ossessiva le canzoni donando un decisivo tocco di rock psichedelico che ricorda spesso i Television e (in parte) gli U2. I primi due album - "Crocodiles" (80) e "Heaven up here" (81) - sono i più genuini, mentre il terzo e il quarto - "Porcupine" (83) e "Ocean rain" (84) - pur gradevoli, flirtano troppo con il pop.

Nei Sound di Adrian Borland (che morirà tragicamente nel 1999, gettandosi contro un treno) l'amore per la psichedelia è sottolineato, invece che dalle chitarre, dall'uso delle tastiere decisamente sixties: anche qui i primi due dischi -"Jeopardy" (80) e "From the lions mouth" (81) - sono i migliori.


In ultimo, parliamo dei Teardrop Explodes, la straordinaria formazione capitanata da Julian Cope, titolare di due album di studio - "Kilimanjaro" (80), capolavoro di moderna e guizzante psichedelia, e "Wilder" (81), leggermente inferiore - dove le tastiere psichedeliche memori dei Pink Floyd e dei Soft Machine si mischiano ai bizzarri richiami al genio malato di Syd Barrett. Intrapresa la carriera solista, Cope produrrà nello stesso anno (84) due nuovi capolavori di psichedelia aggiornata ("World shut your mouth" e, soprattutto, "Fried") ma anche splendidamente evocativa del fantasma dell'ex leader dei Floyd.


2. Il dark-gothic

La musica dark, che, in realtà, nella natia Inghilterra, prende il ben più suggestivo nome (dal punto di vista letterario) di musica gothic, è uno dei filoni più floridi dell'intera scena new wave inglese: attraverso la catarsi del punk anch'esso recupera, metabolizza e rielabora alcuni linguaggi musicali del passato. I padri putativi del dark si possono rintracciare nell'hard venato di paesaggi spettrali dei primi Black Sabbath di Tony Iommi e Ozzy Osbourne, nella psichedelia ombrosa e spaziale di "A Saucerful Of Secrets" dei Pink Floyd di Roger Waters, nel progressive cupo e macabro dei Van Der Graaf Generator di Peter Hammill, nella disperata malattia sonora e lirica dei Velvet Underground di Lou Reed e John Cale, nelle tetre litanie della sepolcrale Nico e, infine, nel David Bowie tenebroso della cosiddetta "trilogia berlinese". Musicalmente, siamo in presenza di suoni cupi, ossessivi, tetri, mentre, dal punto di vista lirico, l'indice viene puntato verso atmosfere lugubri o, comunque, opprimenti, malinconiche, tristi: in una parola, la cifra stilistica del dark è un romanticismo sì minimale e oscuro, ma quanto mai ricco di tensione emotiva.

Alla fine degli anni 70, mentre gruppi come i Clash e i Jam ribadiscono, nei testi e negli atteggiamenti, il loro impegno sociale e politico, altri gruppi e altri autori scelgono volontariamente un totale ripiegamento su se stessi e sul loro mondo in miniatura, dando sfogo a liriche e a suoni minimali, ora malinconici, ora disperati, ma completamente impregnati di un romanticismo che rimette in primo piano la sensibilità sofferente dell'uomo contemporaneo, non più padrone del mondo, ma sfasato rispetto a se stesso e agli altri. Simbolo di questa visione della vita e progenitore-catalizzatore di tutte le caratteristiche del "mood" dark che abbiamo evidenziato fino ad ora è sicuramente Ian Curtis, leader degli indimenticabili Joy Division, morto suicida a soli 23 anni. Gli unici due album incisi dalla band, "Unknown Pleasures" ('79) e "Closer" (80), sono, musicalmente e liricamente, un viaggio senza ritorno negli abissi dell'incomunicabilità e della solitudine interiore, un precipitare freddo e insensato in una sorta di "cupio dissolvi". I testi di Curtis, nello stesso momento in cui appaiono fotografare e descrivere in maniera distaccata uno stato d'animo, in realtà lo vivisezionano, analizzandone tutti gli aspetti più reconditi e dolorosi in una sorta di metaforica richiesta d'aiuto al mondo esterno che, già si sa, non verrà raccolta.
La musica si evolve dalle asprezze post-punk del primo album, attraverso una messe di singoli tra cui non si può non ricordare la tenera e disperata "Love will tear us apart" (80), fino a raggiungere un'essenzialità di suono quasi perfetta in "Closer": la chitarra è scabra e tagliente, la batteria e il basso inanellano ritmi ossessivi, la voce di Curtis, monocorde ma profonda, è il "trait d'union" di un crescendo memorabile, dove risaltano perle come "Atrocity Exhibition", "Isolation", "Decades", "Heart And Soul".

Nello stesso anno d'esordio dei Joy Division, un altro gruppo figlio del punk - ricordiamo gli album d'esordio "Pink Flag" (77) e "Chair Missing" (78) intrisi di ricerca minimalista - dà alle stampe un disco seminale nell'elaborazione di un certo tipo di suono new wave e, specificamente, dark: sono i Wire e l'album si intitola "154". In questo disco la fa da padrone un minimalismo sperimentale nei suoni come nei testi: frammenti lirico-sonori che si esaltano nell'oscura "I should have known better".
In "154" la rozza asprezza e la cruda velocità del punk lasciano lentamente il posto a una musica lenta ed evocativa, cifra stilistica che, accanto a un feroce e scabroso tormento esistenziale, segnerà il trionfo artistico della cosiddetta "trilogia dark" di Robert Smith e dei suoi Cure, i quali, dopo un esordio di interessante commistione tra pop e punk, "Three Imaginary Boys" ('79), sprofondano per tre anni in un buio lacerante. Il mondo si è trasformato in una landa desolata e incomprensibile, dove la natura fredda si aggroviglia a sentimenti sempre più scarnificati e la via d'uscita non solo non c'è, ma non c'è mai stata: è "A Forest", vero capolavoro di una vita e brano guida di "Seventeen Seconds" ('80), primo album della trilogia. Qui e in "Faith" ('81) la chitarra si contorce in riff taglienti e gelidamente morbosi, le tastiere, più che ricamare in primo piano come nel progressive e nel glam, tessono un sotterraneo ordito di continua tensione, il drumming è ossessivamente metronomico e il basso si trasforma, da strumento essenzialmente ritmico, in supporto melodico di malinconica efficacia, mentre i testi ora sussurrano ora gridano la coscienza timorosamente consapevole di un'esistenza sospesa in un mondo assurdo e senza significato. Tutte queste caratteristiche vengono sublimate all'ennesima potenza nell'ultimo album della trilogia, "Pornography" ('82), vero capolavoro del dark "all times" e disco capace di esprimere una sincera poetica rock, sganciata dalla più o meno pedissequa imitazione di modelli altrui. Dal primo all'ultimo brano (citiamo almeno "One Hundred Years", "The Hanging Garden", "The Figurehead", "A Strange Day" e la title track) è una trasognata cavalcata, a volte drammatica, a volte rassegnata, verso il nulla dell'esistenza.
Allontanatosi negli anni successivi dal dark, Smith ci tornerà per darne una sorta di testamento nel brano d'apertura dell'album "Kiss Me Kiss Me Kiss Me" ('87) (disco orientato maggiormente in senso pop-psichedelico): in "The Kiss" (un quasi strumentale da brivido con digressioni chitarristiche lancinanti e ossessive) il bacio viene evocato come apportatore di amore e, contemporaneamente, di morte: le due pulsioni più forti dell'uomo sono servite e il cerchio si può chiudere.

"Sorella" dark di Robert Smith è Susan Dallion (in arte Siouxsie Sioux), carismatica e attraente leader dei Siouxsie and the Banshees. Il gruppo, che avrà a più riprese tra le sue fila proprio Robert Smith alla chitarra e alla composizione attraversa la new wave inglese seguendo un suo percorso coerente e lucido che lo porterà dal punk meno immediato e più sofisticato a una brillante e mai banale psichedelia, il tutto retto dalla potente e oscura voce di Siouxsie, capace di far precipitare l'ascoltatore nelle più cupe profondità del suono dark: a tal proposito segnaliamo i primi cinque album, "The Scream" ('78), "Join hands" ('79), "Kaleidoscope" ('80), "Ju-Ju" ('81), esemplare compendio dell'arte dei Banshees , e "A Kiss In The Dreamhouse" ('82).

Iniziale deferenza alle sonorità strumentali e vocali di Siouxsie Sioux è presente nei magici Cocteau Twins, band capofila del cosiddetto dream-pop. Ricordiamo gli album "Garlands" (82) e "Head Over Heels" (83) e i delicati Ep "Lullabies" (82), "Peppermint Pig" (83) e "Sunburst And Snowblind" (83), nei quali sono anche presenti soffuse ma elaborate orchestrazioni elettroniche. Successivamente la band di Elizabeth Fraser saprà trovare una sua originalità compositiva che la allontanerà dal gothic e, più in generale, dalla new wave, ma che sarà in grado di mettere nel giusto risalto le potenzialità vocali della cantante. L'onirico, spettrale "Treasure" (1984) resterà il vertice assoluto di questa band e di questo genere musicale, nonche' uno dei dischi piu' suggestivi della storia del rock. Simili per impostazione sono i Dead Can Dance, band australiana ma che incide per un'etichetta inglese: atmosfere gotiche e sepolcrali, utilizzo sapientemente dosato di strumentazione acustica ed elettronica, il tutto accanto a un delicato cantato che a volte si erge a picchi da brivido della vocalist Lisa Gerrard, sono le prerogative del loro esordio - l'Ep "The Garden Of The Arcane Delights" ('83) - del primo, omonimo, album (84) e del secondo, "Spleen And Ideal" ('85), che, già nel titolo, coniuga alla perfezione le istanze dark con quelle più sensibilmente romantico-decadenti. Già a partire da "The Serpent's Egg" (1988) la band australiana introdurrà i primi elementi di un sound etnico e ancestrale, che diventerà il suo marchio di fabbrica. Progetto del tutto particolare è This Mortal Coil (supergruppo di cui fanno parte, tra gli altri, componenti dei Cocteau Twins e dei Dead Can Dance), emanazione della 4AD, etichetta, appunto, delle sopracitate band e titolare di un delicatissimo primo album, "It'll End In Tears" (84), in bilico tra sperimentazione e atmosfere gotiche eteree e malinconiche.

Contemporanee ai Joy Division e ai Cure sono le prime esperienze discografiche dei Bauhaus e dei Killing Joke, altri due gruppi cardine per la definizione del suono gothic e non solo. Entrambi sommano, alle istanze glacialmente melodiche delle band che abbiamo citato in precedenza, un background fondamentalmente punk nell'approccio, un sottile gusto per certo hard intellettualistico e per certo rumorismo chitarristico ed elettronico, accanto alle inquietanti voci, rispettivamente, di Peter Murphy e di Jaz Coleman.
Dei Bauhaus (la cui caratura tecnica e l'eclettismo stilistico li porta a fondere in un "unicum" tutto le splendide peculiarità dark del loro suono) ricordiamo il tenebroso singolo "Bela Lugosi's Dead" del 1979 (chiari i riferimenti alla letteratura gotica inglese, con basso e chitarra a tracciare lividi percorsi sonici) e gli album "In The Flat Field" del 1980 (impressionante per l'impatto devastante e per la compattezza sonora), "Mask" del 1981 e il malinconico "The Sky's Gone Out" ('82); dei Killing Joke il primo, seminale, omonimo album del 1980 (apripista per una infinità di suoni che verranno, specie sul versante industrial) e il successivo "What's This For!" ('81).

La commistione tra sonorità ora oscure, ora rumoristiche, ora addirittura psichedeliche trova la sua più completa realizzazione nel progetto Public Image Ltd., creatura di Johnny Lydon (Rotten, ai tempi in cui era frontman dei Sex Pistols). Al, tutto sommato, semplificante approccio al rock dei Pistols, i P.I.L. contrappongono una complessità sonora, frutto della contemporanea assimilazione e rielaborazione su basi più consce del messaggio punk, che di fatto li rende l'ideale "prova provata" dell'intrinseco legame che unisce indissolubilmente, in una sorta di evoluzione darwiniana, il sound e il "mood" del punk con le più elaborate atmosfere new wave.
Di questa band sono imprescindibili i primi, solidissimi, tre album, dal suono ossessivo e claustrofobico: "First Issue" ('78), "Metal Box - Second Edition" ('79) e "The Flowers Of Romance" ('81).

In ultimo citiamo i Theatre of Hate, i Sisters of Mercy, i Cult e i Mission, i cui rispettivi album d'esordio - "Westworld" (82), "First And Last And Always" ('85), "Dreamtime" ('84) e "God's Own Medicine" (86) - presentano un approccio gothic maturo e affascinante, ma, in certi momenti (specie per quanto concerne Cult e Mission) eccessivamente epico, in una sorta di "retoricizzazione" del suono dark. I Sisters Of Mercy saranno anche autori di uno degli "inni" del movimento gotico, quella "Temple Of Love" che a distanza di anni mantiene ancora intatto il suo lugubre fascino.

Le intuizioni del movimento dark-gothic britannico saranno riprese oltreoceano dai californiani Christian Death di Rozz Williams (memorabili "Only Theatre Of Pain" del 1982 e "Catastrophe Ballet" del 1984), oltre che da mostri sacri della scena industrial e hardcore, come Nine Inch Nails, Ministry e Swans (autori quest'ultimi di un disco, "Children Of God", che può essere considerato il capolavoro assoluto della musica dark d'oltre Oceano). E a partire dagli anni Novanta, a colorarsi di tinte oscure sarà anche l'elettronica di maestri ambient-gothic, come Lycia e Black Tape For A Blue Girl. 

3. Elettronica e synth-pop

Uno degli insegnamenti fondamentali del punk è che non è necessario essere virtuosi di uno strumento per poterlo suonare.

Se associamo a questo assunto lo sviluppo tecnologico dirompente di questo periodo (con il perfezionamento dei sintetizzatori, la nascita delle batterie elettroniche – famosa quella dei Sisters Of Mercy a cui verrà dato addirittura un nome, Doctor Avalanche – e dei primi campionatori), viene facile capire come anche l'elettronica wave (e il suo approccio ad essa) sia figlia del punk.


Ma i genitori sono anche altri: all'inizio degli anni '70, in Germania, ideale laboratorio sperimentale, nasce la cosiddetta "kosmische musik", musica elettronica sperimentale, eterea e ossessiva allo stesso tempo, che ha tra i suoi più luminosi rappresentanti i Tangerine Dream, i Faust, i Can di Holger Czukay (più tardi collaboratore di David Sylvian) e i Cluster (più tardi al lavoro con Brian Eno). Inoltre, sempre in Germania, nascono i Kraftwerk i quali, partiti da sonorità avanguardistiche, arrivano a un approccio quasi pop verso l'elettronica, proponendosi (con il capolavoro "Autobahn" del '74 e poi con i dischi successivi) come ideali padri del connubio elettronica d'avanguardia-elettronica pop.


Fondamentali sono anche gli studi sul suono di Brian Eno nei suoi album con i Roxy Music e nei suoi progetti da solista (comprese le divagazioni ambient), così come è seminale (oltre che di grandissimo valore artistico) la "trilogia berlinese" di David Bowie che, non a caso, vede come stretto collaboratore proprio Eno.


Anche se è poi l'Inghilterra a procreare gli astri più suggestivi in ambito electro, sono ancora una volta gli USA ad anticipare i tempi o, perlomeno, a dettare le nuove regole.

Tra il '77 e il '78 escono due album devastanti per coinvolgimento sonoro, per piglio avanguardistico e per tempismo pioneristico: gli esordi su vinile dei Suicide e dei Devo (questi ultimi non a caso prodotti da Eno).

L'omonimo album dei Suicide di Alan Vega (voce) e Martin Rev (synth) è un muro di elettronica mai ascoltata prima, ipnotica e claustrofobica, dall'impatto durissimo e senza alcuna concessione ai ritmi ballabili: il tutto è completato da poesie metropolitane perverse alla Lou Reed ("Cheree", "Ghost Rider" e soprattutto la terrificante "Frankie Teardrop").

In "Q. Are we not men? A. We are Devo!", i Devo si destreggiano tra ritmi frenetici e tastiere robotiche, mischiando in un calderone che è cosa assolutamente innovativa (per l'epoca) il rock dei '60, i Kraftwerk, un certo "mood" funky e le istanze punk a loro contemporanee. Il secondo album - "Duty now for the future" (79) - approfondirà queste caratteristiche prima che i Devo si lascino tentare dal techno-pop.


In Inghilterra la sperimentazione elettronica d'avanguardia comincia con le ricerche dei Throbbing Gristle: il tema è l'alienazione dell'uomo nella civiltà industriale e il suono è un mix di nastri preregistrati e rovesciati, rumori, sonorità metalliche e abrasive assolutamente ostiche e ipnotiche (segnaliamo il primo album "Second annual report" del '77, per il quale si conia il termine "scena industriale"). Una volta scioltisi, il leader Genesis P-Orridge fonda gli Psychic TV, fautori, nel loro esordio ("Force the hand of chance" dell'82), di un suono in bilico tra elettronica d'avanguardia, rumorismo e tecno-pop sperimentale.


In ambito industriale sono però i Cabaret Voltaire a produrre dei veri capolavori. Il loro suono è una caotica ma coinvolgente spirale che attrae e distoglie continuamente dal centro in un gioco ossessivo e (apparentemente) fine a se stesso (il nome del gruppo deriva da un locale di Zurigo dove, all'inizio del '900, nacque il movimento dadaista). Suoni sintetici e rumori elettronici, il tutto filtrato da una sensibilità sperimentale, oscura e visionaria che si esalta nell' esordio ("Mix-up" del '79) ma che è presente in tutti i loro dischi successivi: "Live at the Y.M.C.A. 27.10.1979" (80), "The voice of America" (80), "Three mantras" (80) e "Red Mecca" (81) dove, peraltro, c'è un tentativo di attenuare la loro proverbiale osticità.


Sulla scia dei Cabaret Voltaire si pongono i Clock DVA, altra formazione dal suono difficile e poco fruibile, industrial-rumoristico, che, però, privilegia un approccio più punk inframezzato da tentazioni free-jazz. Ricordiamo gli album "White souls in black suits" (80) e "Thirst" (81).


Per concludere questa sezione dedicata all'elettronica industriale ci spostiamo in Germania dove nascono gli Einsturzende Neubauten guidati da Blixa Bargeld (in seguito fondamentale guida dei Bad Seeds, il gruppo che accompagna Nick Cave). Anche qui l'approccio è fondamentalmente rumorista: il post-punk e l'elettronica d'avanguardia si fondono al meglio in "Die zeichnungen des patienten O.T." (83), inciso in Inghilterra, ma anche nell'inquietante sinfonia industriale di "Halber Mensch".


Nella parte relativa al post-punk abbiamo detto che avremmo riparlato qui di John Foxx e dei rinnovati Ultravox, a riprova di quanto siano labili e interscambiabili i confini in ambito new wave: ciò che più conta è una nuova sensibilità storica e culturale che si esprime in una prodigiosa sintesi dei linguaggi musicali precedenti.

John Foxx, abbandonati gli Ultravox, si dedica anima e corpo alle nuove macchine elettroniche (soluzione già adombrata nel terzo album del gruppo): il suo primo disco solista, "Metamatic" (80), è completamente votato a sonorità gelide, robotiche, intellettuali, ma mai dimentiche di un contenuto melodico assolutamente non banale. Il suo capolavoro è però senz'altro l'album successivo, "The Garden" (81), che porta a compimento e a maturazione le intuizioni espresse nel disco precedente: il suono, pur fondamentalmente sintetico, si apre a squarci maestosi ed emotivi di grande suggestione, smentendo chi sostiene l'intrinseca freddezza della scelta elettronica.

I due successivi - "The golden section" (83) e "In mysterious ways" (85) - tentano, con risultati alterni, ma sempre pieni di intensità, di amalgamare le sonorità elettroniche a un diverso recupero della strumentazione del rock classico.


Gli Ultravox, abbandonati da Foxx, trovano un nuovo leader in Midge Ure che li porta ad abbracciare le sonorità sintetiche in un'ottica leggermente più pop rispetto a John Foxx, ma non per questo meno affascinante.

I primi due dischi del nuovo corso sono senza dubbio i più riusciti: in "Vienna" (80), il tecno-pop della band si fonde con scelte sonore più intellettuali (l'uso del piano e del violino) esaltate proprio nel brano omonimo, intriso di struggente romanticismo.

Il successivo, l'ottimo "Rage in Eden" (81), è più radicale nell'opzione elettronica, più cupo nelle sonorità, quasi dark nelle scelte stilistiche, evidenziate dall'ossessiva presenza delle tastiere e dal beat ritmicamente innovativo della batteria elettronica.

Nei seguenti "Quartet" (82) e "Lament" (84) l'orientamento tecno-pop, pur non disprezzabile e, anzi, molto piacevole all'ascolto, prevale.


Da ricordare anche il disco d'esordio dei Visage di Steve Strange ("Visage", 1980), un supergruppo che annovera personaggi del calibro di Midge Ure e Billy Curie degli Ultravox, oltre a diversi membri dei Magazine. La loro formula è un synth-pop di estrema eleganza, venato di sfumature "darkeggianti", che influenzerà tutto il movimento "New Romantic" a venire. Il fenomenale singolo "Fade To Grey" spopolerà anche in discoteca.


Simile nelle scelte artistiche è Gary Numan, uno degli antesignani, in Inghilterra, della scelta electro e tecno-pop. I suoi esordi, però, sono rigorosamente punk, testimoniati dall'album "The plan" (84) che raccoglie songs del biennio 77-78, prima che si dedichi completamente ai suoni sintetici, influenzato dai Kraftwerk e da Bowie. I suoi album new wave - "Tubeway Army" (78), che è inizialmente il nome del gruppo dietro cui si cela Numan, "Replicas" (79), "The pleasure principle" (79), primo album a suo nome, "Telekon" (80) e "Dance" (81) - alternano sonorità gelide e robotiche a momenti più caldi e melodici e sono tutti governati dal tentativo (che riesce, ma non sempre) di coniugare la sperimentazione col techno-pop.


In Inghilterra da segnalare anche l'attività di Thomas Dolby, tastierista sperimentale, ispirato dalla scuola di Brian Eno. "Blinded By Science" (1983) resterà il manifesto della sua eccentrica elettronica.


Sul fronte più commerciale del synth-pop "romantico", si situeranno band come Duran Duran e Culture Club che spopoleranno nelle classifiche e nelle mode dei teenager, anche se i primi, in particolare, realizzeranno qualche brano interessante specie nei primi lavori ("Planet Earth", "New Religion", "The Chauffeur", "New Moon On Monday"). Dei tedeschi Alphaville, invece, va ricordato il fortunato album "Forever Young" (con gli hit "Big In Japan" e "Sounds Like A Melody").


Due gruppi figli del punk e del post-punk più seminale sono invece i Wire e i New Order. I primi (che abbiamo già citato in precedenza) attraversano come un filo rosso tutta la new wave, facendo del minimalismo intellettuale la loro bandiera.

Scioltisi dopo "154" (79), riappaiono nell'86 a tempo scaduto per la new wave, ma il loro ritorno è così importante che non possiamo non parlarne. Lo spirito di ricerca dei singoli componenti della band (che non è mai venuto meno durante la separazione, testimoniato dagli sperimentali lavori solistici dei vari membri) si estrinseca nuovamente, nell'ottica di gruppo, attraverso la scelta elettronica dell'Ep "Snakedrill" (86) e dell'album che immediatamente lo segue, "The Ideal Copy" (87).

Quello che, a un'occhiata superficiale, può apparire banale tecno-pop (perlopiù in ritardo di qualche anno rispetto agli originali), è in realtà ben altro: le strutture pop sono svuotate dall'interno e la forma viene sovrastata dalla sostanza sperimentale e innovativa dell'approccio ritmico e armonico, con l'elettronica totalmente al servizio dei geniali spunti compositivi.


I New Order sono la seconda incarnazione dei Joy Division, una volta venuto a mancare Ian Curtis. Il primo album del nuovo corso, "Movement" (81), è stupefacente sia per la coerenza con cui prosegue il discorso musicale aperto da Curtis che per l'apparente scioltezza con cui riesce a coniugare le tendenze cupe di quel suono con la nuova scelta elettronica. L'album successivo, "Power, Corruption And Lies" (83), invece, prosegue la marcia di avvicinamento al techno-pop.


Un'altra band legata al tecno-pop (anche se inizialmente con velleità sperimentali) sono gli Eurythmics. Il primo album, "In the garden" (81), cerca di rifarsi alle esperienze elettroniche tedesche, ma risulta acerbo. Il successivo, "Sweet dreams (are made of this)" (83), ondeggia tra intuizioni electro e tentazioni tecno-pop, che diventano predominanti in "Touch" (84) (che pure contiene un bel brano come "Here comes the rain again"). Su tutto troneggia la possente voce bluesy di Annie Lennox.

La scelta degli Eurythmics (sintetizzatori più voce femminile) viene ribadita da un altro duo, gli Yazoo (composti da Vince Clarke, fondatore dei Depeche Mode e poi transfuga, e Alison Moyet). La band produce due album - "Upstairs at Eric's" (82) e "You and me both" (83) - in cui il sound, sostanzialmente tecno-pop, è ravvivato dalle straordinarie performance della Moyet, singer bianca dalle sensibilità vocali nere fino al midollo.


Pionieri dell'elettronica sono gli Human League. Fedele al motto "do it yourself", tipico dell'estetica punk, il loro esordio, l'Ep "The dignity of labour" (78), è un tipico prodotto punk con l'unica, ma fondamentale, differenza che, al posto delle chitarre elettriche e del drumming umano, ci sono i sintetizzatori e una drum-machine. I due album che seguono, "Reproduction" (79) e "Travelogue" (80), sono due autentici capolavori del pop elettronico: il suono e la voce sono glaciali e immersi in un futuro oscuro, ma riescono ugualmente a comunicare un fascino misterioso e avvolgente: non c'è alcuna concessione al techno-pop più commerciale e anche i momenti apparentemente più facili nascondono una sottile ricerca sonora poco incline ai compromessi. "Don't You Want Me", dall'album "Dare" (1981) resterà il loro più grande successo.


Da una costola degli Human League nascono gli Heaven 17/B.E.F.: sono due progetti diversi che hanno alle spalle gli stessi fautori. La prima sigla è titolare di un discreto album tecno-pop, "Penthouse and pavement" (82), macchiato di funky e di soul. La seconda produce un album ai confini tra lo sperimentalismo e il tecno-pop, "Music of quality and distinction vol. 1" (82).

Sulla scia dei ritmi e delle sonorità gelide e (apparentemente) asettiche di Gary Numan e degli Human League, si pongono gli Orchestral Manoeuvres in the Dark (O.M.D.) del duo Paul Humphreys/Andy McCluskey, il cui primo album omonimo dell'80 sembra ricalcare certe atmosfere sintetiche alla Kraftwerk. Nel successivo "Organisation" del 1980 (in cui è presente quell'inno del techno-pop che risponde al nome di "Enola Gay") le istanze commerciali diventano predominanti e decisive per il loro sound.

Atmosfere gradevolmente elettroniche connoteranno anche i lavori degli australiani Icehouse, che spopoleranno soprattutto con il singolo "Hey Little Girl".


Proseguiamo con i Soft Cell, un duo (voce e tastiere elettroniche) a imitazione degli americani Suicide. Dopo un singolo straordinario come "Memorabilia" (1980), il gruppo incide uno dei dischi più seminali e coinvolgenti di tutta la scena electro-new wave, "Non-Stop Erotic Cabaret" (1981), che avrà un'appendice dance con "Non-stop ecstatic dancing" ('82). Ciò che all'apparenza è semplice synth-pop, si dimostra, a un più attento ascolto, un calderone in cui le intuizioni electro, la ricchezza e la particolarità degli arrangiamenti, una freddezza emotiva di fondo resa però cosa viva dalla calda e compartecipe voce di Marc Almond si amalgamano in maniera univoca e uniforme a dare il senso di un disco epocale.

Dopo "The Art Of Falling Apart" (83), un album interessante ma dal suono, a volte, eccessivo e barocco, i Soft Cell si dividono, non prima di aver dato alle stampe "This Last Night In Sodom" (84), un altro capolavoro in cui un'elettronica più misurata e asciutta si confronta e si specchia in un suono dark cupo e senza respiro, ma straordinariamente avvolgente. Almond si dedicherà a una carriera solista discontinua, ma a tratti esaltante.


The The è il nome, più che di una band, di un progetto musicale, visto che, dietro quella sigla, si cela soltanto Matt Johnson. Nel primo album, "Burning blue soul" (81), c'è un'interessante miscela tra una moderna psichedelia e suoni pacatamente elettronici. Il successivo "Soul Mining" (83) ha i connotati del vero capolavoro: suggestioni tecno-pop non inclini al ripiegamento commerciale ravvivate da lucidissime intuizioni electro, tribali, soul, folk addirittura, a formare un impasto sonoro assolutamente innovativo.

Partiti da gradevoli sonorità synth-pop ("It's My Life", "Such A Shame", "Tomorrow Started"), i Talk Talk di Mark Hollis approderanno a nuove frontiere del rock strumentale, provando soluzioni ai limiti del jazz e antesignane dei successivi slo-core e post-rock (il celestiale "Spirit Of Eden").

In quegli anni nascono in Inghilterra diverse etichette discografiche dedite in maniera specifica ai suoni new wave: ricordiamo la Rough Trade, la 4AD (che abbiamo già citato), la Fiction (dei Cure), la Factory (dei Joy Division) e, più incline ai suoni elettronici, la Mute (per la quale incide anche Nick Cave).

Per quest'etichetta incidono gli ultimi due gruppi che prenderemo in esame, i Fad Gadget e i Depeche Mode. I primi sono in realtà una sigla dietro la quale si cela l'unico titolare, Frank Tovey, responsabile di alcuni dischi - "Fireside favourities" (80), "Incontinent" (81), "Under the flag" (82) e "Gag" (84) - che mostrano un interessante, anche se poco conosciuto, spaccato della new wave, in bilico tra minimalismo sperimentale, elettronica e istanze teatrali.

Infine, i Depeche Mode, il gruppo principe della wave elettronica inglese, capace di una superba evoluzione artistica nel corso degli anni e di una notevole influenza sui suoni che verranno.

Partiti con due banali album del techno-pop più scontato e incline alla dance - "Speak And Spell" (1981) e "A Broken Frame" (1982) dove Martin Gore sostituisce in pianta stabile il transfuga Vince Clarke alla composizione -, già nel successivo "Construction Time Again" (1983) mettono in mostra arrangiamenti e strutture armoniche più complesse, accanto a istanze più electro. La mossa seguente è ancora più ardita: "Some Great Reward" ('84) imbocca la strada dell'elettronica dura e sperimentale, una sorta di techno-punk in cui un implacabile rumorismo, totalmente campionato, viene efficacemente piegato alle esigenze di un sound comunque reso fruibile da inserti più pop.

L'album successivo, dell'86, è il loro vero capolavoro: anche se altre "onde sonore" ormai incalzano, in Inghilterra come in USA, i Depeche Mode condensano in "Black Celebration" (frutto del nitore creativo di Gore e della voce sempre più carismatica di Dave Gahan), in una sorta di "summa" pop di tutti gli umori che hanno innervato la new wave più creativa, le più limpide istanze di sintesi del post-punk, le cavalcate più tenebrose del dark e una ricerca elettronica in cui tecnica e umanità si danno finalmente la mano. Idealmente, questo è il disco oltre il quale c'è il punto di non ritorno: siamo intorno alla metà degli anni '80 e il rock sta già disegnandosi altre trame, nuove o, comunque, distanti dall'importanza storica, dalla finezza culturale e dalla sensibilità artistica della new wave.

Restano da ricordare gruppi che faranno tesoro della lezione della new wave, sviluppandola su altri versanti, a cominciare dagli shoegazer britannici (Jesus & Mary Chain, ancora legati soprattutto a sonorità dark-wave, My Bloody Valentine, Slowdive) per proseguire con certo hardcore statunitense (Fear, Pixies, Husker Du, Smashing Pumpkins, Blonde Redhead) e con il pop-rock sofisticato di band come Stereolab, Portishead e Radiohead).

Inevitabile, dunque, pervenire alla conclusione che la new wave sia stato non solo uno dei movimenti più fertili del rock, ma anche uno dei più duraturi e influenti.

Discografia

Residents - Meet The Residents (1974)
Suicide - Suicide (1977)
David Bowie - Low (1977)
Elvis Costello - My Aim Is True (1977)
Ultravox! - Ha!Ha!Ha! (1977)
Throbbing Gristle - Second Annual Report (1977)
Stranglers - Rattus Norvegicus (1977)
Television - Marquee Moon (1977)
Patti Smith - Easter (1978)
Pere Ubu - The Modern Dance(1978)
Devo - Are We Not Men? (1978)
Magazine - Real Life (1978)
Blondie - Parallel Lines (1978)
Clash - London Calling (1979)
Pop Group - Y (1979)
Tuxedomoon - Half Mute(1979)
Public Image Limited - Second Edition (Metal Box) (1979)
Cabaret Voltaire - Mix-Up (1979)
Police - Regatta de Blanc (1979)
Wire - 154 (1979)
Chrome - Half Machine Lip Moves (1979)
Talking Heads - Remain In Light (1980)
Feelies - Crazy Rhythms (1980)
Japan - Gentlemen Take Polaroids (1980)
John Foxx - Metamatic (1980)
Ultravox - Vienna (1980)
Joy Division - Closer (1980)
Bauhaus - In The Flat Field (1980)
Sound - Jeopardy (1980)
Fall - Grotesque (1980)
Echo & The Bunnymen - Crocodiles (1980)
Clock Dva - Thirst (1981)
Gang Of Four - Solid Gold (1981)
Rip Rig + Panic - God (1981)
Killing Joke - Killing Joke (1981)
Soft Cell - Non-Stop Erotic Cabaret (1981)
New Order - Movement (1981)
Human League - Dare (1981)
Birthday Party - Prayers On Fire (1981)
Psychedelic Furs - Talk Talk Talk (1981)
Siouxsie & The Banshees - Once Upon A Time - The Singles (1981)
The Cure - Pornography (1982)
Simple Minds - New Gold Dream (1982)
Virgin Prunes - …If I Die, I Die (1982)
Xtc - Drums And Wires (1983)
U2 - War (1983)
Cocteau Twins - Treasure (1984)
Nick Cave & The Bad Seeds - From Her To Eternity (1984)
The Cars - Heartbeat City (1984)
Julian Cope - World Shut Your Mouth (1984)
Christian Death - Catastrophe Ballet (1984)
Einsturzende Neubauten - Halber Mensch (1985)
Dead Can Dance - Spleen And Ideal (1985)
The Church - Heyday (1985)
Sisters Of Mercy - First, Last And Always (1985)
Jesus & Mary Chain - Psychocandy (1985)
The Cult - Love (1985)
Litfiba - Desaparecido (1985)
CCCP - Affinità-Divergenze... (1986)
Depeche Mode - Black Celebration (1986)
David Sylvian - Secrets Of The Beehive (1987)
Swans - Children Of God (1987)
Pietra miliare
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