Public Image Ltd.

Metal Box

1979 (Emi)
post-punk, dark

Drive to the forest in a Japanese car...


Dove finisce la linea di demarcazione tra la realtà visibile e un palcoscenico di devastante inutilità che sfonda l'effimera geometria mentale con cui perimetrare una straripante follia? I germi di una infanzia dall'elettroencefalogramma rotto in più punti pre-annunciano una fulgida discontinuità, mirabile nel suo delirio, indicibile nella sua esplosione, tragica nel suo urlo più indignato, vitale di un flusso accelerato.
Vita attiva, che, con braccia nervose, prende tutto ciò che ha intorno, e, in un positivo moto d'ira, lo capovolge e scaraventa in terra riducendo ogni schema mentale sottovuoto in miseri brandelli.
Tutto paradossalmente comprensibile e ovvio per un padre e una madre indignati più per assecondare un dovere sociale, che per reale collera.

John "Rotten" Lydon, dopo la "più grande truffa del rock 'n' roll", decide di tornare sui suoi antichi, più meditati passi, avvinghiandosi a un approccio che finalmente possa lasciarne rifulgere un guizzo troppo velocemente abusato dai Sex Pistols. O forse, quella con i Sex Pistols è stata la tappa obbligata di un percorso curiosamente a ritroso, funzionale al trarre dai vecchi fantasmi materia viva di cui cibare la propria, consapevole claustrofobia.

Non ci sono mai storie troppo divertenti, e nemmeno troppo romanzate, in "Metal Box", secondo album dei Public Image Ltd., nuova formazione a cui John dà vita insieme al bassista Jah Wobble, al chitarrista Keith Levene (convertito al verbo post-punk, dopo la militanza nei Clash) e al batterista Tim Walker.
Ciò che accade in "First Issue", debutto del 1978, è atto di acerba, promettente ira, ancora poco abile nel governare se stessa e rendere al meglio quell'arte del nichilismo che, in "Metal Box", perviene a un grado di auto-consapevolezza e raffinatezza da rabbrividire.

Il fuori, una gelida, minimale scatola di metallo, è specchio fedele di quello scorticante calvario che c'è dentro. Un calvario che comincia sin dall'apertura della porta di una stanza densa di fumo, da occludere la vista e costringere ad arrancare in un disordine pieno di spigolosi frammenti lasciati cadere dal basso in preda a un cupo, lancinante singhiozzo ("Albatross"). Ma la volontà di potenza è tale da uscirne indenni, e indossare con mirabile schiettezza ogni singolo brandello, superstite di una guerra contro il proprio, urticato sistema nervoso, attraverso una danse macabre, convulsamente arabeggiante e come abbarbicata a un albero malato durante l'apocalisse ("Memories").

Subito dopo, in tre asfissianti movimenti di un Sé schiantatosi contro la sua stessa fobia, ci si lancia in un ammorbante precipizio dub di cui si preghi non esista un fondo ("Swan Lake"), e che, se questo fondo esista realmente, sia il più denso possibile ("Pop Tones"), appiccicoso collante di trame sonore vibranti un'angoscia che par rispondere, a suo modo, agli episodi di più desolante sbriciolamento interiore di Ian Curtis ("Careering") che, nella seconda parte del disco, prosegue con le ritmiche agghiacciate della strumentale "Graveyhard", con Jah Wobble che decide di titillare quanto di più lentamente sanguinolento possa venir fuori dal suo basso.

L'osservazione di un'umanità ridotta al mortificante schematismo scandito da un'inconsapevole obbedienza a bisogni primari e secondari diventa il tema centrale della monotonia annoiata in "Suit", per poi ridestarsi di adrenalina nell'atmosfera elettrizzata di "Socialist", psycho-dance pre-A Certain Ratio, con l'ultimo spezzone di questa inestricabile bobina sciolta in lacrime liberatorie, dopo la disperazione di una lunga crisi di nervi ("Radio 4").

Una crisi di nervi che, salvifica, trova la sua più dolorosa, ma risolutiva catarsi in una scatola di metallo, dove tutto è pietrificato ed elettrificato, ancora singhiozzante il più violento elettrochoc che la società, nemico uno della consapevolezza, potesse infliggere al fragile tessuto interiore proprio dell'uomo post-moderno.

19/03/2008

Tracklist

  1. Albatross
  2. Memories
  3. Swan Lake
  4. Poptones
  5. Careering
  6. No Birds
  7. Graveyard
  8. The Suit
  9. Bad Baby
  10. Socialist
  11. Chant
  12. Radio 4
Nota: nella prima edizione in vinile i brani 10, 11 e 12 erano parte di un'unica traccia