L'album d'esordio dei Killing Joke fu un enorme meteorite caduto sul pianeta rock in piena era new wave. Il suo passaggio provocò una voragine, un cratere lunare, un vuoto colmato solo molti anni dopo da gruppi del calibro di Nine Inch Nails e Ministry. Una danza tribale d'origine aliena eseguita nell'oscurità del cielo britannico.
La storia del gioco che uccide ha inizio nel 1979; il gruppo è composto dal cantante organista Jaz Coleman, dal batterista Paul Ferguson, dal chitarrista Geordie e dal bassista Martin Glover. A influenzare il loro sound sono soprattutto l'avant-garage schizofrenico dei Pere Ubu e il punk-funk dei Pop Group, ma anche il punk decadente dei Siouxsie And The Banshees. Dopo l'uscita di tre singoli che anticipavano di fatto le loro intenzioni musicali, nel 1980 viene pubblicato l'omonimo "Killing Joke". Atmosfere infernali da girone dantesco, condite da un tribalismo inedito e da getti improvvisi di distorsioni elettroniche, sono la ricetta di un disco che già dalla copertina trasmette un senso di angoscia e di oscuro funambolismo.
L'inizio è un lugubre addio. "Requiem" apre il disco catapultando l'ascoltatore in una messa funebre celebrata senza soste, con continue variazioni che conducono sempre allo stesso malvagio incedere di Ferguson. Una perfida liturgia allestita con magniloquenza ancestrale; un "elettroshock" eseguito in compagnia del canto malefico di Coleman. Colpi di tosse e nastri riavvolti celermente aprono "Wardance", saggio ancor più efficace dell'incedere impetuoso del gruppo: la voce di Coleman assume timbri cibernetici, alieni; perfettamente robotizzato è anche il giro di basso a ciclo continuo di Glover, mentre le percussioni di matrice afro-britannica di Ferguson sono il motore assoluto di questa danza di guerra che si conclude a colpi di frusta.
Ascoltare la successiva "Tomorrow's World" è come passeggiare al fianco di Alex e dei suoi drughi e condividerne le malvagità più bizzarre; un gioco assassino, appunto; un dadaismo selvaggio contraddistingue il canto di Coleman, al colmo della sua nevrastenia. "Bloodsports", invece, è un ipotetico horror-training, con il gruppo che insegue il riff incessante e ripetuto di Geordie; una cavalcata continua che sfocia in ovazioni corali e lente digressioni elettroniche.
"The Wait" è centrata su un riff pre-metal e costituisce il cuore pulsante dell'album, la celere sintesi delle idee di Coleman e del gruppo. La successiva "Complications" assesta le precedenti accelerazioni verso un'andatura più regolare, ma non per questo meno violenta. "$.0.36" è uno dei capolavori del rock decadente tutto: una voce agghiacciante, in stile radiofonico, prefigura scenari apocalittici, prima che Geordie cominci a imbastire un'altra danse macabre, spalleggiato da Ferguson e Glover in scansione ciclica. Coleman è lontano e urla, dal fondo di una voragine. "Primitive" chiude l'opera con Ferguson che gioca ancora pericolosamente, seguito a ruota dal gruppo che ripete all'infinito gli stessi accordi.
Con questo disco Coleman, Ferguson, Geordie e Glover lanciarono una new wave tribale, decadente, da scenario apocalittico, coniando un personale rock-industrial in versione primordiale; genesi caotica di quel sound che mescolerà frastuoni metallici al rock più estremo (Nine Inch Nails, Ministry fino a gruppi come Korn e Deftones). Tantissime sono le band che hanno attinto dall'esperienza dei Killing Joke, soprattutto da questo disco, cercando spesso di aggrapparsi anch'esse a questo meteorite impazzito, inafferrabile in ogni sua singola nota o, meglio, in ogni sua singola scheggia.
31/10/2006