Siouxsie And The Banshees

Juju

1981 (Polydor)
dark-punk

Nel 1981, anno d'uscita di "Juju", Susan Janet Dallion alias Siouxsie Sioux può già vantare un lusinghiero primato. Da semplice "groupie" dei Sex Pistols è assurta al ruolo di fondatrice di un nuovo genere - e dei più affascinanti - del rock: il dark-punk. Tutto era cominciato cinque anni prima, quando al festival punk londinese del 100 Club si era esibita questa singolare formazione: Siouxsie alla voce, Steven Severin (Havoc) al basso, Marco Pirroni alla chitarra, John Simon Ritchie, meglio noto come Sid Vicious, alla batteria. Siouxsie - proveniente dal Bromley Contingent, il manipolo di fan che seguivano le gesta dei Sex Pistols - aveva folgorato il pubblico con la sua voce straziata e con la sua presenza scenica inquietante, metà Pierrot metà maschera glam.

Ma quella formazione si dissolverà presto: Pirroni confluirà negli Adam And The Ants, Vicious nei Sex Pistols. Resteranno, invece, Siouxsie e Severin che, in compagnia di Kenny Morris e John McKay, incideranno il primo singolo a nome Siouxsie & The Banshees, "Hong Kong Garden", subito seguito dall'album d'esordio, "The Scream". L'urlo di Siouxsie segna il distacco dal "no future" dei cugini Pistols: alla violenza del punk, infatti, i Banshees preferiscono testi arcaici e sonorità cupe, perse in un vortice snervante di echi, riverberi e distorsioni. Un clima a metà tra horror e ritualismo ossianico, che trova nel look stregonesco della leader (pesante make-up, abiti in pelle nera, borchie, reti, simboli necrofili) il suo veicolo naturale.

Certo, in questa nebbia nera che avvolge l'Inghilterra non si può non scorgere il fantasma di Nico, sacerdotessa per antonomasia del rock con le sue litanie sepolcrali fin dai tempi di "All Tomorrow's Parties" (Velvet Underground) e di "Desertshore". Ma se dark-punk significa foga selvaggia + presagi di morte, allora Siouxsie ne dev'esser necessariamente considerata l'iniziatrice, oltre che la massima icona. Con tanti ringraziamenti da band "oscure" come Joy Division, Bauhaus, Sisters Of Mercy e Cure, nonché da parte dei capostipiti di un altro movimento, il dream-pop: palese, infatti, l'impronta di questa riot girl della suburbia londinese nei primi lavori dei Cocteau Twins.

"Juju" è il capolavoro di Siouxsie & The Banshees, il disco che segna il culmine del loro affiatamento e la sublimazione della loro mistura sonora. Alle visioni catacombali, al romanticismo inglese, al tipico gusto per l'occulto ereditato da artisti come Blake e Redcliffe, Siouxsie unisce qui il tribalismo stregonesco dell'Africa profonda ("juju" è una forma di musica tradizionale yoruba, etnia stanziata principalmente in Nigeria). L'uso della musica etnica, combinato con l'elettronica, converge in una sorta di trance allucinata, in un rituale esoterico dai risvolti macabri e funerei.

Apre le danze "Spellbound" ed è subito delirio: la furia della chitarra (acustica) di McGeogh e il tribalismo ossessivo delle percussioni di Budgie spalancano le porte degli inferi, mentre Siouxsie canta come una strega indemoniata, in un climax di deturpazioni sonore e urla lancinanti. Del punk resta solo l'impronta - il ritornello, la velocità, l'immediatezza - ma tutto è ammantato da una cappa nera e maledetta. Giusto il tempo di prendere fiato con l'ipnotica "Into The Light" (melodia avvolgente, con un arpeggio di chitarra e la ripetizione di versi all'infinito in una sorta di effetto-trance), che la band riesplode in un altro dei suoi rituali orrorifici: "Arabian Knights". Il brano sfodera una delle melodie più memorabili del dark-punk, a metà tra atmosfere arcaiche e sapori mediorientali, accompagnata a continue variazioni di ritmo, che sfociano in un galoppo forsennato. Il testo sembra quasi un'invettiva contro l'occidentalizzazione dell'Arabia, ma in un contesto "demoniaco" che non stonerebbe in "Rosemary's Baby": "I heard a rumour, what have you done to her/ Veiled behind screens/ Kept as your baby machine/ Whilst you conquer more orifices...". Siouxsie è l'indiscussa dominatrice di questa cavalcata sonora nei deserti d'Arabia, con il suo vocalismo selvaggiamente roboante e sensuale, che raggiunge qui uno dei suoi vertici.

Dopo tante emozioni, la "danse macabre" di "Halloween" sembra quasi attenuare il pathos, preparando il terreno all'elettronica pulsante di "Monitor", una novelty tecnologica e disturbante, che trasforma le tradizionali atmosfere ossianiche ottocentesche dei Banshees in un incubo post-industriale. Gli spettri gotici riaffiorano però in "Night Shift", ballata dalla maestosità satanica: la notte di Siouxsie si consuma in un ideale cimitero muschioso delle brughiere d'Albione, affollato di vampiri, zombie e assassini: "The cold marble slab submits at my feet/ With a sweet dissection/ Looking so sweet to me - please come to me/ With your cold flesh - my cold love...".

È invece il retaggio punk della band a riemergere nella schizofrenica "Sin In My Heart", che alza il ritmo grazie al drumming indiavolato di Budgie. La chitarra "noise" di McGeogh prende il sopravvento su "Head Cut", in uno scenario horror degno d'un dipinto di Bosch, tra labbra sanguinanti, maschere della morte, teste tagliate e fiamme dell'inferno. È il preludio all'epilogo grandguignolesco di "Voodoo Dolly", in cui il fervore di Siouxsie straripa in una terrificante orgia necrofila. Il rituale di magia nera della "bambola voodoo" si celebra tra le urla spettrali di Siouxsie, i ricami atmosferici della chitarra di McGeogh e la rumba tribale inscenata da Budgie. Il testo non è dei più originali - "She's such an ugly little dolly/ and she's making you look very silly/ and when you listen in to her ear/ you get paralysed with her fear" - e la musica scade, a tratti, in una pomposità kitsch, ma il brano si può comunque annoverare tra i più agghiaccianti incubi gothic-rock di sempre.

È il degno epitaffio di un album che, come pochi altri, ha portato all'eccesso pregi e difetti del gothic-rock, spaziando, nell'arco di poche note, da Edgar Allan Poe a un horror movie americano di serie B. Un disco che in un certo senso, riassumendo il passato, chiude un'era. Difficile addormentarsi, dopo averlo ascoltato, senza che la visione della strega Siouxsie che brandisce la sua bambolina voodoo torni a turbare le nostre notti.

09/11/2006

Tracklist

  1. Spellbound
  2. Into The Light
  3. Arabian Knights
  4. Halloween
  5. Monitor
  6. Night Shift
  7. Sin In My Heart
  8. Head Cut
  9. Voodoo Dolly