"Juke-Box" è un passo indietro dal formato-album, un ritorno ai mattoni del pop: le canzoni. Riff, ritornelli, parole e immagini: quelle dei videoclip, o quelle che la musica evoca e utilizza per sedurre l'ascoltatore.
Lo scopo di questa rubrica è proprio entrare in questo gioco di seduzione, da sempre cruciale e da sempre dato per scontato. Scoprirne storie e protagonisti, ma soprattutto meccanismi, regole ed eccezioni. Guidati da una semplice domanda: come funziona una canzone?
Rispondere in modo univoco sarà impossibile. Nella colonna a lato ci saranno altri spunti di approfondimento, "tracce" diverse che la canzone incrocia o lascia dietro di sé. Pronti a inserire la monetina?
Cominciamo da una canzone semplice, intensa, che emoziona senza bisogno di alcun commentario. Come ogni canzone semplice che si rispetti, "America" è più complessa di quel che sembri.
Due innamorati, che lasciano le loro routine di ogni giorno per un viaggio attraverso il loro paese, quegli Stati Uniti che la canzone chiama semplicemente "America". La narrazione non è esplicita: procede per immagini, accenni obliqui che mettono a fuoco i dettagli più quotidiani lasciando il panorama complessivo vago, sospeso. La corriera Greyhound presa a Pittsburgh, l'autostop da Saginaw, la superstrada del New Jersey. Questi sono gli unici indizi vividi sulla vita dei due, flash di memoria che non rispondono agli interrogativi: chi sono? da dove vengono? dove vanno?

E' un viaggio su cui domina la tenerezza, il tepore di due compagni che siedono accanto su un autobus di lunga percorrenza e si appisolano l'una contro l'altro, guardando fuori dal finestrino. Tenerezza, intimità che sono suggerite fin dalle prime note della canzone - un mormorio vellutato che culla, cresce piano e introduce il tema discendente della strofa.
Pure l'America arriva ancor prima che il testo la evochi, con una chitarra tremolante in perfetto stile
The Band. Il dialogo tra i due elementi - la dolcezza fra i due amanti e la comune ricerca dell'"America" - è il fulcro della canzone, e ne delinea il sentiero.
Nella prima strofa niente incrina l'atmosfera bucolica. Armonie vocali quasi sussurrate, accordi acustici che procedono sicuri, sulla buona vecchia progressione del Canone di Pachelbel. Le parole raccontano la partenza, le aspettative, i sogni. E' così anche la seconda, che però - sottile dettaglio - si chiude su un accordo "sospeso", una settima maggiore, proprio in coincidenza con la parola "America". E' il primo accenno di incompletezza, di vacillamento.
Gli fa seguito un bridge, tutto settime maggiori, che racconta le fantasticherie sull'autobus. Un sassofono scherza in sottofondo, ovattato: "Laughing on the bus, playing games with the faces/ She said the man in the gabardine suit was a spy/ I said be careful his bowtie is really a camera". Tre versi consecutivi per descrivere una sola immagine: è il momento più convenzionalmente narrativo della canzone. E' anche il momento più sognante, e si dirada silenziosamente nella strofa successiva. Il bisogno svogliato di una sigaretta nel cappotto, una rivista letta da lei, estranea. La luce della luna che sbiadisce i colori di fuori.
Organo. "Cathy, I'm lost - I said, though I knew she was sleeping". E' l'apice emotivo del pezzo, l'attimo in cui, poco dopo l'improbabile spia, anche il sogno dell'"America" svanisce, lasciandosi dietro un senso sconsolante di vuotezza.
Due frasi, poi il testo non ci torna su. Ma tanto basta perché sulla canzone cali un'ombra: organo, armonizzazioni vocali e un estemporaneo accenno di percussioni convergono per un istante, e un istante solo, in un'amarezza improvvisa e imprendibile. Un'epifania al negativo, che proietta la disillusione intima in dimensione universale, quasi spirituale.
Il crescendo finale sembra scivolar via. Lo sguardo è perso a contare le automobili che passano, la mente chiusa in sé stessa.
Resta solo l'organo: con lui, in dissolvenza, se ne vanno America e chimere.
(19/04/2010)