Véronique Chalot - Complainte de la blanche biche
(1975 - Inclusa nell'album "“La chanson de Provence - Antiche ballate provenzali e bretoni dal XIII al XIV secolo”, Folkstudio, 1975 - riedito nel 1995)
(1975 - Inclusa nell'album "“La chanson de Provence - Antiche ballate provenzali e bretoni dal XIII al XIV secolo”, Folkstudio, 1975 - riedito nel 1995)
Tutto si può dire del defunto settimanale Avvenimenti, nel quale chi scrive ha prestato servizio per un lustro, tranne che non accettasse le sfide temerarie. Tipo provare a incrementare le vendite allegando cd di litanie tradizionali curde, balli russi o canti di Maremma e d'anarchia. Ma spesso è proprio osando l’inverosimile che si possono scoprire i tesori. E non ne mancavano certo, in quella bizzarra collana che riesumava dalle cantine i nastri perduti del Folkstudio, dalle ballate celtiche di John Renbourn alla bossanova di Irio De Paula. A stregare il sottoscritto, però, fu un cd ancor più polveroso e misconosciuto: “La chanson de Provence - Antiche ballate provenzali e bretoni dal XIII al XIV secolo” a cura di Véronique Chalot. In copertina, solo la smunta folksinger di Le Havre, sbarcata in Italia nel 1975 in veste di ambasciatrice del revival celtico e finita imprevedibilmente scritturata dal boss Cesaroni nel suo tempio folk, a Roma, per incidere questo Lp d’esordio. Dentro, tra le tante perle di questo sound maestoso e ancestrale, una ballata di quelle che fin dal primo ascolto ti restano attaccate addosso come un sortilegio: “Complainte de la blanche biche”.

Tutto ha origine da uno dei lais del XII secolo, brevi “chant”, novelle in versi, praticati dai trovatori e spesso ispirati a miti e leggende di origine varia. Specialista del genere in Francia, nel XII secolo, è Marie de France, misteriosa scrittrice-badessa, la cui identità ufficiale non sarà mai resa nota, alimentando tesi di ogni genere, inclusa quella che non sia mai esistita e il suo nome sia una pura invenzione letteraria che unisce autori legati da una stessa matrice culturale. La sua opera sviluppa le tematiche dell'amore cortese trascrivendo leggende della Materia di Britannia (ciclo bretone o arturiano). E proprio il suo “Lai de Guigemar” è il primo embrione del “Complaint”: giovane vassallo dal cuore di pietra, Guigemar uccide la bianca cerbiatta (biche) durante una battuta di caccia, ma questa gli restituisce un sortilegio attraverso la freccia che, di rimbalzo, ferisce Guigemar alla coscia: unico rimedio al vulnus sarà l'amore, che finalmente il giovane troverà in una dama venuta dall'aldilà, che altro non sarà se non la reincarnazione della stessa bianca cerbiatta.

Secondo Venturi, però, “questa romantica storia nasconde un mito più antico e ben più tragico, dissimulando un tema che nelle antiche ballate era all'ordine del giorno: l'incesto, uno dei più inconfessabili peccati di una società arcaica e rurale”. E a sostegno della tesi, cita un altro standard dell’epoca, di origine scozzese, “The Bonny Heyn”, nel quale, “non a caso, la vittima dell'incesto (anche se accidentale) è ancora presentata come una cerbiatta, attraverso l'apparenza di un sogno, un comune artificio per dissimulare la realtà”.
Tramite la metafora della cerbiatta, apprendiamo così la vicenda della sventurata Marguerite (Noguent nella versione originaria della De France), costretta a subire ripetute violenze dal fratello Renaud e a tal punto disperata da rivolgere un'ultima supplica alla madre: “Son fanciulla di giorno, e la notte una bianca cerbiatta / Mi danno la caccia i prìncipi e i baroni/ E mio fratello Rinaldo è di tutti il peggiore/ Andate, madre mia, andate a dirgli lesta/ Che fermi i suoi cani fino a domani a mezzogiorno”. L'epilogo, però, è degno della più truculenta delle murder ballad: la cerbiatta viene abbattuta, scuoiata e cucinata per il banchetto dei nobili, mentre il crudele Renaud si interroga beffardamente su dove si trovi la sorella; finché quest'ultima – in un finale dai risvolti grotteschi e sovrannaturali - si manifesta attraverso i resti della cerva: “Non dovete che mangiare, io sono a capotavola/ La mia testa è nel piatto, il cuore alle caviglie/ Il mio sangue è sparso per tutta la cucina/ E sui vostri neri tizzoni bruciano le mie povere ossa”.
In una sorta di ribaltamento del mito di Ifigenia – scampata al sacrificio dopo essere stata sostituita da Artemide con una cerva e portata in Tauride - la bianca cerbiatta diviene così il simbolo di tutte le fanciulle atrocemente abusate in famiglia, trasformando il mito romantico di Marie de France in un grido di dolore universale.
Il “Complainte de la blanche biche” non solo si è diffuso nel Nord Europa – anche attraverso la gemella scozzese “The Bonny Heyn” - ma ha varcato i confini dell'Oceano e del Nuovo Mondo, mettendo radici nel Québec francofono, dove – sempre secondo Venturi - “sembra mantenere una melodia molto più elementare, mentre il testo fa affiorare dei particolari perduti: in primis, la possibile colpa della madre della bianca cerbiatta, che non avverte il figlio (che qui si chiama Julien). Pentitasi della colpa, la madre si fa scoprire dal figlio e decide di espiare perdendosi nel bosco; ma il figlio le prende il pugnale e si uccide”. Una evoluzione che potrebbe scaturire da differenti versioni europee andate perdute e che Michel Faubert raccoglierà nella sua versione del brano (nell'album “Maudite mémoire” del 1992). Ci sarà anche chi ne realizzerà una versione polifonica (il Poème Harmonique nell'album “Plaisir d'Amour - Chansons & Romances de la France d'autrefois”) e chi la modellerà su canoni più propriamente folk-rock (i Grattons-Labeur di Danielle Messia, nell'album "Le bal des sorciers" del 1976).
La versione di Véronique Chalot

Dimenticavo: il cd di Véronique Chalot al Folkstudio è ormai introvabile, ma forse qualche copia circola ancora tra mercatini e aste online: se vi capita l’occasione, non fatevelo sfuggire.
Celles qui vont au bois, c'est la mère et la fille,
La mère va chantant et sa fille soupire.
Qu'a vous à soupirer, ma blanche Marguerite?
J'ai bien trop d'ire en moi et n'ose vous le dire.
Je suis fille le jour et la nuit blanche biche
La chasse est après moi des barons et des princes.
Et mon frère Renaud qui est encore le pire;
Allez ma mère, allez, bien promptement lui dire
Qu'il arrête ses chiens jusqu'à demain midi.
Où sont tes chiens Renaud, et la chasse gentille?
Ils sont dedans le bois, à courre blanche biche.
Arrête-les Renaud, arrête je t'en prie.
Trois fois les a cornés de son cornet de cuivre,
A la troisième fois la blanche biche est prise.
Mandons le dépouilleur qu'il dépouille la biche
Celui qui la dépouille dit: Je ne sais que dire.
Elle a les cheveux blonds et le sein d'une fille.
A tiré son couteau, en quartiers il l'a mise.
En ont fait un dîner aux barons et aux princes:
Nous voici tous illec, hors ma sœur Marguerite.
Vous n'avez qu'à manger, suis la première assise,
Ma tête est dans le plat et mon cœur aux chevilles.
Mon sang est répandu par toute la cuisine,
Et sur vos noirs charbons mes pauvres os s'y grillent.
Celles qui vont au bois, c'est la mère et la fille,
La mère va chantant et sa fille soupire.
Qu'a vous à soupirer, ma blanche Marguerite?
J'ai bien trop d'ire en moi et n'ose vous le dire.
***
Traduzione italiana (a cura di Riccardo Venturi)
Quelle che vanno al bosco, son la madre e la figlia,
La madre cammina cantando, e la figlia sospira.
Che cosa avete da sospirare, mia bianca Margherita?
Ho in me tanta collera, e non ho il coraggio di dirvelo.
Son fanciulla di giorno, e la notte una bianca cerbiatta,
Mi danno la caccia i prìncipi e i baroni.
E mio fratello Rinaldo è di tutti il peggiore;
Andate, madre mia, andate a dirgli lesta
Che fermi i suoi cani fino a domani a mezzogiorno.
Dove sono i tuoi cani, Rinaldo, la tua nobile muta?
Sono nel bosco a dar la caccia alla bianca cerbiatta.
Fermali, Rinaldo, fermali, ti prego.
Tre volte li ha incitati con il suo corno di rame,
Al terzo suono del corno la bianca cerbiatta è presa.
Mandiamo qualcuno a darle il colpo di grazia e a scuoiarla,
Lo scuoiatore dice: Proprio non so che dire.
Ha i capelli biondi e il seno di una fanciulla.
Ha cavato il coltello e l'ha squartata,
Ne hanno fatto un pranzo per i prìncipi e i baroni:
Eccoci tutti qua, tranne mia sorella Margherita.
Non dovete che mangiare, io sono a capotavola,
La mia testa è nel piatto, il cuore alle caviglie.
Il mio sangue è sparso per tutta la cucina,
E sui vostri neri tizzoni bruciano le mie povere ossa.
Quelle che vanno al bosco, son la madre e la figlia,
La madre cammina cantando, e la figlia sospira.
Che cosa avete da sospirare, mia bianca Margherita?
Ho in me tanta collera, e non ho il coraggio di dirvelo.
(Un ringraziamento particolare a Riccardo Venturi e al sito Canzoni contro la guerra per le preziose informazioni offerte)