La leggenda vuole che "The Marble Index", il primo vero album di Nico, sia nato in un deserto americano, dove Jim Morrison e Christa Päffgen erano soliti avventurarsi per godersi una silenziosa storia d'amore e diverse sostanze allucinogene di moda, tra cui alcuni cactus indigeni capaci di far cantare le dune desolate. "The Marble Index" è il Big Bang del genio di Nico, che passa dall'essere la chanteuse cosmetica di facciata per gli oltraggiosi Velvet Underground, dall'essere una groupie glorificata, a divenire la mente che avrebbe sconvolto, con le sue macchinazioni sovrumane e psichedelìe di velluto, la storia della musica rock.Nella maturità artistica successiva, quando interrogata sugli antefatti che l'avrebbero portata a scrivere per la prima volta la sua musica e i suoi testi, Nico rispondeva con un sognante quanto amareggiato "sometimes someone just has to tell you what to do" ("a volte c'è bisogno che qualcuno ti dica cosa fare"), a dimostrazione di quanto quel contatto profondo con Jim Morrison l'avesse liberata dalla sua prigione estetica di modella da tabloid post-bellico europeo, scatenando la sua vera forza espressiva - fu proprio Morrison a insistere affinché la sua amata e spettrale Odette trovasse la sua dimensione personale in quel mondo che l'aveva ingerita solo come palliativo con cui nascondere il grigio dell'eroina, in quegli anni terrificanti, a cavallo tra i 60 e i 70.
Ogni aspetto della vita di Nico è stato tinto dalla tragedia, e, proprio per questo, nessuno ha mai portato la tragedia in musica con la stessa maestria e amaro commiato - lei è la sirena del mare di cenere, e noi ci bagniamo nel suo canto. John Cale fu il primo a vedere la scintilla nera della sacerdotessa, e fu infatti lui ad aiutarla a comporre questo primo, magistrale, autentico lavoro, suonando gli strumenti di accompagnamento al funebre e incantato harmonium - proprio da questo album infatti nascerà la firma stilistica della sua intera golden age: l'organo indiano a pedali di Nico, struggente e imperdonabile, condito dalla viola schizofrenica di Cale, pulsante e convulsa.Siamo invitati a teatro con il nostalgico carillon di "Prelude": la sghignazzante melodia minimale viene rincorsa da un piano vorace che batte un pensiero triste di risposta a ogni sorriso spontaneo, e proprio quando il climax arriva, la tensione si rompe. In "Lawns Of Dawns", Nico propone una sfida all'ascoltatore ("Can you follow me?"), chiedendo di starle accanto e non perdere il ritmo. Con una melancolia e un'ironia uguagliate forse solo dal suo contemporaneo Robert Wyatt nel colossale "Rock Bottom", Nico trascina l'orecchio ancora sobrio nel suo giardino di belladonna per tormentarlo e mostrargli un dolore che arde più violentemente di una supernova, capace di colorare l'aria con riff psych di chitarra elettrica, percussioni di legni in un tip-tap ossessivo e synth che sembrano ricordi fittizi e folate di vento.
La sirena punta il dito, e noi guardiamo: sul palco c'è un diavolo che balla il suo assolo, "No One Is There". Autobiograficamente, adagiata solo sul letto delle sferzate delle quattro viole di Cale, Nico riposa il suo corpo stanco, proiettando il suo tormento in una traccia che testimonia le lacrime che ha versato per ogni amore che l'ha abbandonata, che l'ha usata e poi rinnegata. È difficile anche descrivere a parole cosa "No One Is There" realmente, musicalmente sia: formalmente, un lamento greco per voce e archi - pragmaticamente, la trasposizione in musica più fedele di un pianto di tristezza. Nella versione alternativa di "No One Is There", contenuta in "The Frozen Borderline" (1968-1970) (Rhino, 2007), il vuoto tetro che si apre sotto la voce di Nico viene confinato dal caldo abbraccio tonale dell'armonio - la versione scartata incarna infatti la compassione verso il Sé, l'edizione ufficiale rappresenta invece l'oggetto nudo, la sofferenza spogliata che si mostra, che si lascia giudicare e anche deridere sul palco della fragilità.La preghiera di pioggia di "Ari's Song" tinge di nuovo con la speranza la volta desertica - è la splendida dedica di una madre innamorata a suo figlio. Soffi, stridori, il suono pieno dell'organo che abbraccia l'autunnale ma giocosa armonica, responsabile di aver trasformato il lied funebre di Nico in una serenata alla luna. Con "sail away into a dream" la madre toglie le mani dagli occhi ora stupefatti di Ari, e con il climax di "let the wind sing you... a fantasy" il tetto di nuvole di "The Marble Index" viene squarciato da un miracolo, rivelando un'emozione magmatica.
Regnano tra ciò che è rimasto di Nico le storie: Edith Boulogne, madre di Alain Delon, racconta delle sporadiche visite che Ari riceveva dalla mamma. Il bambino, che era stato rinnegato dal padre e allontanato dalla tormentata madre, cresceva nella serena Francia dei nonni paterni, affidato a due persone che avrebbero perlomeno cercato di ancorarlo a un mondo diverso, più semplice.
Nonostante un triste destino velasse già allora l'orizzonte, quando i nonni videro Nico tornare dalla scintillante America per la prima volta in tre anni con una misera arancia in dono al bimbo, non riuscirono a odiarla o biasimarla quanto avrebbero voluto, o quanto sarebbe razionale fare vedendo una genitore ignorare il proprio figlio - una strana luce di bontà in lei, un inspiegabile bagliore, che Edith descrisse con "era la donna più bella che avessi mai visto".
La bufera di "Facing The Wind" riesce a rendere la voce termale della cantante un sibilo robotico, e il clavicembalo di Cale cade in una psicosi folle, incoraggiato dall'orrido harmonium che porta via anche la pace del silenzio. Le armonie sono acide e il tempo è scandito da due note laceranti di organo, imbevute di un'ansia cosmica che paralizza la melodia stessa - "There's nothing more to sing about".
"Julius Caesar" è il picco lirico dell'album, ma preferirei solo dire che è il picco lirico. L'eccelsa penna di Nico stende la fiaba di Eolo, che sotto la liberata forma di vento attraversa la penisola italica e vede attraverso i suoi celesti occhi le meraviglie di un'età dimenticata: banditi che assaltano carovane, stagni che cingono alberi dai frutti proibiti, statue ridenti di un marmo divino, scorgendo nell'oro l'immagine di uno sconfitto Giulio Cesare immerso nell'estasi, finalmente tra i fiori e i baci di Eolo, finalmente degno della gloria di un dio. La viola e l'harmonium smettono quindi di odiarsi per celebrare la vita dell'uomo il cui sangue è leggenda: il suono vispo dell'organo e la furia barocca del meraviglioso arco creano un giardino dell'Eden sonoro che si colora man mano che la sirena, ora dea, canta le sue parole di miele."Frozen Warnings" è un'alba in un album di tramonti: lo stridore della viola smette di sembrare una maledizione e inizia a sembrare una fenditura luminosa, e viene accompagnato da un crescendo armonico di organo manipolato elettricamente attraverso un modulatore. Nico canta, per la prima volta, di un mondo di chiarore e possibilità, di chance, ma non dura a lungo.
"Evening Of Light" è un rituale goth-rock per basso elettrico, mandolino, organo e dispositivi di distorsione. In quest'ultima traccia della versione originale dell'album, che rasenta il noise-rock, la donna canta della sua visione dell'apocalisse, la sua "fine del tempo", e immagina la Terra inghiottita da un bagliore alieno mentre i bambini ballano su ciò che rimane del pianeta.
Due tracce sono state aggiunte nella riedizione in cd pubblicata a partire dal 1991, coincidente con l'attuale versione disponibile su tutti i siti di streaming musicale: "Roses In The Snow", un triste valzer per un uomo dall'anima impossibile, e "Nibelungen", un canto nudo che rappresenta un ulteriore slancio lirico, compagno di "Julius Caesar", che attinge alle cavalcate delle valchirie della tradizione norrena. Il gusto letterario prelibato di Nico è proverbiale: in un mondo ubriaco di Lsd e anestetici e altri inibitori, lanciava comunque il guanto di sfida a Coleridge, Wordsworth e Blake - non si misurava con i pesci piccoli del rock, voleva divorare il mondo intellettuale dalla testa.
"The Marble Index" è la lapide che testimonia la mente, la scrittura e il genio irraggiungibili di una donna che ha, e per sempre avrà, infiniti imitatori e nessun pari.
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