Giovane, talentuoso, un artista completo, uno di quei musicisti che mette d'accordo un pubblico potenzialmente molto ampio e una critica - nel jazz più che mai - spesso tanto snob da bruciare artisti affermati e brillantissimi esordienti. Troy "Trombone Shorty" Andrews viene definito sul suo stesso sito "the kind of player who comes along maybe once in a generation" (quel tipo di musicista che nasce probabilmente una volta in una generazione) e se consideriamo che non è riconducibile a nessun genere in particolare - passa da influenze jazz, funk, rock, metal, reggae con una disinvoltura semplicemente sbalorditiva - si può iniziare a capire la caratura del personaggio.
Non si tratta del solito musicista rock che nelle sue composizioni aggiunge un paio di accordi jazz, qualche intrusione reggae, una spruzzata di funk e che si definisce eclettico e di ampie vedute musicali. Troy Andrews è un musicista dal talento cristallino, nato come trombone player nella periferia di New Orleans e cresciuto a pane e musica nera (mettiamoci dentro tutto il blues, il soul e soprattutto il jazz tipico della Louisiana), passato poi per la tromba e la batteria. Ha sempre tenuto le orecchie ben aperte per cogliere anche quelle melodie più pop che un ragazzo giovanissimo non può ignorare, qualunque sia la sua preparazione musicale. La base di partenza è quindi il jazz, ma viene presto allargata grazie alla volontà di rinnovare il genere, di non ripetere stilemi ormai abusati e che spesso costringono questo genere a rimanere, un po' anche per volontà dei musicisti stessi, ghettizzato ed elitario. "I musicisti jazz possono avere una mentalità molto chiusa e io non volevo essere uno di questi musicisti che continuano a riciclare cose che già sono state fatte, perché a quell punto non avrei modo di crescere", sono le parole dello stesso Trombone Shorty.
A proposito del suo soprannome - l'aneddoto oltre che simpatico è anche utile a comprendere il personaggio - bisogna risalire a quando Andrews aveva meno di dieci anni e fu fotografato accanto a un trombone, lo strumento che già a quell'età padroneggiava tanto bene da far parte di una banda locale. Quel trombone era alto più del doppio del giovanissimo musicista, che si è quindi guadagnato tale nome di battaglia. Il risultato di tante influenze differenti è una brillante prova di come si possa ancora oggi aspirare ad ascoltare musica realmente nuova e di qualità.
Negli ultimi anni i riconoscimenti nazionali sono stati molteplici e Troy Andrews, classe '86, è stato definito da molte riviste americane come il musicista più dotato della sua generazione. Addirittura nel 2009 gli organizzatori del New Orleans Jazz & Heritage Festival lo hanno inserito nel cartellone del prestigioso evento, rendendolo di fatto il più giovane artista di sempre a farne parte. Basti pensare che prima di lui il più giovane era stato Wynton Marsalis, all'epoca quarantunenne!
La carriera musicale di Trombone Shorty inizia prestissimo e la sua famiglia, in particolare il fratello musicista e la madre grande appassionata di musica soul e blues, ne asseconda la naturale propensione, evidente sin dai primi passi. Le famose parate cittadine di New Orleans rappresentano il primo palcoscenico per Troy, ma ben presto la sua grande voglia di sperimentare, di trovare una propria strada prende il sopravvento e così arrivano le prime registrazioni, risalenti al 2002 e 2004, rispettivamente Trombone Shorty's Swingin' Gate e 12 & Shorty - quest'ultimo registrato assieme al fratello - che segnano i primi solchi della sua strada musicale. Si tratta di due album di difficile reperimento, usciti unicamente negli Stati Uniti e con una distribuzione anche abbastanza limitata, ma dai quali affiora la propensione polistrumentale e soprattutto la vena jazz, quella prettamente "nera", legata alle origini, alle tradizioni della sua città natale.
L'anno seguente, il 2005, rappresenta l'anno di svolta della sua carriera. Dopo la registrazione del disco The End Of The Beginning assieme a un quintetto di New Orleans, Troy viene arruolato nella sezione dei fiati di Lenny Kravitz. A favorire questa collaborazione, fondamentale per l'ingresso di Trombone Shorty nel giro musicale che conta, è un amico comune, Sidney Torres. In quel periodo Kravitz era alla ricerca di un suonatore di "ottoni" e si era rivolto proprio a Torres il quale non ha potuto esimersi dal parlargli delle doti eccezionali dell'allora diciottenne Andrews Troy. Le iniziali perplessità di Kravitz, che avrebbe preferito un musicista esperto e navigato, non durano molto e dopo un'audizione accoglie a braccia aperte il giovane trombettista. L'esperienza in tour con un big della musica mondiale è stata fondamentale per la crescita dell'artista: un pubblico vastissimo davanti cui esibirsi era solo l'ostacolo più evidente, ma il fatto di dover imparare i brani di Kravitz e il doverli imparare a suonare esattamente come su disco è stato, secondo Troy, lo scoglio più imponente da fronteggiare. Nella sua concezione musicale, prettamente jazzistica, l'improvvisazione era normale, mentre il fatto di dover seguire uno schema con rigidezza e una diligenza scolastica, ha messo Trombone Shorty nella condizione di dover rivedere il proprio approccio al palcoscenico. Sicuramente l'aver unito la sua indole musicale libera e spontanea con la necessaria disciplina e costanza richiesta per l'occasione ha giocato un ruolo decisivo nella sua vita artistica.
Purtroppo il 2005 è anche passato alla storia anche come l'anno in cui l'uragano Katrina ha devastato la Louisiana, stato natale di Trombone Shorty, arrivando a colpire New Orleans proprio durante una pausa del tour con Kravitz. Il giovane musicista non è rimasto con le mani in mano e a modo suo ha contribuito ad aiutare la sua città e il suo stato con una canzone apparsa sull'album "Sing Me Back Home", a favore della raccolta di fondi per la Louisiana, al quale hanno partecipato molti artisti americani. La canzone è "Hey Troy, Your Mama's Calling You", cover del brano "Hey Leroy, Your Mama's Calling You", una hit di latin-jazz-soul composta da Jimmy Castor Bunch nel 1966.
Il 2006 vede la consacrazione di Trombone Shorty come artista internazionale. La collaborazione con il produttore Bob Ezrin e con gli U2 non fa che accrescere la stima di molti artisti della scena musicale mondiale. Nello stesso anno Trombone si esibisce proprio con gli U2 e i Green Day durante lo spettacolo per la riapertura dello stadio di football New Orleans Superdome.
Sino a questo momento Andrews aveva fatto parte di molti gruppi, spesso di amici, altre volte di grandi professionisti del settore. Mancava però qualcosa, il passo decisivo in grado di indirizzare una promessa della musica mondiale al livello successivo. Il crocicchio al quale si affacciava Trombone Shorty era quindi definito e sono i due anni successivi, paradossalmente quelli meno fragorosi a livello di apparizioni musicali, a indirizzare il ragazzo di New Orleans verso la strada più solare e radiosa artisticamente parlando.
Trombone Shorty assorbe le sue energie in un progetto ambizioso che coinvolge alcuni musicisti giovani e di eccezionale valore, come il chitarrista Pete Murano, il bassista Mike Ballard, Joey Peebles e Dwayne William rispettivamente alla batteria e alle percussioni e il sassofonista Dan Oestreiche. La sua vena artistica è fresca e la sua volontà è chiara: produrre musica di qualità, senza porsi barriere concettuali o definire una direzione precisa. Ogni influenza deve convogliare all'interno del progetto per generare un'energia positiva che abbracci dal rock al jazz, passando per il blues, il soul e l'elettronica. Sotto le abili mani del produttore Ben Ellman viene così portato alla luce Backatown, che potrebbe considerarsi il primo vero disco solista di Trombone Shorty.
L'album è un bell'esempio di musica nuova, sicuramente un sound particolare che potrebbe stuzzicare le orecchie di ascoltatori provenienti dall'area più rock e alternativa. Non si tratta di uno standard jazz come si è capito e spesso quando una composizione sembra far intuire una direzione, con quella dopo si cambia radicalmente. Una sezione ritmica precisa e puntuale, tanto da ricordare la precisione e la puntualità di quella di un certo James Brown, è il tappeto musicale ora per un assolo di Andrews, ora per un pezzo decisamente più quadrato, altre volte il contorno a un cantato soul. In "Where Y' At" c'è la grinta delle chitarre rock, il fascino degli ottoni suonati all'unisono, qualche momento di improvvisazione decisamente azzeccato; "The Cure" sembra una canzone partorita da un gruppo noise metal, fino a un'apertura più classicamente rock; "Quite As Kept" ha tutto quanto potrebbe servire per rendere il jazz più appetibile a un pubblico ampio.
Inutile elencare canzone per canzone quali siano gli spunti e le influenze, sarebbe una lista infinita e forse il bello è proprio che l'ascoltatore può soffermarsi a cogliere qualcosa che a un altro orecchio potrebbe sfuggire. Fa capolino anche l'ospite Lenny Kravitz, che ricambia la collaborazione.
Il disco finisce al numero tre della Billboard Jazz Albums Chart e viene nominato per i Grammy Award for Best Contemporary Jazz Album del 2011.
In America si diffonde rapidamente il nome di Troy Andrews e, concerto dopo concerto, le sue performance spettacolari convincono il pubblico. Proprio nel 2011, a luglio, Trombone Shorty e la sua band infiammano il pubblico di Perugia durante l'Umbria Jazz Festival con un concerto letteralmente fantastico mette addirittura in ombra la prestazione del divino B.B. King. Lo stesso King, salito sul palco dopo un'ora e quaranta di concerto di Andrews, appare stupito della sua prestazione e ammette di sentirsi quasi intimorito nel dover impressionare un pubblico che si sta ancora stropicciando gli occhi per le scintillanti note scaturite dal trombone di Andrews.
La penna di Trombone Shorty è calda e dopo appena un anno dall'uscita di Backatown è il momento di accogliere un nuovo album, For True. La formula rimane apparentemente invariata e il calderone di influenze continua a ribollire, lasciando intendere che ogni cosa si getti al suo interno potrebbe trovare collocazione nei pentagrammi di Andrews. La band appare ancora più in forma che sul precedente album e gli assoli di Trombone Shorty risultano decisamente più sciolti, forse anche grazie alla sicurezza acquisita negli ultimi tour. Il disco non sembra risentire della registrazione in studio - cosa assolutamente normale per un genere che nasce per far esplodere la sua energia in sede live - e offre una selezione di brani di valore assoluto. "Back 12", "Buckjump", "For True" fondono ogni influenza con sapienza e riescono a rendere fruibile una gamma di sonorità e arrangiamenti raramente presenti in tale quantità in un solo disco; "Nervis" parte da una base funk e diventa semplicemente qualcosa che ormai potremmo definire solo come "Trombone sound".
Lenny Kravitz, Kid Rock e Jeff Beck sono alcuni degli ospiti presenti sull'album, a testimonianza della crescente fama e importanza di Trombone Shorty nel panorama musicale. Forse manca ancora una popolarità globale, in parte legata a un tipo di musica che in America trova una culla perfetta per crescere e diffondersi, in Europa meno. Ma è probabile che sia solo questione di tempo, poiché la qualità è innegabile e gli show che Andrews porta in giro per il mondo sono incredibili, quel tipo di concerti nei quali si respira l'aria e l'energia dei più grandi della musica. Staremo a vedere se farà prima il Vecchio Continente a scoprire Trombone Shorty o se sarà lui a partorire un ennesimo musical meltin pot prima che ciò avvenga.