Green Day

21st Century Breakdown

2009 (Reprise)
power pop, punk, rock opera

È il destino dei grandi fenomeni pop. Di dividere, spesso e volentieri, critica e pubblico. Anche quando gli esiti estetici potrebbero tranquillamente definirsi trascurabili. È il caso dei Green Day che, compiuti ormai i vent'anni di carriera, non hanno mai detto nulla di granché originale, ma lo hanno sempre detto benino, con un certo qual talento melodico, un bioritmo compositivo invidiabile e un'indubbia efficacia linguistica.
Hanno spesso diviso, dicevamo, e alimentato sul loro conto opinioni diametralmente opposte. La prima volta nel lontano 1994 quando lasciarono l'indipendente Lookout per firmare con la Reprise, preferendola alla più "ortodossa" Epitaph. E sulle fanzine di punk duro e puro si scatenarono anatemi e processi contro di loro. Accusati di avere più a cuore il conto in banca che l'etica professionale. Poi "Dookie" e svariati milioni di copie vendute dopo l'equivoco si chiarì. Parzialmente, almeno. E nei più avveduti cominciò a farsi largo il sospetto che forse tanto punk non lo erano mai stati, al limite solo pop-punk o power-pop. E allora giù "sono i nuovi Nirvana!". "No, sono i nuovi Monkees". E via discorrendo. Chi più ne ha più ne metta.
Avevano legioni di fan, ma ai festival grossi venivano presi a bottigliate dai metallari. Perché loro erano quello che erano: un gruppo pop cresciuto fra i punk e gli alternativi della "rossa" Berkley. E "Warning" (2000) tolse ogni dubbio al riguardo: canzoni ancora più distese e melodiche e messaggi a sfondo sociale che rimpiazzavano l'attitudine fancazzista degli esordi.

Ora, dopo aver messo d'accordo più o meno tutti con l'incensato e richiestissimo "American Idiot" del 2004, efficace montaggio di riff punk/rock e arrangiamenti pop in forma di combat-opera di concetto, ci ricadono con "21st Century Breakdown". Che è balzato subito in testa a Billboard ma che, c'è da giurarci, rinfocolerà ripulse ed entusiasmi parimenti superflui ed esagerati, in un senso o nell'altro, anche fra la critica "alta" e specializzata: c'è già chi lo incorona, come Rolling Stone e Kerrang, e chi lo stronca, con o senza pietà, come Spin e Pitchfork. E noi nel mezzo che cerchiamo di capirci qualcosa senza arroccarci su posizioni preconcette né offendere il buon senso del lettore medio.
"21st Century Breakdown" è un disco che procede sulla falsariga del suo predecessore, all'insegna di un'ostentata idea pop/rock di classicità e maturità, ma riducendone la continuità tematica e l'amalgama nei raccordi fra un brano e l'altro. Brani che, peraltro, tolto qualche scampolo abbastanza pregevole, non sembrano sufficientemente attrezzati  dal punto di vista della freschezza, né della scrittura, per reggere la mole e le ambizioni del concept (un vago fotoromanzo a sfondo sociale che rievoca la love story di una coppia di ribelli - lui un mezzo delinquente, lei una no-global idealista - negli ultimi anni bui della presidenza Bush).
Più che gli Who o i Kinks, dunque, il modello, dichiarato, e comunque inarrivabile, è una collezione di canzoni che dialogano fra loro sul tema della fuga dalla realtà come "Born To Run" di Springsteen.

Peccato, però, che i testi siano di una banalità sconfortante e che dopo quattro o cinque pezzi comincino a pestare vuoto sul tasto della rabbia e dell'alienazione, ripetendo sempre gli stessi slogan spesso senza neanche sforzarsi di cambiare le parole (voi ridete, ma c'è chi li ha accostati ai Clash, chi addirittura ha tirato in ballo i libri di Palahniuk, e qui, vabbè, stenderei un velo).
Meglio parlare di come suona: rock classico, si diceva - pompato a dismisura dalla produzione di Butch Vig (sì, è ancora vivo e fa tenerezza per quanto è rimasto agli anni 90, ma il mestiere innegabilmente non gli manca), con la voce e la chitarra sistematicamente raddoppiate (cosa che pare facesse incazzare come un'ape Cobain ai tempi di "Nevermind"), i volumi enfi e muscolari, e un sentore generale di eccessivo spreco e pulizia - amarcord cali-punk, ballate da bocciare, e qualche barocchismo estemporaneo che tutto sommato lascia il tempo che trova.
Aggiungete che le melodie non sono proprio tutte di prima mano e che pescano da contesti non sempre nobili (ascolti Billy Joe cantare "Glooooria" nel ritornello di "Viva La Gloria!" e non sai se pensare a Umberto Tozzi o a Van Morrison, poi pensi solo che certe cose è meglio non pensarle) e avrete un quadro più preciso della situazione.

Le canzoni, infine: i singoli di punta sono "Know Your Enemy" (ma dai? Che titolo originale!), un hard-punk cafone da Spring Break che tutto sommato fa la sua figura, e "21 Guns", che dovrebbe essere la nuova "Boulevard Of Broken Dreams"; poi la title track, "Before The Lobotomy" e "East Jesus Nowhere", sul canovaccio di "American Idiot", coi riffoni, i cambi e i saliscendi; rigurgiti punk mai del tutto sopiti in "Murder City", "Horseshoes and Handgranades" (con un giro che sembra preso in prestito dagli ex-rivali Offspring) e "American Eulogy: A Mass Hysteria"; un tentativo abbastanza maldestro di ballata notturna e sofisticata con slide e piano ("Last Night On The Earth"); e, dulcis in fundo, i brani più riusciti: "The Static Age" con più d'un rimando ai Ramones post-"End Of The Century", "Last Of American Girls", che ammicca a modo loro al surf e ai Beach Boys, e "Viva La Gloria? (Little Girl)", contaminazione fra un vaudeville e un saltarello country-punk.

Si butta giù d'un fiato ma non lascia tracce sul palato. Come un bicchiere d'acqua fresca e frizzante in queste calde notti d'estate.

26/07/2009

Tracklist

  1. Song Of The Century
  2. 21st Century Breakdown
  3. Know Your Enemy
  4. Viva La Gloria!
  5. Before The Lobotomy
  6. Christian's Inferno
  7. Last Night On Earth
  8. Easy Jesus Of Nowhere
  9. Peacemaker
  10. Last Of The American Girls
  11. Murder City
  12. Viva La Gloria? (Little Girl)
  13. Restless Heart Syndrome
  14. Horseshoes And Handgranades
  15. The Static Age
  16. 21 Guns
  17. American Eulogy (A Mass Hysteria)
  18. See The Light

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