Iron Butterfly

Iron Butterfly

Gli Iron Butterfly sono uno storico gruppo psichedelico, rimasto nella storia soprattutto per la leggendaria suite che dava il titolo al suo secondo album, “In-A-Gadda-Da-Vida” (1968).
La band nasce a San Diego, nel 1966: un quartetto formato da Doug Ingle, Jack Pinney, Greg Willis e Danny Weis, a cui si aggiunge in un secondo momento Darryl DeLoach. Quando la formazione si trasferisce nella megalopoli losangelina, Jerry Penrod e Bruce Morse prendono il posto di Willis e Pinney. Abbandona anche Morse, per problemi familiari, sostituito da Ron Bushy. Un biennio travagliato quello '66-'68, che comunque conduce la band al suo tanto sospirato esordio, dal profetico titolo “Heavy” (1968). Si tratta di un'opera opaca, che propone soprattutto brani di psych-rock con inflessioni blues. Due elementi si distinguono: la chitarra di Danny Weis, soprattutto in "Gentle As It May Seem" e "Look For The Sun"; l'organo di Doug Ingle, soprattutto in "Stamped Ideas". Ma l'opera rimane nella storia per l'epico “Iron Butterfly Theme”, una distorsione di chitarra che potrebbe rubare la scena ai primi Black Sabbath, coprotagonista di un visionario brano strumentale assieme all'organo, ben in mostra nell'assolo centrale. Il finale, terremotante, è una delle più sfrontate manifestazioni di potenza che il rock avesse mai proposto. Tutta la formazione, tranne Ingle e Bushy, lascia la band dopo le registrazioni, con DeLoach e Weis che diventano membri dei Rhinoceros. Entrano alla chitarra Erik Brann (a volte indicato come Braunn) e al basso Lee Dorman, a supporto del tour d'esordio e poi protagonisti dell'opera per cui gli Iron Butterfly sono entrati nella storia.

Il secondo album, “In-A-Gadda-Da-Vida” (1968) è infatti uno dei primi esempi di heavy-psych, uno stile che unisce la propensione allucinata alla passione per suoni duri e spigolosi, dominati da imponenti riff di chitarra. Una mutazione stilistica subito mostrata in “Most Anything You Want”, l'ideale fusione di canzone psichedelica e potenza hard-rock. “In-A-Gadda-Da-Vida” non sarebbe però mai entrato negli annali se non per la title track, uno dei più definitivi deliri psichedelici di tutti i tempi. La leggenda inizia con lo stravagante titolo, secondo una curiosa storiella una storpiatura "stupefacente" del più comprensibile “In The Garden Of Eden”. Poi, dopo il titolo, c'è il brano: 17 minuti di orgia strumentale, il cui pretesto è un breve tema musicale esposto all'inizio. In 3 minuti scarsi la canzone è diventata una jam incendiaria, dalle regole lasche, che ridottasi a una più essenziale forma attorno al sesto minuto lascia spazio a un lungo, tribale assolo di batteria, quindi a un organo liturgico e infine a un violento ritorno del motivo principale della chitarra, per concludere con una febbricitante danza tribale. Insieme a Blue Cheer, Steppenwolf e pochi altri, gli Iron Butterfly diventano i padri del lato più duro della psichedelia con questo torrenziale brano. Una versione semplificata della lunga “In-A-Gadda-Da-Vida”, senza gli assoli e di appena 2:53, diventa inaspettatamente di successo. L'album diventa il primo disco di platino della storia della RIAA, aggiungendo a quel riconoscimento altri tre premi equivalenti negli anni successivi: l'incredibile cifra di 30 milioni di dischi venduti consente di annoverare “In-A-Gadda-Da-Vida” fra i bestseller di tutti i tempi.

Il compito di “Ball” (1969) non è facile: seguire un album importante per l'evoluzione storica del rock e di grandissimo successo commerciale. Diciamolo subito: non ci provano neanche, a replicare il brano torrenziale. Il suggestivo e lugubre mix di hard-rock e psych-rock di In “The Times Of Our Lives” e la similare ma più solare “It Must Be Love”, insieme alla danza in tempi dispari di “Her Favorite Style”, segnano la prima parte dell'opera, anche tentata da diversi momenti di retroguardia, decisamente meno heavy. L'“Iron Butterfly Theme” trova un'erede in “Filled With Fear”, mentre tracce dello spirito della jam arriva solo nella conclusiva “Belda-Beast”. Dopo i colpi di scena di “In-A-Gadda-Da-Vida”, però, questa sembra un'opera insolitamente timida e pacata.
L'anno seguente il gruppo statunitense deve fronteggiare l'abbandono del chitarrista Erik Brann, ma pubblica comunque l'album "Metamorphosis", con Larry "Rhino" Reinhardt e Mike Pinera alle chitarre. L'album riuscirà soltanto ad assicurarsi uno dei posti più bassi della Top 20 nazionale, e nel 1971 la band si scioglierà per la prima volta.

Gli Iron Butterfly si riformano nel 1974 a opera di due dei membri della precedente formazione, Brann e Bushy. Come bassista viene ingaggiato Philip Taylor Kramer, mentre come tastierista venne assunto Howard Reitzes (sostituito successivamente da Bill DeMartinez). Con questo nuovo assetto, il gruppo incide due album ("Scorching Beauty" e "Sun And Steel") prima di risciogliersi nuovamente nel 1976. Due anni dopo il tentativo di riunire la band fallirà tristemente a causa della morte del bassista che era stato assunto per l'occasione, Keith Ellis, trovato morto nella sua stanza d'albergo.
In seguito il gruppo si riformerà nel 1988, per sciogliersi nel 1993, e infine si riunirà per una seconda volta nel 1998 per mano di Dorman e Bushy.
L'ex chitarrista Larry "Rhino" Reinhardt è morto il 2 gennaio 2012, mentre il 21 dicembre 2012 è venuto a mancare il bassista Lee Dorman.
Il gruppo si scioglie ancora una volta nel 2014. Il bassista Greg Willis muore l'11 novembre 2016. L'ex-tastierista Larry Rust ci lascia il 25 novembre 2016.
I superstiti si riuniscono ancora una volta nel 2020 con la seguente formazione: Eric Barnett (chitarra, voce), Dave Meros (basso, voce), Bernie Pershey (batteria, percussioni), Martin Gerschwitz (tastiere, voce), con ospiti occasionali o musicisti come Ron Bushy (batteria, percussioni), Ray Weston (batteria, percussioni) e Michael Thomas Franklin (tastiere).


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