Originario del Bronx, dove nacque circa sessantacinque anni fa, il pittore, romanziere e musicista Stephen Tunney, in arte Dogbowl, è stato artefice, soprattutto agli inizi degli anni Novanta, di alcune delle pagine più avvincenti del pop psichedelico, un genere da lui portato a vette sublimi soprattutto nel capolavoro "Cyclops Nuclear Submarine Captain". Quella che segue è la nostra intervista al buon Stephen, che non ci ha deluso, rivelandosi incredibilmente loquace e ricco di passsione per la sua arte.
Allora, Stephen, raccontami un po' come ti sei avvicinato alla musica e quali sono stati i primi album e artisti che più colpirono la tua immaginazione.
Ho sempre amato la musica e i diversi mondi che i musicisti creano semplicemente registrando canzoni e, da quando ho memoria, ho sempre voluto creare musica, anche se da bambino non sapevo come fare. Poiché sono anziano, ricordo come negli anni 60 la musica assunse un ruolo così importante nei movimenti culturali dell'epoca: avevo sempre la radio accesa e, mentre ascoltavo le tragiche notizie quotidiane relative alla guerra in Vietnam, la presenza della musica non faceva altro che amplificare l'intensità culturale di un mondo che stava cambiando. Da bambino, ricordo di aver visto “A Hard Day's Night” e “Help” al cinema drive-in locale con i miei genitori e i miei fratelli in una vecchia Chevrolet station wagon. Ciò che mi colpiva allora, e mi colpisce tuttora, non era solo il suono della musica registrata, ma anche lo spettacolo della performance dal vivo o la compresenza delle arti visive, teatrali, cinematografiche e quelle relative alla moda quando i musicisti si esibivano. All'epoca, amavo molto i Monkees, perché avevano un modo di presentare la musica facendo leva anche sull’impatto visivo, secondo quanto insegnato dai fratelli Marx, che utilizzavano rappresentazioni comiche del fare musica come parti importanti dei loro film (Harpo e l'arpa, Chico e il pianoforte, Groucho come cantante – per quanto mi riguarda, i fratelli Marx erano dei veri punk rocker!).
Con l'avanzare dell'età, ho avuto difficoltà a trovare uno strumento musicale che mi andasse bene - nella mia scuola elementare di Long Island (un sobborgo di New York) c'era un buon programma musicale - così ho provato a suonare la tromba, ma ho fallito. Non riuscivo a leggere la musica. Poi, provai a suonare il sassofono, e anche quello fu un grande fallimento. Stranamente, la mia scuola non offriva lezioni di chitarra, che era ciò che volevo davvero imparare a suonare. Inoltre, mio fratello maggiore prendeva lezioni private di chitarra e io pensavo che in famiglia ci fosse già un chitarrista. In ogni caso, mi stavo concentrando sempre di più sull'arte visiva e mi sembrava troppo difficile imparare a suonare la chitarra, e non avevo la fiducia necessaria per prendere lezioni per imparare a suonare quello strumento: avevo paura che l'insegnante mi costringesse a suonare cose che non mi piacevano. Tuttavia, le cose cambiarono quando compii 17 anni: il punk rock esplose nel 1977 e mi resi conto che tutto ciò che dovevo sapere erano alcuni accordi di base. Mio fratello maggiore aveva smesso di suonare la chitarra elettrica, così mi lasciò usare la sua vecchia chitarra Univox che sembrava una Mosrite, mentre mio fratello minore Chris (che in seguito suonò nei miei dischi) era già un ottimo musicista e mi mostrò come suonare alcuni accordi aperti.
Prima del punk rock, ero ossessionato dai Beatles, in particolare da John Lennon, ma mi piacevano anche Elton John, i Kiss, Neil Young, i Kinks, gli Who, insomma molti musicisti e artisti popolari che la gente di tutto il mondo amava. I miei gusti allora non erano così all'avanguardia... ma quando ho scoperto il punk rock, ho capito che era possibile inventare melodie su semplici progressioni di accordi e scrivere canzoni offensive e divertenti. Divenni immediatamente ossessionato dai Sex Pistols, dai Ramones, dai Devo, da Richard Hell, da Johnny Thunders e da altri. All'epoca della mia infatuazione per il punk rock, scoprii che due miei grandi amici stavano vivendo esperienze simili in campo musicale: il mio amico Mark voleva imparare a suonare il basso e il mio amico Steve era già un eccellente batterista, così formammo un gruppo e lo chiamammo The Flys. Abbiamo fatto un solo concerto, nel mio liceo, ma gli studenti di Long Island non apprezzavano appieno il punk rock, per cui c'è stata una mini-sommossa: gli studenti ci hanno tirato addosso della spazzatura e noi siamo stati buttati giù dal palco dopo solo due canzoni! Eppure, fu un'esperienza meravigliosa!
Il cammino di questa prima band s’interruppe quando tutti i membri andarono al college, mentre io presi a frequentare una scuola d'arte a New York. All’epoca, vivevo a casa con mia madre e mio padre e lavoravo in un grande magazzino nei fine settimana; con alcuni dei miei colleghi di questo grande magazzino, misi su un nuovo gruppo, The Skitzocrats: questi ragazzi avevano gusti musicali diversi dai miei e, dato che stavo già diventando meno soddisfatto delle limitazioni accordali del punk rock, lavorare con questi ragazzi mi diede la possibilità di espandermi al di fuori del mondo dei tre accordi aperti. Fu allora che mio fratello si unì al gruppo con tastiere e clarinetto. Ricordo chiaramente il momento in cui mi resi conto che dovevo imparare gli accordi barré - tornando per un attimo ai Beatles, c'è una scena in cui stanno suonando "If I Fell" e George Harrison sta chiaramente suonando gli accordi barré - sapevo che avrei dovuto imparare quel tipo di accordi se avessi voluto migliorare le melodie nelle canzoni che stavo scrivendo; in quel momento, guardando quella scena, mi sono reso conto che potevo anche non diventare un buon chitarrista solista, ma almeno potevo diventare un discreto chitarrista ritmico. Fu in questo periodo di sviluppo musicale post-punk che scoprii Lou Reed e i Velvet Underground, di cui divenni e rimasi assolutamente ossessionato. In particolare, le loro canzoni lunatiche e altamente distorte, come “White Light / White Heat”, suonavano registrate con tanta cura e i risultati erano perfetti. Come se l'idea di poterlo fare da soli fosse non solo più facile, ma anche più fedele alla tua visione artistica: se ignori la perfezione tecnica, puoi raggiungere la perfezione che desideri e che si manifesta nella tua fugace immaginazione.
Oltre alla musica, cosa ha influenzato la sua musica?
Cinema, pittura e letteratura. Per quanto riguarda il cinema, ovviamente amo registi come Tarkovsky, Kubrick, Fellini, Godard, Truffaut, Antonioni, De Sica, David Lynch, Woody Allen ecc. I miei pittori preferiti tendono ad appartenere al Rinascimento o al pre-Rinascimento, con ovviamente Hieronymus Bosch come influenza centrale; tuttavia, in questi giorni sono più interessato ad alcuni misteri della pittura rinascimentale - recentemente sono entrato in fissa con alcuni risultati di Raffaello nella saturazione del colore. Per quanto riguarda l'arte visiva, sono bloccato nel passato! In campo letterario, tendo ad apprezzare i classici come Joyce, Dostoevskij e Cervantes.
Perché scegliesti come tuo nome d’arte Dogbowl?
Nacque tutto per caso. Stavo assegnando dei nomi ridicoli ai membri di una delle mie prime band e uno dei musicisti mi chiese: "Ok, e quale sarà il tuo nome ridicolo?". Ricordo che sul pavimento della sala prove c'era una ciotola per cani [dogbowl], così ho detto: "Dogbowl, il mio nome sarà Dogbowl!". Nel bene e nel male, mi è rimasto impresso. La gente si ricordava di quel nome.
Tra il 1986 e il 1988, con i King Missile, registrasti due dischi ("Fluting On The Hump" e "They") che mescolavano, con piglio surreale, indie-rock, anti-folk, psichedelia, garage-rock e quant’altro. Perché, a un certo punto, lasciasti la band?
I King Missile stavano diventando sempre più popolari, ma io passavo molto tempo in Francia (la mia defunta moglie era francese) e restando con loro avrei perso la possibilità di passare più tempo in Europa. Inoltre, scrivevo molto. Concentrandomi sulla carriera solista, avrei potuto continuare a vivere in Francia con mia moglie. Ad ogni modo, tutte le parti di chitarra in quei dischi sono molto semplici, e pensai che avrebbero trovato subito un sostituto, cosa che fecero: Dave Rick divenne il nuovo chitarrista e loro raggiunsero molta più fama! Per fortuna, sono rimasto loro amico e nel corso degli anni sono tornato a suonare con loro in alcuni concerti occasionali. Io e John Hall abbiamo recentemente riunito i membri originali dei King Missile e abbiamo suonato a New York a settembre, quindi speriamo di avere altre occasioni per suonare di nuovo.
I King Missile (Dog Fly Religion)
Con il supporto di Kramer, nel 1989 registrasti "Tit! (An Opera)". Cosa ricordi di quell'esperienza e di quel disco?
“Tit! (An Opera)” venne fuori da alcuni demo che all'epoca stavo realizzando con un piccolo registratore 4-tracce a cassetta. Kramer mi chiese se volevo fare un disco da solista, così gli diedi una copia dei miei demo e gli piacquero molto. È stata anche un'occasione per lavorare con alcuni amici con cui avevo suonato saltuariamente, come il violoncellista Charles Curtis, Lee Ming Tah, che suonava la lap steel, e mio fratello Chris, con il suo clarinetto. Registrammo quel disco più o meno come se fosse un demo casalingo, solo che Kramer aveva dei microfoni fantastici. Oltre a registrarlo, Kramer suonò basso, chitarra e percussioni. È buffo che il titolo sia stato aggiunto molto tempo dopo le registrazioni del disco: non c'era nessuna intenzione di fare un’"opera"... pensammo solo fosse divertente aggiungerlo!
Poi, venne il turno di “Cyclops Nuclear Submarine Captain”. Perché proprio questo titolo?
Mi sono sempre piaciuti i casi in cui la mitologia greca è entrata in rotta di collisione con la cultura popolare, e mi è sempre piaciuto il personaggio del Ciclope, come una sorta di personaggio goffo e terrificante. Sono sempre stato un grande fan sia del Nautilus di Jules Verne, che di "Yellow Submarine" dei Beatles e mi piace l'idea di un tema simile da sviscerare in un disco. Ma è anche divertente dare a un disco un titolo lungo e assurdo.
"Cyclops…" è un vero capolavoro di caleidoscopico pop psichedelico. Ti va di raccontarci come nacque l'idea del disco? Cosa era cambiato nel frattempo rispetto a "Tit! (An Opera)", oltre ad alcuni musicisti della tua band?
Per il mio primo disco, misi insieme un gruppo di musicisti e poi iniziammo a lavorare a nuove canzoni. Sapevo che il mio secondo disco doveva avere una portata grandiosa, quasi mitologica, e credo che le canzoni, nell'ordine in cui sono, trasmettano quest’idea. Prendemmo Race Age, un batterista meraviglioso - "Tit! (An Opera)" non aveva batteria! Qualche drum machine, ma niente batteria - mentre Lee Ming Tah passò dalla chitarra lap steel al basso. Avendo una vera batteria, il suono si è espanso in modo sostanziale. Sapevo che doveva essere colorato e, con la collaborazione di mio fratello Chris (clarinetto, sax, organo e voce, ndr) e di Michael Schumacher alla chitarra, ero sicuro che questi diversi punti di vista sonori si sarebbero uniti o scontrati. Adoro l'idea che l'ascoltatore possa credere di guardare un film mentre ascolta "Cyclops Nuclear Submarine Captain". Rimane il mio preferito tra tutti i miei album.
Dove fu registrato "Cyclops..." e quanto durarono le registrazioni?
Circa un mese, se ricordo bene. Lo registrammo al Noise New York, che era lo studio di registrazione di Kramer a Manhattan, prima che trasferisse la sua attività nel New Jersey.
Ricordi qualche aneddoto in particolare legato alla registrazione di “Cyclops…”?
Fui molto contento del modo in cui venne fuori “South American Eye”.
Ci divertimmo molto a realizzarla. Avevamo già provato tutte le canzoni, quindi avremmo potuto suonarle dal vivo. Ricordo che Kramer mi disse che avrei dovuto cantarla come se fossi un crooner, come Rudy Vallée, cosa che feci al meglio!
La formazione che registrò “Cyclops Nuclear Submarine Captain”
Come fu accolto dalla critica “Cyclops…”? Ricordi qualche recensione in particolare?
Non credo abbia venduto molto bene, ma la gente che l'ha comprato l'ha adorato! Molti mi hanno detto che era il loro preferito tra tutti i miei dischi. Era il disco preferito della mia defunta moglie! Ricordo che la stampa britannica, penso a riviste quali NME e Melody Maker, ne scrisse molto favorevolmente e in diverse occasioni! Quindi, alla stampa piaceva. Inoltre, so che piace anche a Piero Scaruffi! Ho riletto quello che scrive sulla mia musica e sono lusingato e onorato della sua analisi! Avevo già letto alcune sue cose, scrive sempre cose fantastiche!
Quali artisti e/o album ispirarono mentre scrivevi le canzoni che poi sarebbero finite su "Cyclops..."?
Ho difficoltà a ricordare cosa mi ispirò, ma di certo fu importante l'animazione di Ray Harryhausen! Ricordo che continuavo a pensare a Ray Harryhausen mentre realizzavo questo disco!
Dimmi di più...
Da bambino sono sempre stato affascinato dai risultati iperrealistici dell'animazione in stop-motion, in particolare dai ciclopi del film “Il settimo viaggio di Sinbad” (film diretto nel 1958 da Nathan Juran, ndr). Queste particolari figure di ciclopi mi sembravano la rappresentazione più efficace dell'Io freudiano, cioè agivano completamente senza considerare la società o l'interazione umana. Erano ferocemente determinati, poiché avevano un solo occhio... erano creature selvagge e tuttavia sapevano come prendere una persona e metterla in gabbia per poi cucinarla quando volevano. Erano terribilmente spaventosi e, allo stesso tempo, molto intriganti. Credo siano stati anche i movimenti a scatti dell'animazione in stop-action a conferire una qualità iperrealistica alle scene di queste bestie con un occhio solo e credo che questa sia una qualità affascinante di tutto il lavoro di Ray Harryhausen: le stesse animazioni non erano perfette, eppure erano incredibilmente interessanti da guardare, come se, attraverso il movimento imperfetto dell'animazione in stop-motion, creassero una realtà visiva alternativa, cosa che mi interessava molto. Credo sia stata una delle ragioni principali per cui ho intitolato il disco "Cyclops Nuclear Submarine Captain"… perché la natura nautica di un sottomarino e le qualità steampunk di un ciclope pazzo hanno creato una gran bella combinazione.
Il tema dominante di "Cyclops..." è sostanzialmente l'amore. È possibile individuare un filo narrativo portante nell'album?
Mi piace l'idea che il disco "suggerisca" una storia piuttosto che "raccontarla". E credo che un gruppo di canzoni che hanno un'inclinazione surreale e un tema comune crei un senso di movimento onirico. Molte delle canzoni suggeriscono l’idea del volo (“South American Eye”, “Float”) o il viaggio in mare (la title track, “Swan”, “Beautiful Trailer Park”) o, ancora, il movimento interiore della tristezza (“Shopping Mall”, “So Painful”) e quello associato all'amore e agli ambienti onirici (“Flower Garden Bed”, “Hit Me Over My Head”, “Ferris Wheel”) e speravo che l'ascoltatore riempisse gli spazi vuoti con le proprie storie, in modo da sentirsi coinvolto nella produzione del disco.
Dopo "Cyclops…", pubblicasti "Flan", che chiude la tua trilogia psichedelica...
Sono molto affezionato a quei tre dischi e credo siano in qualche modo collegati. Molti degli stessi musicisti compaiono in quei tre dischi e questo li rende una sorta di "trilogia". Penso a "Tit! (An Opera)" come a una serie di schizzi su cui poi è stato dipinto per dare coerenza a canzoni che normalmente non stanno bene insieme. È buffo, ma "Tit! (An Opera)" è in realtà più simile a due dischi. La versione Lp ha meno canzoni della versione in cd, mentre quest’ultima contiene canzoni che ho registrato al Noise di New York dopo il completamento dell'Lp. Queste canzoni aggiuntive sono molto scarne, ma ritengo abbiano aggiunto molto al suono complessivo del disco. Il riferimento all’"Opera" nel titolo fu aggiunto dopo la registrazione del disco, perché pensavamo fosse divertente e sembrava funzionare, dato che, pensando alle canzoni nel loro insieme, avevo l'impressione che facessero pensare a una storia vaga. “Cyclops…” era più un'applicazione diretta della trama suggerita, semplicemente lasciando qualche accenno ai viaggi in mare, ai ciclopi e al volo. In questo caso, penso che l'ascoltatore sia in grado di costruire il proprio mondo surreale, facendo leva sugli indizi disseminati nel disco. Per quanto riguarda, infine, "Flan", si trattava di una rivisitazione dell’omonimo mio romanzo pubblicato nel 1992 e che era molto schietto e deliberato nella sua struttura narrativa.
A tal proposito, ci puoi parlare anche della tua esperienza di romanziere? Quali sono i temi che più ti interessano e quali sono i romanzieri che più ti hanno ispirato?
Amando lavorare con tre medium, spesso mi piace pensare a quest’ultimi come a una sorta di tre colori primari: insomma, pittura, scrittura e musica sono per me tre colori primari. Sono più felice quando riesco a combinare e in qualche modo a creare dei ponti tra questi diversi modi di espressione. "Flan" esiste perché avevo già scritto il romanzo omonimo e fu accettato per la pubblicazione prima che io registrassi il disco, quindi pensai fosse l'occasione ideale per esplorare e persino infrangere le barriere tra la scrittura e la produzione musicale, tenendo presente l'artwork dell'album, la rappresentazione visiva e le zone di espressione. Per quanto riguarda il tema di "Flan", si tratta effettivamente di un romanzo post-apocalittico e di un disco post-apocalittico. Da bambino, sono sempre stato molto interessato al concetto di "post-apocalisse", perché sono cresciuto nella visione paranoica del mondo della Guerra Fredda. Nella mia scuola elementare si tenevano costantemente esercitazioni per le bombe nucleari e questo mi ha colpito profondamente; da giovane sono arrivato a credere che non esistesse un futuro, perché il futuro sarebbe saltato in aria prima che io raggiungessi l'età adulta e ho avuto molti incubi a riguardo, e in effetti queste paure di un mondo distrutto che ho vissuto da bambino si sono trasformate in molti degli strumenti che uso quando faccio arte. Per fortuna, non c'è mai stata una guerra nucleare.
Poiché "Flan" contiene molti elementi surreali e psichedelici, è più di una semplice storia post-apocalittica: è più incentrata sugli incubi indotti dalla paura post-apocalittica, quindi suppongo di essere stato molto spaventato dal concetto di post-apocalisse e, allo stesso tempo, incuriosito da esso. Il concetto di post-apocalisse può assumere molte forme. Non deve necessariamente indicare la distruzione del mondo, ma può essere riferito alla distruzione del proprio mondo. Per esempio, io sono vedovo, sono stato con la mia moglie francese per 30 anni - onestamente è stata la mia principale ispirazione per molte delle cose artistiche che ho fatto. È morta di cancro al cervello nel 2017 e da allora la mia vita ha avuto una certa atmosfera post-apocalittica. Anche quando mia moglie era estremamente malata, avevo difficoltà a immaginare come sarebbe stata la vita se fosse morta. Quando alla fine è morta, è stato come se tutto il mio mondo fosse crollato e, anche se adesso mi sento meglio rispetto a quei primi giorni bui da vedovo, quella sensazione di post-apocalisse non è del tutto andata via, perché mia moglie non esiste più ed è una situazione che continua a turbarmi. Tuttavia, il vantaggio che si ha scrivendo un romanzo è che si può andare molto a fondo in un argomento che, invece, non si può approfondire con l'arte visiva o la musica. Credo che, quando si scrive un romanzo, si viva un'esperienza simile a quella del sogno lucido, come se si stesse sognando e si creasse, da soli, un intero mondo… Ciò lo si può fare perché si usano semplicemente le parole e il potere descrittivo delle parole può creare nel lettore una sensazione visiva che non può essere ottenuta con la pittura o con la musica. La scrittura di romanzi permette questo, soprattutto se si smette di prestare attenzione alle regole su come i romanzi dovrebbero essere costruiti. Tutti gli artisti, siano essi artisti visivi, compositori di musica o scrittori di testi, dovrebbero inventare le proprie regole quando creano. Per quanto riguarda i miei romanzi preferiti, tendo a prediligere i classici come “Moby Dick” di Melville, “Delitto e castigo” di Dostoevskij o il “Don Chisciotte” di Cervantes. Mi piacciono anche i lavori di Charles Bukowski, Celine, F. Scott Fitzgerald, Amos Tutola e, naturalmente, Edgar Allen Poe.
Visto che sei un artista a tutto tondo, dicci anche qualcosa circa la tua pittura. So che ti sei laureato alla Parsons School of Design nel 1982.
Sì, mi sono laureato alla Parsons nel 1982 e ho poi conseguito un master in pittura al City College di New York nel 1991. Alla Parsons ho studiato illustrazione e al City College ho studiato pittura, dove fui attratto dai pittori classici del Rinascimento italiano e olandese. In particolare, divenni ossessionato da molte delle tecniche dei pittori rinascimentali o dal loro uso della linea o della stratificazione delle velature di colore. Per esempio, ciò che mi piace di più di Botticelli è il suo uso della linea, l'applicazione quasi da cartone animato della linea quando realizza le sue figurazioni e i tratti del viso. Ho anche studiato ossessivamente le applicazioni di stratificazione del colore di Raffaello, perché Raffaello è il mio colorista preferito di tutti i tempi. Mi ispirano molto, poi, i ritratti di Hans Memling o i risultati quasi fotorealistici dei ritratti di Hans Holbein - è buffo che io dica "fotorealistici", ma credo che "iperrealistici" sia una descrizione più appropriata e questo mi riporta al motivo per cui ero attratto dai risultati iperrealistici dell'animazione in stop-action di Ray Harryhausen. Mi piacciono le cose realistiche e, allo stesso tempo, un po' fuori posto, un po' irrealistiche, in modo che l'occhio cerchi costantemente di capire se qualcosa è reale o meno. È una zona in cui mi sento molto a mio agio e che mi incuriosisce.
Dopo "Project Success" (1993), collaborasti con Kramer in un paio di dischi, "Hot Day In Waco" e "Gunsmoke". Che tipo è Kramer? Come è lavorare con lui?
L'aspetto eccellente di Kramer è che ha fatto le cose per bene. Ha un ottimo udito e sente molte cose che molti artisti non sentono immediatamente, il che lo rende un ottimo produttore. È impressionante anche il fatto che, mentre tu stai completando un disco, lui stia già pensando al prossimo. Ricordo che quando ero in procinto di portare a termine un disco insieme a lui, Kramer improvvisamente si voltava dalla mia parte, dicendomi: “Spero tu abbia già scritto le canzoni per il prossimo!”. In questo senso, era divertente lavorare con lui ed era divertente andare in tour - ho fatto molte tournée con lui negli anni 90 e ho anche suonato la chitarra ritmica con i Bongwater per il loro primo tour europeo, credo nel 1991. Penso che la sua produzione di "Cyclops…" sia meravigliosa.
Gli ultimi tuoi tre album, "Fantastic Carburetor Man" (2001), "Songs For Narcisse" (2005) e "Zone Of Blue" (2015), furono pubblicati sulla tua etichetta personale, la Eyeball Planet. Cosa accadde: non c'era più interesse per la tua musica, oppure scegliesti liberamente di lavorare in maniera indipendente?
Dopo i due dischi in duo con Kramer ("Hot Day In Waco" e "Gunsmoke"), ho registrato due album con l'etichetta francese Lithium Records a Parigi, quindi per un certo periodo ho lavorato e fatto molti tour in Francia. Entrai in contatto con la Lithium Records grazie alla mia amicizia con Michel Cloup dei Diabologum e della Peter Parker Experience; infatti, prima di realizzare un album completo con la Lithium, io e Michel Cloup pubblicammo un singolo doppio su Lithium intitolato "Nuage Nuage" con il nome di Dogbowl e Peter Parker. In Francia, registrai, per l'etichetta Lithium, "Live On WFMU (Cigars, Guitars And Topless Bars)", che era la registrazione di un concerto dal vivo alla stazione radio WFMU nel New Jersey, con un trio composto da me alla chitarra, Lee Ming Tah al basso e Race Age alla batteria. Mi è sempre piaciuto lavorare con un trio di chitarra, basso e batteria, e sono contento che "Live on WFMU" documenti quel suono. In seguito, registrai un album in studio intitolato "The Zeppelin Record", sempre per la Lithium Records. Per questo progetto, mi ritrovai a lavorare con alcuni eccellenti musicisti francesi allo Studio de la Seine di Parigi. Dopo "The Zeppelin Record", fu la volta di due dischi per la mia piccola etichetta autoprodotta Eyeball Planet: "Fantastic Carburetor Man" e "Songs For Narcisse". Quest’ultimo nacque da una produzione teatrale dell'opera "Narcisse" di Jean Jacques Rousseau, diretta da mia moglie Anne Deneys-Tunney. Fu rappresentata al Theater For The New City nel 2006. Composi e registrai la musica per gli spettacoli, oltre a realizzarne la scenografia. Per quanto riguarda queste due uscite, non so che tipo di etichetta discografica avrei potuto convincere se avessi fatto girare queste registrazioni, ma a quel punto non avevo un'etichetta discografica vera e propria e volevo vedere cosa sarebbe successo se avessi pubblicato questi dischi per conto mio. La cosa si è rivelata più difficile quando si è trattato di produrre i cd, così ho iniziato a masterizzarli e a confezionarli da solo. Era divertente, ma credo sia meglio avere il supporto di un'etichetta. Successivamente, "Zone Of Blue" uscì per la belga 62 TV. Avevano già pubblicato il "Best Of Dogbowl" nel 2000, quindi li conoscevo bene ed ero amico di tutti i musicisti. Ho registrato le mie parti a New York e ho inviato i file in Belgio, dove i musicisti belgi che suonano in quel disco hanno contribuito con le loro tracce, registrate presso l'eccellente Swimming House Studio di Bruxelles.
Quali sono i dieci album più importanti nella tua vita e perché?
È quasi impossibile rispondere, perché fra qui a poco mi verranno in mente altri dischi, ma ecco qui, così su due piedi...
1. Sex Pistols - Never Mind The Bollocks, Here's The Sex Pistols (1977): perché mi rese consapevole della possibilità di fare la mia musica e perché il punk rock mi parlava davvero all'epoca.
2. Ramones - Rocket To Russia (1977): perché qui ho imparato la bellezza di usare solo tre accordi quando si scrivono canzoni.
3. Beatles – White Album (1968): perché contiene la canzone “Julia”, che è la mia canzone preferita di sempre.
4. Velvet Underground - White Light / White Heat (1968): per come suona libera la produzione e per la sua gloriosa confusione.
5. Velvet Underground - 1969 Velvet Underground Live With Lou Reed (1974): perché contiene la più bella versione di “Sweet Jane” mai registrata,
- credo l'abbiano scritta proprio quel pomeriggio in cui fu registrata dal vivo.
6. Buzzcocks - Singles Going Steady (1979): perché dimostra che il punk rock può produrre grandi, grandi, grandi canzoni pop.
7. Kiss – Alive! (1975): perché mi piace ancora suonare l'air guitar quando sono solo a casa e “Rock And Roll All Night” è per me la canzone da air guitar per eccellenza.
8. Rolling Stones - Some Girls (1978): perché, quando lo ascolto, è di nuovo il 1978 e ho di nuovo 18 anni.
9. Public Image Ltd - Metal Box: semplicemente una delle cose più fantastiche di sempre: “Albatross”, “Poptones” e “No Birds” sono tra le mie canzoni preferite.
10. Devo - Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! (1978): questo disco è un capolavoro assoluto e, per molti versi, rappresenta la vera risposta americana ai Sex Pistols.
11. Tutte le registrazioni del grande Robert Johnson. Il vero inventore del rock and roll!
Cosa stai facendo, in questo periodo? Hai ancora progetti musicali in testa, oppure pensi solo ad altro?
A dirla tutta, ho molto da fare in questi giorni! Ho appena fatto una mostra dei miei quadri a New York e ho un progetto di 12 (o addirittura 20) nuove chitarre elettriche dipinte a olio che vorrei realizzare quest'anno (o nel 2025, se procrastino!) Vorrei anche realizzare più ritratti e rilanciare la mia carriera di ritrattista che ho trascurato! Sto poi lavorando ai due seguiti del mio ultimo romanzo, “One Hundred Percent Lunar Boy”: ci sono state delle battute d'arresto a causa di alcune difficoltà contrattuali, ma continuo ad andare avanti, sperando che tutto si risolva per il meglio. Dal punto di vista musicale, sto lavorando a due album che sto registrando a casa. Il primo si chiamerà "Muse" ed è una raccolta di canzoni sulla morte di Anne, la mia moglie francese, che cantò anche un brano su "The Zeppelin Record", intitolato “Peggietta”. L'altro disco si chiama "Exile On Planet Brooklyn" e contiene molte canzoni sull'isolamento e la tristezza e... naturalmente sull'amore, perché anche i vedovi possono innamorarsi di nuovo, e questo nuovo album contiene canzoni anche su questo. Non sono sicuro ci sia un'etichetta interessata a far uscire questi due dischi. In caso contrario, li pubblicherò io stesso. Intanto, un'etichetta di Nashville sta ristampando non solo i miei primi album psichedelici, ma anche i primi due album dei King Missile, quelli in cui suonai anch’io. L’etichetta si chiama Needeljuice Records. Ristamperanno "Cyclops Nuclear Submarine Captain", "Tit! (An Opera)" e "Flan", oltre ai dischi dei King Missile! La Needlejuice Records ha reso nuovamente disponibili in download digitale o in streaming i miei precedenti album fuori catalogo.
Questa è davvero una bella notizia, Stephen! Intanto, ti saluto e ti ringrazio per la disponibilità!
Grazie a te!
DOGBOWL | ||
Tit! (An Opera)(Shimmy-Disc, 1989) | ||
Cyclops Nuclear Submarine Captain (Shimmy-Disc, 1991) | ||
Flan(Shimmy-Disc, 1992) | ||
Project Success (Shimmy-Disc, 1993) | ||
The Zeppelin Record (Lithium, 1998) | ||
Fantastic Carburetor Man (Eyeball PLanet, 2001) | ||
Songs for Narcisse (Eyeball Planet, 2005) | ||
Zone Of Blue (62 TV, 2015) | ||
DOGBOWL & KRAMER | ||
Hot Day In Waco (Shimmy-Disc, 1994) | ||
Gunsmoke (Shimmy-Disc, 1995) |