Eugenio Bennato

La Taranta e la pista della bellezza

intervista di Federico Torre

Di ogni artista arriva qualcosa che va oltre le opere che lascia, come un regalo in più che sta sotto la musica. Così, seguendo questa chiave, della discografia di Eugenio Bennato arriva il viaggio, il senso di avventura che lo spinse negli anni Settanta a muoversi nelle vesti di archeologo nei luoghi più autentici della musica meridionale e che oggi si allarga, e gli fa portare in giro una musica aperta, traboccante di innumerevoli contributi di artisti stranieri, spesso di origine extracomunitaria. Mai come in questo caso conoscere un autore significa seguirlo nei suoi spostamenti e nei suoi cambiamenti. E poi c’è la Taranta, fenomeno strano e affascinante di cui Bennato è portavoce, che non corrisponde ad alcuna tradizione precisa, ma che rimanda a un mondo, a un patrimonio artistico immenso, quello meridionale, che attinge la propria forza dal passato, ma che presenta ancora potenzialità espressive enormi.

Dai concerti che fai ultimamente, in cui proponi collaborazioni con musicisti provenienti dal Nord Africa, viene fuori una forte vocazione all’ospitalità, come se la Taranta fosse un linguaggio capace di ospitare, che trasforma la musica in una sorta di tavola imbandita a cui sono tutti invitati.
Io credo nella funzione dell’arte e nella capacità di rinnovarsi. Se non c’è quella, qualsiasi fenomeno si inaridisce. Quando fondai la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ero ragazzo e dovetti essere abbastanza folle, perché feci qualcosa in controtendenza: affermare l’esistenza di una musica delle regioni, di tutte le regioni d’Italia. Fu una scelta coraggiosa, che aveva come conseguenza l’apertura mentale al diverso. Per questo mi fa piacere che oggi dalla mia musica ti arrivi questo messaggio. Perché sicuramente la musica popolare in Italia è diversa rispetto all‘Italia, nel senso che lo specifico che porta è ciò che si contrappone alla cultura dominante. Quindi mi è sembrato abbastanza naturale, una volta fondata Taranta Power (nel 1998, ndr) , e avendo iniziato un nuovo viaggio, parlare di Mediterraneo e mettere in positivo la presenza degli extracomunitari in Italia, che comunque portano la loro cultura, le loro fiabe, le loro melodie.



La Taranta è più un genere musicale o un movimento?
“Taranta” , che tra l’altro è una parola che penso di aver coniato io, indubbiamente descrive un universo, che significa prendere coscienza delle proprie radici. E questo è già un passo avanti fortissimo in un mondo che, come sappiamo, contiene un rischio di globalizzazione altissimo e quindi di appiattimento su un pensiero unico dominante. Così sicuramente quello che tu chiami Taranta - e io dico Taranta con cautela perché per me è importante che la musica sia viva e non standardizzata - è un guizzo musicale straordinario, una fiaba incredibile che parla di una musica che guarisce, trasgredendo. Perché parla di un maleficio, ma di un maleficio positivo.
Quando fondai Taranta Power fu l’inizio di un coinvolgimento di un’utenza giovanile, perché per fortuna posso dire che il pubblico che ci segue non è solo motivato ma è anche nuovissimo. E questo è un fatto in controtendenza rispetto a quello che accadeva qualche decennio fa, quando la musica pop coinvolgeva legioni di appassionati che però erano molto volubili ai cambiamenti di moda… Qui invece c’è un’idea di costruzione diversa. C’è un recupero di elementi che rischiavano di perdersi. Al mio ultimo concerto c’era un ragazzino di dieci anni che suonava un tamburello, che poi magari suonerà per tutta la vita, nel qual caso avremmo ottenuto il risultato di salvare un’energia artistica e musicale, oltre che tecnica. Oggi esistono dei virtuosi di chitarra battente, uno strumento nobilissimo appartenente alla tradizione che andava scomparendo, e addirittura si può considerare già una realtà il suo ingresso nei conservatori e nei teatri classici.

Tu trascendi un po’ la figura del semplice musicista cantautore. In alcuni momenti è come se portassi avanti un progetto culturale più vasto, che usa la musica...
Ad essere sincero non mi vedo in questa veste. Io mi sento soprattutto un autore. E la mia cura quotidiana è quella di inventare melodie, che già è una cosa difficilissima. Perché scrivere una melodia bella significa, tanto per iniziare, scrivere qualcosa che sia nuovo. E oggi più che mai c’è una coincidenza fortissima fra i concetti di nuovo e di bello. Quando scrissi “Che il Mediterraneo sia” non pensavo a una “strategia” mediterranea, a una koinè fra le varie culture, ma semplicemente vidi un manifesto per strada e mi venne la melodia. La partenza fu un fatto musicale. Poi, dopo, venne il piacere di sentire suonare l’arabo accanto alle mie melodie, ma anche lì la partenza fu musicale, fu la bellezza della lingua araba, e non un progetto intellettuale, e meno che mai politico.
Tutte le scelte che ho fatto non sono state finalizzate a un progetto, ma a una pista, la pista della bellezza. Quando andavo a sentire i cantori di Carpino in provincia di Foggia, mi chiedevo perché lo facessi, e la risposta era semplicemente che ero stregato dal suono della chitarra battente e di quelle melodie. E ancora oggi dico che quella musica è straordinaria. Poi dopo è venuta tutta una serie di considerazioni, ed è venuto naturale accendere i riflettori sulla civiltà contadina, sulla storia negata e su tanti altri fatti. Ma il punto di partenza è stata la bellezza e la capacità dell’arte, che ha anche l’arte popolare, di comunicare, anche dopo anni, dopo tanto tempo, di attrarre.

Intervista a Eugenio Bennato

A questo proposito, mi dicevi anche che ci tenevi a chiarire il fatto che non vuoi portare avanti nemmeno un’idea politica di meridionalismo...
A proposito del brigantaggio ho scritto una ballata dal titolo “Ninco Nanco”, che sta avendo un riscontro fortissimo, che parla di un brigante della Basilicata. E all’ultimo concerto che ho fatto una signora mi ha detto: “Io insegno storia, e Ninco Nanco lo porterò a scuola. Lo farò studiare ai miei ragazzi”.
Il personaggio di Ninco Nanco ha due cose straordinarie: la prima è la sua immagine, una foto che gli fu scattata dopo che gli spararono, dalla quale viene fuori un personaggio meraviglioso con questi capelli lunghi e la fierezza del volto, simile a un’altra icona di uomini contro, che è Ernesto Che Guevara. E la seconda è il nome, così musicale. Per cui non potevo non scrivere una ballata su di lui. Rispetto all’interesse storico, c’è stato il prevalere di un fatto artistico, perché esiste una magia strana che si chiama arte e si manifesta e non la puoi definire e riesce a coinvolgere i cuori e le menti e rappresenta l’energia che inseguo.
Sull’argomento invece strettamente storico che è il brigantaggio, che è lo svelare una storia negata, bisogna secondo me mantenere equilibrio, perché criticare il modo in cui l’Italia fu fatta non significa auspicare di tornare indietro ai vari staterelli, perché sarebbe una disperazione pensare ancora a nuove frontiere che vengono erette. L’Italia è straordinaria proprio perché è un’identità fatta, a sua volta, di tante identità.

Da uomo del Nord avverto che il Sud abbia un insegnamento da portare. Tu e gli altri grandi esponenti della musica meridionale contemporanea siete portatori di qualcosa che serve. Siete custodi di forme artistiche “calde”, che si contrappongono al panorama artistico attuale che a volte propone ricerche stilistiche che si accartocciano su se stesse e soprattutto non riescono a comunicare.
Io ho sempre citato Fabrizio De André come uno dei grandi punti di riferimento della musica di Taranta, quindi un cantautore del Nord, ammesso che si possa definire Genova città del Nord, amatissimo dal popolo della Taranta perché portavoce di istanze di riflessione, e vorrei dire di ribellione, in direzione ostinata e contraria. E la Taranta in direzione ostinata e contraria non poteva che eleggerlo come capopopolo.
Comunque, quello che dici tu è vero. Spesso i concerti di altri mi sembra che non abbiano l’energia di quello che proponiamo noi. I nostri incontri si trasformano spesso in autentiche feste, in cui dobbiamo stare attenti ai tamburelli che ci sono nella platea, perché magari a volte ci portano fuori tempo, o alle tarante che arrivano e che sono inconfondibili, e ci distraggono e sono bellissime.
Sicuramente in questo momento l’adesione alla musica popolare significa un ribaltamento dei rapporti fra Nord e Sud. Uno dei concerti più belli che ho fatto quest’estate, per esempio, è stato a Bologna, città così viva e coinvolgente, e piena di ragazzi, e mi ha colpito vedere quei ragazzi avere così tanta voglia di musica meridionale. Spesso ci è capitato di generare dei rimpianti fra le ragazze del Nord, dopo che ci hanno conosciuto, per non essere nate in Puglia o in Campania.

I tuoi progetti per il futuro?
Innanzitutto c’è “Qualcuno sulla terra”, il mio nuovo componimento di carattere religioso, che sto portando in giro nelle chiese e nei teatri con il coro delle Voci del Sud, che mi sta dando grosse soddisfazioni. E poi c’è la collaborazione con Bombino ne “La Taranta invita il Tuareg”, una rassegna di respiro internazionale in cui ho accolto questo grande chitarrista che viene dal Niger e che rappresenta un nuovo modo di fare musica. Uno stile che sta avendo un grande riscontro a livello mondiale, sia negli Stati Uniti sia in Europa. E sono molto felice di questo, perché significa che il pubblico occidentale ha fatto un salto di qualità dimostrando di saper accogliere una musica priva delle intemperanze della scena del rock o del pop, una musica che non ha nulla da concedere a un certo tipo di spettacolarità. Una musica modernissima, la cui magia sta nel fatto che ha un’essenza che parte dal miracolo della musica popolare. La musica tuareg, infatti, è basata su strumenti poveri, fatti a mano, come il ghembrì, che presuppongono una tecnica che loro applicano alle chitarre elettriche, per cui da questo nasce qualcosa di travolgente, che in realtà non è niente di straordinario, ma è potentissimo. Un giro come quello della Taranta che ti coinvolge per la sua naturalezza e semplicità.

Parlando di Bombino, mi fai venire in mente come tu ti sei sempre distinto per una particolare attenzione agli altri, come se ti nutrissi del fatto che gli altri intorno a te crescano... Si potrebbero fare innumerevoli esempi di artisti che hai lanciato e hai aiutato, da Teresa De Sio alla stessa Pietra Montecorvino, ai recenti Rione Junno...
Si potrebbe dire che pratico l’anti-divismo per eccellenza. In realtà, anche se molti insistono sulla mia capacità interpretativa, io sono nato in una dimensione corale, come la Nuova Compagnia di Canto Popolare e mi piace da sempre trasmettere messaggi musicali diversi. Oggi posso dire orgogliosamente che ci sono tanti artisti che hanno scelto di fare musica per il fatto che in qualche modo li ho convinti io. Prima hai citato Teresa De Sio. Quando la conobbi a Torino era un’attrice di teatro, dopodiché la sentii canticchiare a tavola per caso, e dissi a me stesso che aveva cose interessanti da esprimere. Così tornai a cercarla e la portai in pellegrinaggio presso i grandi maestri: andammo nel Gargano, a conoscere Matteo Salvatore, e in Calabria. E Teresa rispose meravigliosamente. Io avevo un programma preciso da offrirle e lei rispose. Ma poi tanti altri mi vengono in mente: dalla chitarra classica di Mauro Di Domenico, alla chitarra battente di Francesco Loccisano, e molti altri che sono nati proprio nell’ambito di questo stesso studio.

A proposito del fatto che Teresa De Sio inizialmente fosse attrice di teatro, mi fai pensare a un’altra tua importante caratteristica che è l’attenzione a linguaggi che non sono strettamente musicali. Il tuo lavoro gioca spesso col mischiare forme espressive diverse. Penso per esempio alla danza di Sonia Totaro che ormai è parte integrante delle tue performance e conferisce alla tua musica un elemento di teatralità in più...
Sicuramente l’universo Taranta non è solo ritmo, festa, musica, ma è anche qualcosa che rappresenta il gesto, la pittura, il teatro. Mi piace risponderti citando il fatto che l’artista del Novecento che più amo aveva tutte queste cose insieme, essendo stato musicista, poeta, drammaturgo e forse anche attore, ed è Federico Garcia Lorca.
Tornando a noi, penso di essere stato il primo da avere avuto il coraggio di portare un’irruzione di tarantismo sulla scena. E oggi non c’è gruppo folk che non proponga la sua tarantellata di ballo. Del resto, quando si parla di Taranta, si descrive un mondo. Non si parla solo di canzoni, c’è anche il cinema per esempio. Mi viene in mente Edoardo Winspeare, che ha realizzato dei film sul tema e che vive a Lecce, o tanti altri coreografi.
Mi fanno molto piacere questi contributi, perché ritengo che al di là dei linguaggi che esprimono, gli artisti debbano venire fuori e farsi sentire, perché l’arte è una scintilla misteriosa che serve oggi più che mai, perché riesce a sintetizzare il mondo e a far crescere le cose. Tengo per loro, ce n’è bisogno.
Prima ti ho descritto la voglia che ho di inseguire melodie, che è una sorta di ricerca della felicità. Ed è una sensazione precisa, che accade quando si realizza che, grazie al proprio lavoro, esiste. Qualcosa che prima non esisteva. Non sempre succede, ma quando succede è fantastico ed è la magia che ti dicevo. Per questo chiedo spesso ai ragazzi che mi seguono di cimentarsi nell’esperienza misteriosa della composizione artistica.

Discografia

NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE
Nuova Compagnia di Canto Popolare (Rare, 1971)
Nuova Compagnia di Canto Popolare (Rare, 1972)
NCCP (EMI Italiana, 1973)
Li Sarracini adorano lu sole (EMI Italiana, 1974)
Tarantella ca nun va 'bbona (EMI Italiana, 1975)
MUSICANOVA
Garofano d’ammore (Lucky Planets, 1977)
Musicanova (Lucky Planets, 1978)
Quando turnammo a nascere (Warner Chappell Music Italiana, 1979)
Brigante se more (Lucky Planets, 1980)
Festa Festa (Lucky Planets, 1981)
EUGENIO BENNATO
Eugenio Bennato (CGD, 1983)
Eughenes (Bubble Record, 1986)
Le città del mare (Lucky Planets, 1989)
Novecento auf Wiedersehen (Bubble Record, 1991)
Mille e una notte fa (Italia Promotions, 1997)
Taranta Power (Rai Trade - Taranta Power, 1999)
Lezioni di Tarantella (antologia, Cni, 2000)
Che il Mediterraneo sia (Edel, 2002)
Da lontano… (L’empreinte Digitale, 2005)
Sponda Sud (Taranta Power Radiofandango, 2007)
Grande Sud (Taranta, 2008)
Questione Meridionale (Artis, 2011)
Canzoni di contrabbando (Icompany, 2015)
Da che Sud è Sud (Fox Band, 2017)
Qualcuno sulla terra (Sponda Sud, 2020)
Pietra miliare
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