Prima vocalist dei Micevice poi eterna collaboratrice di Cesare Basile, Hugo Race, Dining Rooms e un’altra infinità di artisti fino ad essere la metà dei Sepiatone.
Marta Collica pubblica, dopo tanti anni sulla scena musicale, il suo primo disco solista.
L’artista catanese ora si confessa ad Onda Rock in questa esclusiva intervista fiume.
Berlino, Salò, Catania, Melbourne. Dove vivi ora?
Ho fatto base a Catania gli ultimi due mesi. A Berlino sto aspettando che si liberi una casa dove trasferirmi: voglio mantenere un punto lì perché quando inizio a fare i tour in nord-Europa è il punto più comodo, più accogliente e più adatto, mi sono trovata sempre molto bene. Tornerò a Melbourne, ma non so ancora quando: dipende un po’ dagli impegni europei. Melbourne mi piace tantissimo: è un posto dove ci sono moltissimi amici musicisti con cui ho lavorato e con cui continuo a lavorare anche a distanza. Non vedo l’ora di tornare per fare qualche concerto dal vivo e registrare con loro alcuni arrangiamenti per Sepiatone ed altro. La trovo sempre molto particolare, come città, dal punto di vista musicale soprattutto.
Catania continua ad essere il punto di riferimento affettivo: qui c’è la mia famiglia, ho un circuito d’amici con cui continuo a condividere musica e un’amicizia storica ed è un posto molto stimolante dal punto di vista paesaggistico. Sono contenta di aver trascorso questi due mesi quasi fissa qui.
Parliamo un po’ del tuo disco solista, “Pretty and Unsafe”. Stai ricevendo ovazioni da ogni dove. Te lo aspettavi?
(molto secca) No. Devo dire di no perché non sono innamorata di questo disco più di altre cose faccio o che continuo a fare con Sepiatone o con John (Parish).
Devo dire che è molto bello essere compresa, almeno nelle intenzioni: è un disco nato in modo molto estemporaneo, è stato registrato in pochissime sedute di registrazione e ho voluto mantenere questo aspetto un po’ crudo – che fa parte un po’ anche della mia personalità – un po’ intimo e un po’ fragile.
Mi ha incoraggiata in questo – ad esprimermi così, a non ritoccare, a non ritornare sulle canzoni – molto John Parish.
Sono contenta perché l’intento era proprio quello di espormi in maniera fragile ed estemporanea nel mio fare musica e non mi aspettavo che fosse accolto così: alla fine so che in qualche modo è molto più semplice ascoltare dei dischi che sono un po’ più “completi”, più “meditati”.
Non mi aspettavo questa sincronicità di eventi, riuscire a fare dei concerti a breve e avere tante recensioni tutte concentrate nelle stesse settimane. Dalle recensioni è scaturito un po’ più d’interesse. Pensavo si diffondesse un po’ più “sotterranea”.
Registrato molto velocemente, quindi. Perché allora pensavo che queste canzoni avessero avuto una lunga gestazione?
Le canzoni sono nate in un periodo in cui sono stata abbastanza libera da altri impegni e in solitudine, quindi le ho scritte di getto. Cesare (Basile) è stato il primo ad ascoltarle e ha detto: “Andiamo subito a registrare.” Siamo andati in studio da lui, si è seduto alla batteria, mi ha seguito e ci siamo registrati con il suo multitraccia. Dopo una settimana siamo andati in studio con John (che ha registrato l’album) e abbiamo fatto queste sessioni veloci, tutto in presa diretta, poi John si è portato un paio di pezzi a Bristol e li ha mixati.
Poi ho continuato a fare altre cose: iniziare il disco con John, andare in tour con Hugo [Race]... e tra un momento di lavoro, di tour e un altro abbiamo selezionato, per esempio, alcuni pezzi un po’ più rumorosi registrati a casa con le cassette, Hugo ha aggiunto un mellotron qui, ... , ma si è sviluppato tutto abbastanza velocemente.
Il disco è uscito tardi rispetto le registrazioni perché in effetti c’è stato un ripensamento, mi sono detta: “forse dovrei produrre queste canzoni in maniera meno estemporanea.” invece John, Hugo, Cesare – che mi sono stati un po’ intorno, con cui continuavo a parlare del progetto – mi hanno spinto a farlo uscire così com’è, come era stato “creato”.
Il disco è uscito dopo. Le canzoni sono state registrate in un momento, appena composte e non ritoccate né nei testi, né nelle melodie.
Adesso che le suono dal vivo da tempo si sono un po’ modificate. Forse all’ascoltatore non sembrano tanto differenti, ma per me lo sono abbastanza ... sono state più interiorizzate.
Infatti tempo fa mi hai confidato che questi brani sono stati registrati in un periodo particolare della tua vita e che non ti rispecchiano ora come ora.
Se dovessi registrarli oggi li registreresti in maniera diversa?
Probabilmente non sarebbero tutti lì. Sono molto contenta di come è andata: ho registrato in un momento particolare in cui ero molto intimista rispetto alle mie emozioni. Adesso sono un po’ più orientata a fare cose un po’ più strutturate.
Il prossimo disco sarà totalmente differente. Credo. Almeno, dal materiale che sto raccogliendo riesco a sentire altre sonorità.
Ma quando parli di “prossimo disco” intendi proprio a tuo nome o a nome Sepiatone?
Per Sepiatone stiamo lavorando a nuovi pezzi e stiamo registrando. Anche qui sarà abbastanza lungo perché noi scriviamo, andiamo in sala di registrazione, ma al momento si tratta di mettere giù i pezzi, arrangiarli con i musicisti, ma non prevedo in tempi brevissimi, dati gli impegni sia miei che di Hugo, una sessione abbastanza lunga in studio.
Poi ci sono altri pezzi a cui sto lavorando che sono solo miei. Anche Hugo, non credo che si ritrovi totalmente. A lui piace molto un mio aspetto un po’ folk, però non è Sepiatone: le canzoni di Sepiatone nascono da sonorità che lui mi suggerisce.
Quindi sì, parlo di un ipotetico disco mio futuro. O comunque di una collezione di canzoni mie che chissà quando andrò a registrare.
Mh. Marta, spero che la nostra amicizia non venga incrinata dalla prossima domanda... Prima si parlava di una tua intimità in “Pretty and Unsafe” che però fatico a vedere... Ci sono diversi musicisti che suonano sul disco e lo “caratterizzano”... forse è perché li conosco...
Il loro coinvolgimento è nato un po’ come nascono le cose che facciamo insieme: Cesare si è seduto alla batteria (che non è il suo strumento), mi ha accompagnato e ha mantenuto questa sua posizione suonando pochissimo la chitarra; la preoccupazione di John era quella di non “disturbare” il pezzo: a lui piaceva molto il vuoto che creavo in queste pause e prendendomela comoda perché alla fine, riprendere dal vivo me stessa che suono e canto dà un andamento personale al brano.; Hugo mi ha aiutata a selezionare alcuni pezzi che avevo registrato molti anni fa con un registratore a cassetta.
La loro presenza è in tutto il disco e loro sono state le persone che, comunque, di loro spontanea volontà hanno voluto contribuire.
Quello che si crea tra di noi – e questo è un aspetto del mio modo di collaborare – è trovare un punto d’unione durante l’esecuzione dei pezzi.
Il risultato che senti è anche per questa nostra confidenza e amicizia. Fa parte anche della quotidianità in cui noi viviamo, in cui io vivo con questi musicisti: sono rapporti di amicizia, quasi familiari. Avere John in studio vuol dire che era qui a fare le vacanze; Hugo che, vivendo insieme, mi segue durante la selezione di certi pezzi, di certe versioni e, probabilmente, fa parte del mio modo di vivere la quotidianità con tutti i musicisti.
È un po’ difficile da immaginare, però, in effetti, sono andata in studio quando John era qui in vacanza con la sua famiglia, Cesare passava un po’ di tempo a Catania (da qualche anno Basile vive a Milano), Hugo era a casa mia, per cui è stato tutto molto naturale.
È anche vero che per me non è semplice suonare con chiunque e non mi interessa fare un disco totalmente mio nel senso in cui nessun altro mette mano agli strumenti, anche se è un disco in cui ho suonato molto: dalle tastiere, alla chitarra, al sintetizzatore, ho fatto alcuni mix, ho seguito tutte le fasi, molto più che con Sepiatone e con altro.
Ti confesso che l’uscita di “Pretty and Unsafe” mi ha un po’ spiazzata: ho sempre pensato che quando il membro di un gruppo pubblica un disco solista è perché sente di non avere abbastanza spazio all’interno del gruppo o sente la necessità di fare qualcosa di totalmente diverso e“Pretty and Unsafe ha un suono vicino a quello dei Sepiatone... Insomma... un disco di Marta Collica, la metà dei Sepiatone, accompagnata dall’altra metà dei Sepiatone... sono un po’... un po’ “mumble mumble”, ecco.
... Ehm... Il lavoro di Sepiatone si svolge nei momenti in cui Hugo è lontano dai suoi impegni con True Spirit e ci troviamo nello stesso spazio. In realtà lavoriamo molto a distanza, ma negli anni sempre di meno. Conta che il primo disco è nato quasi tutto per corrispondenza, per il secondo ci siamo ricavati più spazi, più momenti in cui comporre insieme e realizzare insieme le canzoni.
In quel momento vivevo una fase di solitudine: Hugo era impegnato in altri progetti, quindi era lontano fisicamente e creativamente, non era a mio supporto. Mi sono trovata da sola con delle emozioni molto contrastanti rispetto alla mia condizione di musicista, di donna, di spalla o di metà di un progetto che però è soggetto a delle necessità che non sono solo mie. Queste canzoni raccontano questa mia situazione. Ho quindi sentito l’esigenza di avere una cosa totalmente mia dal punto di vista compositivo, dal punto di vista della scelta di come doveva essere registrato e che non dipendesse da nessun altro. È stata una scelta forte che ho sentito di prendere, ma ha anche avuto delle ripercussioni perché quando Hugo è tornato dall’Australia io ero già in studio, quindi ha scelto di accompagnarmi in alcuni pezzi perché, in un certo senso, non riesce a rinunciare alla contaminazione con me, come io non riesco a rinunciare alla contaminazione con lui.
Questo disco è sul mio modo di vivere la mia solitudine e la mia espressività.
Senti, parliamo un po’ del progetto “Songs with Other Strangers” (supergruppo che comprende, oltre a Marta, Hugo Race, Cesare Basile, John Parish, Jean-Marc Butty, Stef Kamil Carlens degli Zita Swoon, Giorgia Poli, Manuel Agnelli e sicuramente qualcun altro che ora non mi sovviene).
L’idea è stata tua e i meriti sono andati a (molti) altri. Immagino sia fastidioso.
(sospira) I meriti sono andati ad altri mentre eravamo in pieno tour e venivamo presentati come “il progetto di Manuel Agnelli” o “il nuovo progetto di Cesare Basile”, ma Manuel e Cesare sono stati i primi che hanno puntualizzato che l’idea era partita da me. Anche se era un’idea della quale non ero affatto gelosa, a che fine patrocinarla? Non avevo questo bisogno e poi so benissimo come vanno le cose: è molto semplice associare un progetto alle persone più in vista, agli artisti più esposti. Quello che ho fatto è stato veramente l’inizio: Manuel prima di tutti è stato quello che ha incollato tutti noi, coinvolgendo il suo management per un primo tour... io non ce l’avrei mai fatta da sola, non avevo questa lungimiranza che Manuel invece ha.
Mi racconti com’è nata l’idea?
L’idea di Songs with Other Strangers è nata perché...forse... guarda, non vorrei fare confusione... è stato nello stesso periodo in cui John si è trovato a fare le prime registrazioni con me per “Pretty and Unsafe” qui a Catania. C’erano Cesare e Hugo e avevamo deciso di suonare un po’ dal vivo e di fare un concerto in cui mescolare i repertori: mi piaceva questa idea perché era una cosa che avevamo già fatto in studio sia con John che con Hugo che con Cesare ci è capitato di interpretare le canzoni l’uno dell’altro durante delle session in studio e mi è venuta l’idea di metterlo in pratica, di fare proprio un concerto. Quando Manuel ha saputo di quest’idea ha subito preso un aereo ed è sceso: “Voglio esserci anch’io!”
La stessa sera del concerto si è sviluppata quest’idea: scrivere delle canzoni appositamente per il progetto; una persona scrive una canzone che poi verrà cantata da un’altra persona. O provare a riarrangiare le canzoni di ciascun repertorio in maniera “unitaria”, con una band che è fatta di tanti cantautori.
Non so se c’è il gusto della perversione compositiva (sorride), non lo so. Però ci è piaciuto e la cosa si è subito allargata e si sta ancora allargando.
È stata un’esperienza bellissima anche perché ci ha distaccato dal ruolo consueto, ci siamo potuti un po’ tutti rilassare.
Infatti durante il concerto vi vedevo correre tutti da uno strumento all’altro ed è stato molto divertente.
Piuttosto, mi sembra di capire, quindi, che ci possiamo aspettare ancora qualcosa quindi, magari in tempi molto lunghi.
Sì, forse non troppo lunghi, ma c’è un’idea di proseguire trovandoci per scrivere dei pezzi appositamente per questa formazione, magari ancora un po’ più allargata.
Marta, devo essere sincera: ho avuto una certa difficoltà a ricostruire la tua intera discografia. Anzi, poi te la mando, così le dai un’occhiata e mi dici se ho dimenticato qualcosa...
Ma sai una cosa?
Cosa?
Forse la trovi anche sulla mia pagina di Myspace.
Mi è venuto in mente dopo! E comunque non sarebbe stato divertente.
Tra l’altro mi sa che non è completa, sai?
Allora sì, mandamela!
Ti avverto subito che non ho segnato “Tutto l’Amore che Mi Manca” di Nada. Ho fatto male?
No! No, anche perché lì non ho fatto granché: ho suonato solo una percussione. Ho seguito più lei nella canzone in inglese e basta. Non sono presente in maniera rilevante.
Ma come nascono tutte queste collaborazioni? E come riesci a gestirle tutte? Immagino non sia facile.
Credo sia stato Hugo a trasmettermi il fatto di riuscire a muovermi tra un progetto e l’altro. Prima riuscivo a fare una cosa per volta con passione e concentrazione, nel tempo ho sviluppato questa capacità di adattarmi alle situazioni, di imparare i pezzi in breve tempo, a ritrovarmi e fare delle prove e dei concerti immediatamente dopo, in periodi molto concentrati.
È una vita strana perché sono sempre in movimento. Ci sono anche delle controindicazioni: per esempio adesso ho sviluppato un po’ di fobia per l’aereo poi odio le valige, odio farle, odio disfarle, odio rifarle; dimentico roba in giro per il mondo... sembra un po’ glamour, ma non lo è perché ho bisogno di alcune cose qui e che invece non ho! C’è da dire anche che la mia memoria corta è un po’ sotto stress perché passare da una cosa ad un'altra con un ritmo assiduo è faticoso: ti prende la testa e il corpo in maniera molto decisa.
Penso che una cosa completi l’altra: non riesco a pensarmi come ad una cantautrice e forse anche questo si collega al discorso di “Pretty and Unsafe”; è anche il mio modo di fare musica: non riesco a concentrare tutto nel fatto di scrivere canzoni mie ed eseguirle e interpretarle. Mi da moltissimo interpretare ed arrangiare pezzi di John o quelli dei True Spirit o scrivere melodie sui pezzi dei Dining Rooms. In un certo senso una cosa nutre l’altra.
Quindi al momento continuerò così finché non stramazzo. (ridiamo)
Ti è mai capitato di essere costretta a dire di no a qualcuno?
Sì. È una sensazione brutta, non mi piace dire di no. Ho detto di no forse a musicisti non conosciutissimi che ritengo molto validi, però mi trovavo in un periodo in cui non mi potevo concentrare anche in queste cose.
Una curiosità: nell’artwork compaiono diversi numeri...
Forse c’è della simbologia in questi numeri.
Questo artwork viene fuori da alcuni acquarelli che avevo fatto e da collage che avevo fatto con pezzi di adesivi per le cassette, sai, per i master in studio di registrazione. Li aveva lasciati qui Giovanni (Ferrario dei Micevice), erano una serie di etichette abbandonate in una scatoletta e ho voluto utilizzarle, farle parte dei miei disegni. Componendo il booklet mi sono poi accorta che alla fine c’era un piccolo senso in quello che avevo messo insieme.
Ci sono il 9 e lo 0 sul sopracciglio del mio disegno in copertina e sulla maglietta c’è scritto “Miedo” che in spagnolo significa “paura, timore” e una delle emozioni in cui parlo nel disco è il timore e ho associato la cosa un po’ involontariamente. Poi ci sono questi adesivi che dicono “Not for production”, una negazione del finito, del concluso.
Non pongo mai volentieri domande sui singoli brani, ma ho l’impressione che “Faded Bloom” sia un pezzo a cui sei molto affezionata.
In realtà non più di altre. Descrive un’esperienza che risale all’infanzia. È successo quando ero piccola, un incidente strano accaduto nel Bosco della Sila, in Calabria, in un bosco bello fitto, di quelli seri, che sembrano quelli delle favole, da incubi.
Eravamo tutti bambini, tutti cuginetti ed eravamo insieme a questo ragazzo, amico di famiglia, che si occupava della protezione di quest’area del bosco e ci aveva portato in questo bosco con il calesse. Purtroppo il calesse si è ribaltato sul ciglio di un piccolo burrone e noi siamo rotolati giù, fermati dagli alberi e siamo stati soccorsi da questa tribù di nomadi che campeggiava nel cuore del bosco. È stata un’esperienza stranissima per noi bambini, io avevo cinque o sei anni, che poi siamo stati accolti da questi nomadi che vivevano come nomadi negli anni settanta all’interno di un bosco. Sono stati molto ospitali, mi ricordo che ci hanno offerto confetti e che abbiamo giocato insieme ai loro bambini. Avevano un aspetto un po’ inquietante: erano zingari dell’est, sdentati, classici da iconografia rom.
Però è stata un’esperienza bella perché poi siamo diventati amici e siamo tornati a trovarli altre volte.
Per me è stata un’esperienza molto forte e ho voluto descrivere questa loro gioia. Erano persone che vivevano di espedienti, però ci hanno accolto con un’umanità, con una consolazione incredibile. Per questo sono legata a questo pezzo.
Ma forse è “Pretty and Unsafe” il pezzo a cui sono più legata, un pezzo che parla forse di me, forse di tante altre donne e in cui ci si domanda come mai si sta così male a volere sempre così tanto, come mai è doloroso voler tanto, voler vivere tante esperienze, però poi c’è sempre un piccolo prezzo da pagare.
Ultima domanda. I video per i tuoi brani sono stati caricati sul tuo Myspace, ma non passeranno in televisione.
No. ... Non c’ho pensato... Questi video sono stati amorevolmente fatti da Michelangelo Russo (il trombettista dei True Spirit, berlinese di chiare origini italiane).
Sono affezionatissima a quello di “Little Gods”, a me piace tantissimo. Forse è più un’installazione.
Dal punto di vista tecnico potrebbero essere adattati, sono stati girati in pellicola, quindi non ci dovrebbe essere problema. Ma non c’ho pensato, devo dire la verità.
Marta, penso proprio di averti chiesto tutto. Ci sentiamo presto?
Sì. Comunque sarò a Milano tra un paio di settimane. Ti chiamo.
(20 febbraio 2007)
Le foto di Marta Collica sono state scattate da Fabio Stefanini ed utilizzate per gentile concessione.