Belluno o Milano, cambia qualcosa?
di Marco Lo Giudice
Intervista con Fabio De Min, frontman dei bellunesi Non Voglio Che Clara
“In realtà son cresciuto con tutt'altro, mi sono avvicinato molto tardi ai cantautori”. Fabio De Min ha l'aspetto del musicista navigato, che non tradisce l'emozione della performance che lo aspetta da lì a poche ore, al Panic Jazz Club di Marostica (Vicenza). E non c'è da stupirsi, considerato l'ottimo ruolino di marcia dei live dei Non Voglio Che Clara.
E alla domanda sui riferimenti altisonanti che nel corso degli anni hanno gravato sulla scrittura di Fabio, vedi alla voce Tenco, Bindi, Battisti e De André, lui risponde molto serenamente: “Non credo che gli ascolti vadano realmente a incidere così tanto su quello che poi uno fa. Io poi fruisco della musica come un ascoltatore qualsiasi. L'etichetta da parte della critica è normale, alle volte mi lusinga, come nel caso di Tenco, ma sinceramente, dopo dieci anni di attività, non senti più nessun riferimento artistico”.
Ascoltando "Dei Cani", effettivamente, la personalità dei Clara è forte e consolidata. Si sente, piuttosto, un respiro più ampio e suggestivo – nelle parole, nella musica e nelle suggestioni – quasi cinematografico. “Questo è vero. Soprattutto per quanto riguarda la grande tradizione di autori di colonne sonore che abbiamo in Italia. La sfida è stata proprio quella di accostare alcune sonorità da film al rock indie alternativo, e vedere cosa ne saltasse fuori. È lo stesso motivo per cui ci siamo avvicinati all'elettronica: io credo che fondamentalmente uno cerchi di scrivere sempre la stessa canzone, e che poi subentri tutta una serie di cose che differenzi e arricchisca il brano, anche lo studio. Lì comincia una ricerca sonora, che noi viviamo come un'intenzione, un'esigenza assolutamente spontanea, che permette di non ripetersi mai”. Una scelta precisa, di grande qualità, che arricchisce il sound del gruppo bellunese. Belluno, appunto. “Forse quindici anni fa essere a Milano avrebbe cambiato qualcosa, Milano era il centro del mondo: i contatti e le strutture per fare musica erano tutti lì. Ma adesso questo è un discorso che non vale più, il mercato si è completamente sfaldato. Anche perché quanti locali ci sono tra Milano e Roma per suonare a un certo livello? Perciò, per quanto in provincia ci voglia ancora molto tempo per far uscire qualcosa, molte cose nascono comunque da realtà così piccole”.
Un mercato sfaldato, apparentemente con nessun (o mille, a seconda dei punti di vista) colpevole. “Credo invece la colpa sia principalmente delle grandi case discografiche che non hanno saputo invertire la tendenza, ormai sono un treno che corre da solo e che non è capace di cambiare direzione. Il download illegale danneggia, è vero. Ma non è l'unico fattore che agisce nella crisi del disco. Per questo certe sanzioni le trovo esagerate. Perché invece non si pensa di far pagare direttamente i siti o, meglio, il gestore telefonico? Magari sfruttando il concetto di abbonamento. Il fatto è che i gestori telefonici non pagheranno mai per i contenuti”. Perché, in fondo, nessuno crede più nella cultura come risorsa economica. Fabio ne è convinto: “Ma certo, è un problema profondamente culturale. Basti pensare anche ai locali, come dicevo prima. Non molto tempo fa abbiamo suonato a LaCasa139, a Milano, poco prima che chiudesse, ed era uno dei pochi bei posti rimasti”.
Prima di lasciare Fabio alla cena e quindi al concerto, le ultime parole sono dedicate ai progetti del futuro prossimo, tra live e studio: “Saremo in tour fino all'autunno, poi cominceremo a pensare a un disco nuovo. Senza fretta, comunque. Ci siamo sempre concessi la possibilità di scegliere con chi e come lavorare, e lo faremo senz'altro anche questa volta”.
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La cognizione di noi stessi
di Stefano Bartolotta
Dopo una lunga attesa, la band di Belluno capitanata da Fabio De Min è tornata con un album già molto apprezzato da parte della critica. Abbiamo provato a dare al leader alcuni spunti, via mail, per approfondire diversi aspetti di questo disco. Le risposte ci mostrano un artista con le idee chiare e molto soddisfatto del proprio lavoro.
Quando è uscita la notizia che sareste tornati, inevitabilmente molti si saranno chiesti il perché di questi quattro anni abbondanti di assenza. All'ascolto del disco, personalmente ho pensato che siete tornati solo ora perché avete voluto aspettare di avere davvero qualcosa di nuovo e importante da dire. Ci sono altre ragioni?
Dopo aver portato in giro per diversi mesi il disco precedenti ci siamo innanzitutto presi una piccola pausa durante il quale abbiamo continuato a far concerti, ma in formazione ridotta e in situazioni più intime. Un giro di concerti che è stata una sorta di appendice a "Bene" il singolo uscito solo in vinile nel 2007. Quindi mi sono concentrato sulla scrittura dei nuovi brani, ho dato una mano a un po' di amici per i loro rispettivi lavori (Artemoltobuffa, Valentina Dorme, Loft, Public) e nel frattempo abbiamo pure cambiato un paio di membri all'interno del gruppo.
Già tra "Hotel Tivoli" e l'omonimo, secondo me, c'è un cambio nella prospettiva di come racconti le cose, nel senso che ci vedo meno ingenuità e disincanto e più consapevolezza e maturità. Ora trovo che questo spostamento sia andato molto avanti e che questo sia un disco che non lascia spazio a dubbi e/o leggerezze, ma si presenta duro e determinato.
"Dei Cani" è certamente un disco più duro nei contenuti rispetto ai precedenti, tuttavia credo abbia anche una dose di dolcezza per niente remissiva, anzi frutto della stessa determinazione del protagonista di fronte agli eventi che lo coinvolgono.
Ciò che salta all'orecchio in modo più immediato è la grande evoluzione in termini di suono. La voglia di rinnovarsi da questo punto di vista nasce a processo compositivo in corso o concluso oppure era un'idea presente fin dall'inizio?
Nasce in primis durante la composizione, nel senso che era nostra idea fin dall'inizio realizzare un disco più diretto e immediato rispetto ai precedenti. Quindi nel lavoro di studio, rapportandoci con le possibilità che quest'ultimo ha da offrire, non ultimo confrontando le nostre idee con quelle di Giulio (Ragno Favero, a cui è stata affidata la produzione artistica, ndr).
Mi ha colpito in particolare il fatto che in più di un passaggio la voce è quasi coperta dalla stratificazione degli arrangiamenti: trovo che sia una soluzione rischiosa ma di grande fascino se usata bene come in questo caso. Puoi dirci qualcosa di specifico riguardo a questo aspetto?
Il missaggio del disco è opera esclusiva di Giulio. Certamente condiviso nelle intenzioni e nelle scelte, ma uno degli aspetti a cui più tenevo nella collaborazione con Giulio era proprio la possibilità di fruire di una prospettiva diversa riguardo al materiale esistente. Trovo che in questo modo siamo riusciti a far uscire meglio quei colori che magari già stavano nella scrittura ma erano sullo sfondo, e anche l'aspetto di cui parli tu alla fine contribuisce a restituire l' urgenza dei testi scritti.
A proposito di suono, Giulio Ragno Favero ha lavorato anche al disco dei Valentina Dorme, secondo me miglior album italiano del 2009, e anche tu ci hai lavorato. Trovo che il loro disco abbia in comune con il vostro anche un altro elemento, che non c'entra con la produzione artistica ma con il messaggio di fondo, ovvero che vivere l'amore in modo molto intenso porterà quasi sicuramente alla sconfitta e quasi mai a un lieto fine.
Mi fa molto piacere sentir citato "La Carne." dei Valentina Dorme che è davvero un disco meraviglioso, uno dei lavori ai quali ho dato il mio contribuito di cui vado più fiero, compresi quelli a mio nome. Non condivido però la tua analisi sul messaggio: non c'è una sconfitta in questi dischi, bensì una conquista. Quella di una maggiore cognizione verso noi stessi, che poi è un ulteriore passo verso la comprensione della vita tutta.
Quella dell'amore, però, non è l'unica tematica trattata nel disco, ma in più di un'occasione c'è uno sguardo, più o meno intenso, verso problematiche sociali, cosa che può essere riscontrata anche in altri gruppi orientati a una revisione in chiave moderna della canzone d'autore tradizionale, penso a Baustelle e Amor Fou. Quanto è necessario che questo avvenga oggi, in un mondo in cui il disinteresse per tutto ciò che non riguarda la sfera personale di ognuno è sempre più dominante?
Il rifugio dalla politica può essere da sé una scelta politica. Più che prendermela con chi non si interessa, me la prenderei con chi responsabilmente fa scelte che sono nocive per la società e le persone. D'altro canto, il disinteresse, l'indifferenza di cui parli non può che destare nell'autore la voglia di esprimere il proprio punto di vista. Direi che più che necessario è sintomatico.
Per quanto riguarda l'aspetto strettamente compositivo, trovo che qui la maturità rispetto al passato sia rappresentata da una maggior varietà nello stile melodico, da una scrittura più pop rispetto ai lavori precedenti.
Come sottolineato poc'anzi, l'intenzione era quella di scrivere un disco più immediato, grezzo, diretto. Questo mi ha "costretto" a confrontarmi con una scrittura più lineare, ma mi auguro non generalista.
Nell'immaginario proprio degli appassionati di musica indipendente italiana, il lavoro a nome Non Voglio Che Clara è visto quasi come un'esclusiva emanazione della tue idee. Quanto conta in realtà l'apporto dei musicisti che suonano con te?
È fondamentale, non fosse anche solo per il fatto che senza la loro presenza non avrei qualcuno con cui confrontare queste idee. Non voglio che Clara è una band a tutti gli effetti, con i propri equilibri-squilibri ma senza l'apporto delle persone che stanno all'interno della band saremmo qui a parlare di un altro progetto.
Lo stesso ti chiedo a proposito degli ospiti. Ha prevalso un loro modo di muoversi secondo i vostri dettami oppure hanno dato un contributo anche creativo e non solo nell'esecuzione?
Spero che il contributo degli ospiti del nostro disco sia etichettato da loro stessi come creativo, anche in quei casi in cui si è lavorato a stretto contatto. Con Diana (Tejera, cantautrice romana, ndr) e Matteo (D'Incà, polistrumentista che qui ha suonato la batteria in due brani, ndr), ad esempio, ci siamo confrontati molto, mentre i port-royal e Mia (Julia Schettini, voce della band romana Palomino Blitz, ndr) hanno lavorato in completa autonomia. Dipende dai casi e dalla situazione. Di tutti sono comunque molto contento.
Vi ho recentemente visti dal vivo al Circolo Arci Bellezza di Milano e la cosa che più mi ha colpito è stata la capacità di dare grande consistenza al suono dei brani pur essendo solo in quattro, senza quindi poter contare su molte delle armonizzazioni proprie del lavoro in studio. C'è comunque in cantiere un progetto di allargamento della line-up, anche solo per eventi sporadici?
Ti ringrazio molto per questa annotazione e spero davvero che il nostro lavoro "in sala prove" sia servito a mettere in piedi un set che funzioni, al di là del confronto con il materiale registrato. Non escludo la possibilità di allargare la formazione, anche se per ora siamo molto contenti di dividerci in quattro lo spazio del palco.
Cosa prevedono ora i vostri "piani per il sabato sera"? Ne trascorrerete molti a suonare dal vivo in giro per l'Italia a supporto del disco?
Questo è ciò che ci auguriamo, la nostra agenda si sta componendo in queste settimane.