Balanescu Quartet e Kraftwerk, violini da un lato, computer dall'altro. A un'analisi superficiale, nulla potrebbe sembrare musicalmente più distante, eppure il disco più noto - "Possessed" - dell'ensemble guidato dal violinista rumeno è proprio basato su cover del quartetto di Dusseldorf, con la sola eccezione di un'ispirata versione di "Hangin' Upside Down" di David Byrne e di un paio di pezzi originali.
Due realtà in apparenza distanti anni luce, ma accomunate da una spasmodica ricerca di modernità.
Quando i Kraftwerk, ormai più di quarant'anni fa, inventarono letteralmente la musica elettronica non avevano l'obiettivo di fare qualcosa di musicalmente rivoluzionario, bensì di realizzare qualcosa di tecnicamente rivoluzionario nell'ambito della musica pop. Volevano portare all'interno della musica impropriamente definita "leggera" i primi vocoder (tra l'altro autocostruiti), lo sferragliare dei treni, i clacson delle automobili e le fredde voci dei robot, fedeli all'etimologia del concetto di musica pop(olare), vale a dire destinata a un larghissimo numero di persone, per le quali quei suoni sono la colonna sonora di ogni giorno.
D'altra parte un personaggio di formazione e cultura classica come Alexander Balanescu, se voleva modernizzare l'utilizzo di strumenti tradizionali non poteva che confrontarsi con l'opera del gruppo più innovativo nell'ambito della musica pop, conferendo alle deliziose tessiture melodiche di brani come "Model" o "Autobahn" lo status di standard del terzo millennio, in un'opera di vero e proprio innalzamento della cultura popolare (antitetico, si badi bene, alla volgare opera di banalizzazione e svilimento della musica classica operato da certi capelluti pianisti di casa nostra).
Per celebrare "Possessed", il Balanescu Quartet si presenta sul palco dell'Hiroshima Mon Amour di Torino. Scenografia assente, quattro leggii per le partiture (è pur sempre un quartetto d'archi), luci soffuse e minimo utilizzo di fumo rendono suggestiva l'ambientazione.
L'inizio del concerto è la bellissima "No Time Before Time", seguita da alcuni brani tratti da "Maria T." e "Luminitza", album legati alla tradizione rumena, riscoperta dal violinista all'inizio degli anni 90 dopo oltre un ventennio passato all'estero.
Durante "Still With Me", tratto da "Luminitza", Alexander Balanescu lascia temporaneamente il violino per declamare con voce stentorea alcune date fondamentali della storia del suo Paese e dell'Europa (salita al potere di Ceaucescu, caduta del muro di Berlino, fino all'ingresso nell'Unione Europea dei Paesi un tempo appartenenti al blocco comunista).
La voce non ruba la scena agli archi, che vengono suonati ora con delicatezza ora con forza, ma anche picchiettati o quasi schiaffeggiati, pizzicati con un'intensità legata più all'immaginario rock che a quello degli azzimati violinisti da auditorium.
Il declamare del violinista sottolinea ancora di più la vocazione popolare e la modernità delle sue composizioni, in un intreccio di strumenti tradizionali (intendendo gli archi come strumenti legati al folclore dell'Europa dell'Est), attitudine propria della musica colta europea e avanguardia compositiva.
La seconda parte della serata, in cui sono concentrate le riletture delle composizioni dei Kraftwerk (tra le quali "Pocket Calculator", "Autobahn", "Model", "Computer Love") risulta quindi parte di un percorso filologico e culturale che si dispiega nell'arco del concerto e che risponde anche a coloro tra il pubblico che, all'inizio, si chiedevano "quando arrivano i pezzi dei Kraftwerk?".
Onore e merito ad Alexander Balanescu, capace di trasporre in musica la storia di un popolo e di coinvolgere il pubblico in un viaggio - un vero e proprio "Trans-Europe Express", per restare in tema di Kraftwerk - che dalle feste paesane dell'Est conduce al cospetto dei robot e delle luci dell'Occidente, unendo tasselli di musica e di tradizione con una lucidità, una delicatezza e un'acutezza nello scorgere il simile nel diverso che ne fanno uno dei maestri assoluti della musica popolare contemporanea.