Gli anni Duemila hanno segnato la definitiva rivalsa della cultura indie, trasformatasi da fenomeno di nicchia a cultura di massa, essenzialmente grazie a un fattore: internet. Per milioni di ragazzi, la rete ha sostituito tv, radio e giornali come strumento di informazione; ancor prima di questo, però, si è rivelata un mezzo di comunicazione rivoluzionario. Peer-to-peer, forum, chat hanno dato vita a un popolo privo di centro e confini geografici, ma curiosamente disinteressato alla dimensione collettiva della musica.
Se c'è uno stile che rappresenta questa contraddizione, è quell'indietronica di cui "Rounds" è il capolavoro. Musica elettronica, creata al computer, che però dice addio ai paesaggi astratti e alle più alienanti pulsazioni dance. Come il computer, è ormai del tutto calata nel quotidiano. Non esprime più il desiderio di fuggire, dalla propria stanzetta, ma di restarci. E viverci con serenità le emozioni di sempre: felicità, malinconia, amore.
Si apre con un cuore che batte, "Hands", e immediatamente avvolge in un bozzolo di luce e turbinii colorati. Il ritmo è calmo, un hip-hop rallentato e privo di qualsiasi inquietudine. Se c'è un elemento che colpisce, è quanto sottile sia il confine tra questa musica del tutto digitale e l'atmosfera calda e intima di quella acustica. È l'intuizione di Kieran Hebden, ventiquattrenne anglo-indo-sudafricano di stanza a Londra: usare il computer ma prendere i suoni a prestito da vecchi vinili folk, per creare una musica timida, confortevole, carica di emozioni genuine. È tutta qui l'essenza della folktronica, ma Four Tet - questo il nome d'arte del ragazzo - ci è arrivato per via indiretta, tramite una passione musicale a tutto tondo che è in fondo anch'essa un simbolo dell'epoca nuova.
Kieran Hebden ama il jazz, l'hip-hop, il post-rock, e da un paio d'anni ha pubblicato il suo primo album solista: "Dialogue". È però l'infatuazione per le produzioni r'n'b americane, assieme alla nuova passione per il folk britannico, a spingerlo verso suoni più ricchi. Dalle prime riceve lo stimolo ad allargare la sua tavolozza sonora; nel secondo trova proprio le tessiture calde e bucoliche che va cercando. "As Serious As Your Life" è il paradigma di ciò che ha in mente: il tema melodico è un inciso brevissimo di chitarra acustica, "scippato" agli allora dimenticatissimi folkettari francesi Malicorne; la traccia però segue una via tutta sua, inerpicandosi tra ritmi hip-hop e battiti di mano in un clima assieme mite e spumeggiante.
"She Moves She" palesa le regole del gioco; e, soprattutto, che di gioco si tratta. Un raffinatissimo smonta-e-rimonta in cui Kieran Hebden riassume tutto se stesso. In primo luogo, si dispone il materiale sonoro di base: tre/quattro sample, non di più. Un po' di arpa, qualche campanello, un bel ritmo secco e asimmetrico. Poi via coi loop, le sovrapposizioni, gli incastri nelle più svariate combinazioni, seguendo il flusso delle emozioni. Ogni tanto il flusso si calma, ogni tanto invece è spezzato da improvvise intromissioni digitali sotto forma di glitch, suoni fuori posto. È soprattutto l'aspetto ritmico, però, ad attirare la creatività di Hebden. Spesso lascia che gli altri sample si ripetano in sottofondo, facendo emergere la traccia di batteria per sottoporla a mille trasformazioni e ricombinazioni. Come nel drum'n'bass e nella sua versione mutante - il drill'n'bass, ma con un equilibrio e un gusto del tutto inediti. Anziché ispidi e cervellotici, i suoi sono beat che si stampano in testa all'istante in ogni loro variazione. L'arte ritmica di Four Tet sposa con classe orecchiabilità e sorpresa: in "They All Look Broken Hearted", un pacatissimo schema in tre quarti irrompe su una distesa scomposta di rullate jazz e colpi di piatto, quando ci si sarebbe aspettati che da questa emergesse un beat più carico.
È un gioco, ha perfino qualcosa di infantile, ma come i veri giochi dei bambini nasconde un intero modo di rapportarsi al mondo. Curiosità, candore, voglia di meravigliarsi: tutto questo affiora da "Spirit Fingers", una girandola di suoni e visioni che affonda le radici nel minimalismo del compositore Terry Riley e nella musica gamelan indonesiana. Non soltanto: questa giostra di tin-tin e timbri argentini impiegati a mo' di percussione, proprio come i due stili da cui trae ispirazione, ha un che di ipnotico o estatico. Sembra condurre dritta alla pace dei sensi. Ma il Nirvana che promette - e questo è un punto fondamentale - non è un mondo alieno o un'euforia da sabato sera: è sotto gli occhi, nelle cose di ogni giorno. Questa è l'arte magica di Four Tet: riesce a illuminare il mondo attorno, a farlo rivedere con occhi da bambino. È chiaro ora come "Rounds" vada oltre l'imprecisa etichetta folktronica. È piuttosto musica epifanica, di una bellezza imprendibile perché nascosta non nelle cose, ma nel modo di guardarle. È il raggio di sole che entra dalla finestra accende i colori di una giornata spenta. È "My Angel Rocks Back And Forth", un'oscuro trip-hop che si scopre dolce e sonnacchioso grazie a un timido sbuffo d'arpa; è il "quack" del papero di gomma che si infila nel crescendo trasognato di "Slow Jam". Un sorriso, la cosa più semplice, che non smetterà mai di emozionare.
31/10/2010