The Quintet, ovvero il prototipo del supergruppo, per usare una terminologia cara agli amanti del rock. Messo su da Charles Mingus per un concerto in Canada, il suddetto "baraccone" è davvero una somma di selle del jazz degli anni a cavallo tra i 40 e i 50, la crème de la crème del be-bop (nonostante l'assenza di un certo Thelonious Monk): oltre a Mingus al contrabbasso (forse l'unico parzialmente "estraneo" al bop in senso stretto) presenziano Dizzie Gillespie alla tromba, Bud Powell al piano, Max Roach alla batteria e un fantomatico e misterioso Charlie Chan (proprio come il mitico ispettore cinese della polizia di Honolulu) al sassofono, che altri non è se non il leggendario Charlie Parker che appare sotto pseudonimo, non già per chissà quale eccentrico pallino artistoide, ma esclusivamente per superare la noiosa burocrazia delle case discografiche che non gli consentiva di apparire col suo vero nome fra i credits del disco.
La performance in questione è relativa a un concerto dei cinque alla Massey Hall di Toronto, risalente al 15 maggio 1953, fortunatamente per noi immortalata dallo stesso Mingus con un registratore portatile. Il bassista, in seguito, dovette per altro reincidere le parti di contrabbasso in un secondo tempo, perché quelle risultanti dalla registrazione originale erano pressoché inesistenti, impercettibili.
La tracklist è una summa di classici del be-bop, un concentrato di hot jazz che potrebbe quasi essere inteso come il succo, il risultato finale, il resoconto definitivo, il testamento artistico di tutto il movimento jazzistico de quo - che ha preso vita e si è sviluppato principalmente nella seconda metà degli anni 40, a partire dalle celebri sessions del Minton's di New York - tanto più in questi anni, i primi 50, nei quali lo stile rivoluzionario di Parker e compagni inizia a cessare di essere "vitale", alla luce di nuove innovazioni stilistiche: il cool jazz, nato per reazione, da una parte e l'hard bop, la sua naturale evoluzione, dall'altra.
I brani, come si è detto, sono tutti dei classici del genere ma, ciononostante, non si deve cadere nel tranello di considerare The Quintet come una sorta di "sterile" antologia del be-bop: l'esecuzione degli stessi durante serata alla Massey Hall sembra essere avvolta da un'aura magica, carica d'ispirazione esecutiva e di passione; nell'ascolto di questa registrazione è possibile cogliere, forse come non mai, o comunque come in poche altre occasioni, l'essenza stessa del be-bop, il calore, la rabbia, la voglia di rottura tipiche di questo modo di fare jazz che è stato di fondamentale importanza (non solo musicale) per l'evoluzione di tutto il jazz stesso, fino ai giorni nostri e forse non solo del jazz (Chuck Berry sarebbe stato lo stesso senza Charlie Parker?).
E, allora, nell'ordine: "Perdido", "Salt Peanuts", "All The Things You Are", "52nd Street Theme", "Wee (Allen's Alley)", "Hot House", "A Night In Tunisia". Non resta altro da fare che suonare il nostro supporto fonografico e regalarci questo gioiellino, consapevoli di trovarci di fronte al più classico degli eventi epocali: Parker e Gillespie dimostrano di conoscersi a memoria una volta di più, duettando, incrociando le loro frasi, suonando all'unisono, Mingus e Roach danno vita ad una base ritmica veramente impressionante per grinta, precisione e fantasia, Powell - mica uno qualsiasi - fa il resto regalandoci una performance pianistica pressoché perfetta.
E dire che il tutto era cominciato nel peggiore dei modi. Almeno così vuole la leggenda. Il concerto de quo era stato incautamente programmato in concomitanza con la diretta televisiva dell'attesissima finale per il titolo mondiale dei pesi massimi di pugilato tra Rocky Marciano e Jersey Joe Walcott, circostanza che ha provocato una duplice conseguenza nefasta: la pur capiente sala da concerto era mezza vuota (si narra che ci fossero solo settecento spettatori) e gli stessi musicisti pare che avrebbero preferito assistere al match di boxe piuttosto che suonare. Inoltre, Parker dovette suonare con un sax di recupero, essendosi presentato in Canada senza il suo e Powell versava in precarie condizioni psico-fisiche, essendo stato appena dimesso da una clinica in cui fu ricoverato per lungo tempo. Si narra, inoltre, che Parker, Gillespie e lo stesso Powell fossero completamente ubriachi.
Evidentemente, come recita il luogo comune, non tutti i mali vengono per nuocere.
05/09/2005