Era attesissimo, soprattutto in Gran Bretagna, il secondo album dei Doves, trio di Birmingham che nel 2000 uscì con il disco "Lost Souls" che, partito in sordina, è stato uno dei maggiori successi in terra britannica degli ultimi anni, un felice esempio di melodie britpop, psichedelia e rock chitarristico alla Smiths.
I tre aggiungono alla tradizionale strumentazione rock un ampio uso di campionamenti che arricchiscono il suono, cosa di cui sono maestri dato che le loro origini musicali risalgono alla house-dance del gruppo Sub Sub.
Com'era prevedibile, subito dopo l'uscita sul mercato di "The Last Broadcast", i giornali musicali inglesi si sono lanciati in lodi sperticate, chi definendoli i Radiohead del nuovo decennio, chi proclamando l'album, in anticipo sui tempi, "disco dell'anno". L'esperienza ci ha insegnato a diffidare della stampa inglese, che troppe fregatura ha tirato sparando in prima pagina delle next big thing sparite dalla circolazione la stagione successiva.
La breve introduzione che apre il disco ha l'enfasi necessaria a lanciare il primo pezzo "Words", che però si affida a una semplice energia britpop nemmeno troppo originale, segue il singolo "There Goes The Fear" che, guidato da una frase di chitarra da Merseybeat , si concretizza in una delle melodie più riuscite e intense del disco sfociando in un insolito finale di confusione da carnevale brasiliano. Il terzo pezzo è una sorpresa, una particolare semi-cover folk di "Moonchild" dei King Crimson, qui chiamata "M62", ben riuscita perché personale e decisamente più breve dell'originale.
Un intermezzo altisonante precede l'energica "Where We're Calling From", forse il brano migliore dell'album, con un bel finale acustico e la voce di Jim Goodman convincente (cosa che non accade sempre...), mentre il soul-gospel (con tanto di coro) di "Satellites" è abbastanza prevedibile e un po' stucchevole. Già da questi primi brani si capisce l'intento del gruppo di creare un sound più compatto e di aver aumentato le proprie ambizioni musicali, ma purtroppo si ha la sensazione che la profusione di campionamenti, sovraincisioni, che dovrebbero dare magniloquenza e spessore ai brani, a volte sembra debbano semplicemente aumentare di volume un piatto dalla ricetta semplice. Certo non difetta alla band il talento melodico, come in "Friday's Dust", una bella e malinconica canzone affidata alla voce e alla chitarra forse rovinata da un continuo affollarsi di fiati, archi e effetti sonori. E i Doves non dimenticano la freschezza degli esordi come in "Pounding", la canzone più allegra del disco e una delle più riuscite, capace di alzare il ritmo e scuotere per un attimo dalla malinconia generale che corre lungo l'album e che è ben presente anche nel brano che dona il titolo all'opera, una canzone con chitarra alla Smiths gonfiata da effetti e quant'altro. La title track è di nuovo una malinconica canzone chitarristica alla Smiths gonfiata da effetti e quant'altro, "The sulphur man" è una delle loro più riuscite melodie, gli archi stavolta molto presenti sono finalmente usati per aumentare l'emotività del brano, mentre chiude l'album "Caught By The River", una lunga ballata che ricorda molto le atmosfere dell'esordio.
In definitiva questo "The Last Broadcast" conferma che i Doves sono una realtà piacevole del pop-rock britannico, forse ciò che manca a questo lavoro è qualche brano che spicchi tra gli altri capace di trasformare un buon disco in un capolavoro del genere.
26/10/2006