Pearl Jam

Riot Act

2002 (Epic)
alt-rock

Non è ben chiaro il motivo per cui i Pearl Jam insistano nel fare i Pearl Jam. Sono undici anni, infatti, che il gruppo di Seattle fa uscire dischi che non presentano particolari innovazioni, ma mantengono uno stile ben definito, tanto da farlo diventare quasi un marchio di fabbrica. Il problema è che se nei primi dischi la genuinità e la freschezza permettevano loro di sfornare grandi canzoni, peraltro ottimamente inserite nel contesto storico del grunge, nel 2002, scomparsa la passione e passata un'epoca, le canzoni dei Pearl Jam sembrano stantie, ripetitive, riciclate.

"Riot Act", il nuovo arrivato, ha fatto parlare di sé, ma decisamente più per le opinioni politiche della band (ormai Vedder sta ritagliandosi un ruolo di guru insidiando il posto di Bono) che per la musica che propone nelle sue quindici tracce. Non c'è una sola traccia che spicca, ma soltanto alcune composizioni che fanno rimpiangere gli anni migliori. Eppure "No Code" e "Yield", seppur già nel periodo della decadenza, sembravano contenere qualche elemento di innovazione che avrebbe potuto modificare e aggiornare il sound del gruppo. Purtroppo il precedente "Binaural" e quest'ultimo album sono un grosso passo indietro: spaventati da qualunque novità, i Pearl Jam insistono nel ricalcare il rock delle origini, costruendo puntigliosamente e forzatamente il disco.

Come da copione, un'apertura energica ("Can't Keep", una delle migliori), una ballatona con tanto di ricordo dei morti di Roskilde ("Love Boat Captain"), un singolo orecchiabile ("I Am Mine") e un'invettiva contro il presidente degli Stati Uniti ("Bu$hleaguer"). C'è poco da dire delle canzoni restanti, che paiono semplice riempitivo, con l'eccezione di "You Are", forse la più particolare tanto da ricordare quasi certe sonorità dei Depeche Mode. Qualcuno potrà apprezzare i soliti testi di Vedder, come al solito infarciti di richiami alle guerre, al sogno americano e al terrorismo.

Com'è possibile che i Pearl Jam non si accorgano della lenta eutanasia a cui stanno condannandosi, annacquando la loro discografia con questi dischi usa e getta? Che sia una forma di coraggio, in tempi così floridi di elettronica e di sperimentazione, continuare a imbracciare le chitarre e suonare qualcosa che si può definire soltanto "rock"? Quel che è certo è che i Pearl Jam hanno perso l'ispirazione, eppure seguitano, sempre con l'onestà e la sincerità che li contraddistingue, a proporre la loro musica, ricercando una maturità intellettuale che non può arrivare replicando pedissequamente (e malamente) le proprie origini, ma che necessiterebbe un forte atto di coraggio, magari senza ripararsi dietro al facile paravento dei testi controcorrente e degli "epici" riff di chitarra.

04/11/2006

Tracklist

  1. Can't Keep
  2. Save You
  3. Love Boat Captain
  4. Cropduster
  5. Ghost
  6. I Am Mine
  7. Thumbing My Way
  8. You Are
  9. Get Right
  10. Green Disease
  11. Help Help
  12. Bushleaguer
  13. 1/2 Full
  14. Arc
  15. All Or None