Brani come "Bolognina Revolution" e "Conoscere gente sul treno" sembrano scritti appositamente per lasciare il segno nelle orecchie di chi ascolta, con i loro ritornelli dal tono stanco e accattivante allo stesso momento, mescolati al solito rappato che ricompare qui in un contesto del tutto nuovo e insolito per chi conosce bene gli Amari. Ma non c'è solo un mescolar di carte in questo disco: i tre friulani ci propongo anche alcune soffici e delicate perle indie-pop come "Campo minato", "Il vento del 15 gennaio" e "Venere non ritorna", tre brani che uniscono un'attitudine canonica a incursioni più o meno personali, che ravvivano in maniera intensa un immaginario pop forse troppo abusato negli ultimi tempi.
Nei 48 minuti di "Grand Master Mogol" c'è spazio anche per le tendenze elettroniche del gruppo, che emergono in brani come "Ho trovato il cuore d'oro", "Staccaboh" e "Un altro basso di polvere" (qui unite a un basso dalle tendenze funky): le atmosfere malinconiche e sognanti ricordano certe creazioni degli Air, mentre la ruvidità dei toni tradisce le radici hip-hop della band. I restanti brani risentono ancora di influenze differenti, soprattutto quelle indie-rock e post, che riprendono il discorso già iniziato con "Gamera" e giunto qui a completa maturazione. "Grand Master Mogol" è sicuramente il progetto più interessante degli Amari, un progetto che aggiunge alla evoluzione sul piano musicale un rapporto con le parole più aperto, basilare, che allontana i toni criptici e quasi intellettuali che avevano caratterizzato fino ad oggi le liriche del gruppo.
Dopo anni di esperienza e di produzioni interessanti ma mai completamente a fuoco, sembra che con questo disco "il pop sbagliato", termine caro ai ragazzi della Riotmaker, si sia finalmente realizzato.
(13/09/2005)