Il progetto Mars Volta nasce ormai quattro anni or sono dal chitarrista (Omar Rodriguez Lopez) e dal cantante (Cedric Bixler) degli At the Drive-In.
Il loro esordio sulla lunga distanza avviene nel 2003, sotto il nome di "De-Loused In The Comatorium".
L'album è una miscela di hardcore e progressive inzuppata di psichedelia, frutto della generazione emo a uso e consumo della generazione emo. Il progetto, ambizioso e godibile, nonostante alcune pecche, riceve l'incensamento (fin troppo elevato) di critica e pubblico.
Accade così che per il nuovo "Frances the Mute" le aspettative e le ambizioni crescono di pari passo.
Il risultato sono tre suite di lunghezza tra i dieci e i quindici minuti, un singolo di sei minuti e una piece de résistance di oltre mezz'ora.
Le lungaggini che invadevano già il precedente lavoro vengono qui portate in trionfo, la melodia tende a essere nascosta e la direzione maestra si sposta maggiormente sul lato strumentale. L'elemento progressive passa in primo piano e in più il suono viene infarcito di rumorini assortiti (in una produzione indie, scelta programmatica, ma più penalizzante che altro).
Insomma, il duo decide di correre un rischio che è ben più di un rischio.
I Mars Volta vorrebbero suonare come novelli King Crimson, ma in realtà la loro cifra qualitativa ricorda più i Muse.
La mancanza di genio che emergeva dalle note di "De-Loused in the Comatorium" aveva trovato solido ormeggio nella genuinità del progetto (per quanto ambizioso fosse) e in altrettanto genuine melodie, laddove invece in "Frances the Mute" le cose buone del gruppo sono immerse in un mare di nulla (traduzione: il disco è il classico passo più lungo, molto più lungo, della gamba).
La prima suite "Cygnus…Vismund Cygnus" si regge su una chitarra funk, ma suscita attenzione solo quando si distende nel corpo centrale in una soffusa e dilatata psichedelia, che cessa quando va a chiudersi in qualche minuto di insopportabile e inspiegabile coda rumoristica (di tale elemento diciamo ora ma il discorso vale per tutti i brani).
"The Widow", il singolo, è una melodia che vorrebbe suonare epica, ma che sostanzialmente non è degna di interesse.
"L'Via L'Vasquez", cantato in spagnolo, alterna pulsioni hardcore a un (misero) quadretto dalle sonorità latine, ma convince solo nel finale quando il suddetto quadretto viene finalmente sviluppato e ripassato con piano e chitarra elettrica.
Stavolta la coda, che in realtà si trasferisce all'inizio di "Miranda", trova finanche il suo senso disegnando tinte gotiche e aprendosi in cupi fiati. Purtroppo, la melodia dozzinale del brano fa il paio con quella di "The Widow".
Giungiamo così a "Cassandra Gemini" (suddivisa in otto momenti), che, data la lunghezza, avrebbe tutte le carte in regola per esser proclamata mazzata finale e che invece risulta essere il brano più riuscito (pur presentando ampi passaggi a vuoto, esemplare un lungo susseguirsi di masturbazioni di chitarra prima del gran finale).
La melodia (che apre e chiude il brano) finalmente è azzeccata, le spinte hardcore pungono sovente e alcuni passaggi strumentali sono notevoli (il migliore si ha ai dieci minuti, con le chitarre che imitano fiati).
Qualcosa da salvare in "Frances the Mute", dunque, c'è, ma è giusto qualcosa.
Necessaria sarebbe una riconsiderazione delle reali potenzialità del gruppo, onde evitare di scivolare ancora in dischi deludenti come questo, tenendo comunque in considerazione che le qualità sinora mostrate dai Mars Volta (anche nei momenti migliori) sono tutt'altro che eccelse.