Gli Hold Steady hanno fatto girare la testa un po' ovunque in America. Un po' come una bella donna alla facoltà di Ingegneria. In Europa invece il loro occhiolino malizioso non ha fatto ancora colpo, forse perchè eravamo distratti, forse chissà. In realtà la soluzione dell'enigma potrebbe essere - ed è - la cosa più semplice: talvolta Europa e Usa hanno gusti diversi e forse per apprezzare appieno gli Hold Steady è necessaria una dose sostanziosa di sangue stelle e strisce.
No, non fanno country e nemmeno del pop plasticoso, non si rifanno nemmeno alla tradizione e non c’è nemmeno una nota di funk. Gli Hold Steady, tanto per cominciare, sono un gruppo indie di Minneapolis/New York — perché anche la geografia non ha più un senso qui - sono un gruppo indie , ma di quelli che li vedi sul palco davanti a migliaia di persone che conoscono a memoria tutte le canzoni.
Gli Hold Steady sono indie, perché riprendono in mano tutto quello che è stato fatto e che sono stati i Replacements. Ecco, si potrebbe partire proprio da qui, da un altro gruppo di Minneapolis, per cercare di capirci qualcosa di questo indie-rock americano che occhieggia alla masse.
Ad aprire il tutto una sanguinea “Stuck Between Stations”, tra ritmo e ritmo, piano-oriented per quel poco che basta, musica che scalda i muscoli, che ti fa saltellare il giusto prima di lanciarti la prima dose di pop-rock in stile Minneapolis con “Chips Ahoy!” e “Hot Soft Light”. Brani che a ben guardare potremmo quasi definire fuori tempo massimo, un po’ vecchiotti, troppo 80’s, troppo 90’s, ma gli Hold Steady sono dei revivalisti del pop-rock che ai tempi definimmo alternativo e che adesso finisce nel calderone indie . In fondo, “Hot Soft Light” è quasi grunge melodico, roba che solo a sentirne nominare, già vediamo muffa ovunque; è quasi Lemonheads a dirla tutta, una versione molto più elettrificata di qualsiasi brano di Dando.
Poi ci facciamo tutti una tirata rock di tre minuti scarsi con “Same Kooks”, la dose di adrenalina necessaria per rendere ciò che segue ancora più unico, ancora più romantico. Già, perché quello che segue è “First Night”: ballatona di cinque minuti, inno da stadio, ritmo in crescendo, accelerazione-sospensione-attesa-ripresa. Luci spente, accendini e tanti saluti a voi, cuori gentili! “First Night” è il brano più significativo, più smaliziato e malizioso dell’album, roba da airplay continuo, ovunque e comunque.
Ora l’entusiasmo però ce lo rimettiamo in tasca, anche perché la nostra dose di Hold Steady si esaurisce qui, in attesa di altro da altre parti. Anche perché la seconda parte del disco è meno coinvolgente, meno ispirata, meno colpo al cuore; è al più una calligrafia del tutto già detto nei 20 minuti precedenti. I Replacements rinchiusi nel cassetto e al loro posto rispolverati gli ultimi Foo Fighters et similia. “Massive Night” è una versione scialba e pop dell’emo dei Trail Of Dead, “Chillout Tent” è la calligrafia che si diceva prima con una contro-voce femminile; riusciamo a salvare “Southdown Girls”, ma che sbiadisce e sviene innanzi a “First Night”, di cui è figlia illegittima per quell'unire l’acustico all’elettrico.
Il viaggio è finito, e sì, alla fine ci siamo anche divertiti. E quindi sì, lo consigliamo anche a voi.
04/02/2007