Strange House. Sottotitolo: Suoni psicotici per freak e deviati. È questo il titolo scelto dalla nuova sensazione inglese per il suo album d'esordio. A detta di molti la gramigna urticante dei Jesus And Mary Chain è tornata a germogliare nell'asfittico sottobosco dell'undergruond indie, secondo altri è l'urlo sfibrato e nevrastenico dei Birthday Party o dei Gun Club che torna a risuonare dopo anni di impenetrabile letargo.
Molto più probabilmente ci troviamo di fronte a una band dalla genuina ispirazione "garagista", di quelle svezzate a suon di Nuggets e pomeriggi interi spesi a spiluccare microscopici negozi di dischi alla ricerca di un 45 giri di Count Five o Sonics. Considerati da questa prospettiva, gli Horrors appaiono come un opaco e fin troppo filologico remake hollywoodiano dei Fuzztones (un revival del revival, per così dire), imbacuccato per giunta da un pacchianissimo se non demenziale look di ispirazione gotica, pagliaccesco e decisamente poco credibile.
Messe da parte queste sane e condivisibili riserve di ordine formale, non si fatica a riconoscere la bontà delle canzoni con cui gli Horrors decidono di arredare la loro Strange House, rifugio di ogni tipo di bizzarrie e malformazioni musicali. Si comincia con un brano di Screaming Lord Such, "Jack The Ripper", che arranca zoppicante su una voce sin troppo simile a quella del mai troppo lodato Peter Murphy, per poi ululare in un ritornello lacerato da chitarre stridenti come uno nerissimo stormo di corvi affamati. Da notare il fittissimo reticolo di organetti e sintetizzatori vintage che innerva la struttura del brano e che costituirà il telaio portante di tutto il suono dell'album.
Si prosegue con "Count in Five" (citazione dotta) e subito ci si accorge che il passo dai Klaxons agli Horrors non è affatto più lungo della gamba, basti prestare attenzione agli schizzi di sangue multicolore rigurgitati dalle tastiere sulla vorticosa e ubriacante voragine di basso e batteria. Un'ulteriore prova la fornisce "Drown Japan", adagiata su un linea di sintetizzatore mandata in loop e trapanata da chitarre perforanti e tocchi di tastiere sinistramente orrorifici che allungano sulla canzone l'ombra di un ridacchiante Nosferatu.
Con "Gloves", la vocazione garage-rock psichedelica torna a macinare riff contorti ed è come se i Bauhaus iniziassero a farsi sbranare dai Cramps più torridi. La successiva "Excellent Choice" è un brano più che altro recitato e, se non fosse per certi ghirigori di tastierine sixties (per la gioia di qualche inguaribile collezionista di anticaglie), non meriterebbe grande attenzione.
Gli spasimi della convulsiva "Little Victories" e i suoi scomposti contorcimenti in una torbida fanghiglia di garage ribollente riescono a regalare i godimenti più intensi mentre "She Is The New Thing" è una meteora di glam infuocato espulsa dalla nebulosa stoogesiana di "Raw Power".
Ancora più rimarchevole "Sheena Is A Parassite", una scatarrata di due minuti che infila nei jeans dei fratelli Ramone un candelotto di dinamite e distorsioni ai limiti della distrofia muscolare.
"Thunderclaps" vorrebbe assomigliare a un sabba o a un rituale dionisiaco, ma il ritornello non è altro che una polka sbrindellata e per niente piacevole. "Gil Sleeping" è invece un siparietto strumentale visionario abbastanza inutile e compiaciuto, che serve più che altro a diluire la durata del disco, mentre la conclusiva "A Train Roars" cerca di scatenare le orde del male, ma dopo una buona preparazione giocata su un possente graffio di chitarra, l'annunciata apocalisse sonora non arriva, lasciando con l'amaro in bocca.
Apprezzabile e musicalmente solido, l'esordio degli Horrors mette in evidenza un gusto trasversale per le citazioni e una discreta fantasia compositiva in grado di rinnovarsi a ogni canzone, caratterizzandosi per una originalità e vastità di riferimenti abbastanza insolita nel panorama indie-rock contemporaneo. Sarà interessante vederli dal vivo.
10/04/2007