Proveniente dal Giappone, la nuova esordiente di casa 12k propone un lavoro ispirato dal clima glaciale della sua terra di provenienza. Nata (nel 1978) e cresciuta precisamente a Sapporo, sotto la prefettura più a nord del paese, Hokkaido, Sanae Yamasaki scorge la genesi del suo impegno artistico in una fantasia strumentale sorprendente. Con l’apporto del suo piccolo bagaglio musicale (chitarra, percussione metallica, un synth, drum-machine, qualche strumento giocattolo), compone melodie stilizzate e a tratti immateriali, di chiara ispirazione minimale, colme di vortici digitali e ideate con grande garbo e cura per i particolari.
L’incontro che le permette di rendere concreto il suo più grande desiderio, poter pubblicare la sua musica e renderla disponibile al pubblico (“raccontare i propri sogni”), è quello con Taylor Deupree, capo della 12k, etichetta sui cui uscirà il disco. Da sempre attratto da sonorità provenienti dal Sol Levante, Deupreee, ha spesso accolto nel suo roster artisti giapponesi, fra cui ricordiamo con piacere Sawako, Gutevolk, Piana e Minamo. Ora si aggiunge anche Moskitoo.
“Drape” ricalca certe strutture ritmiche e timbriche tipiche degli artisti summenzionati: le affinità con gli astrattismi concreti di Sawako e le strutture digitali del primo album di Piana (“Snow Bird”) sono molto forti, anche se in questo caso ciò che differenzia è l’approccio leggermente fuori dal tempo e dalle logiche. Se i frangenti completamente strumentali dischiudono un guscio di emozionalità per troppo tempo repressa, risultando scritti con impulso incontenibile, gli episodi in cui Sanae usa la sua voce (mai effettata), sprigionano una magia piena di fantasticherie e splendore, raggiungendo vette di fascinosità apparentemente senza limite.
Da mettere in risalto altre due caratteristiche che possono risultare interessanti per sviscerare la natura in apparenza nascosta dell’arte di Moskitoo. L’attenzione per i suoni utilizzati la porta a incamerare nelle sue composizioni un’infinità di campionamenti che, nonostante la loro irriconoscibilità, donano a ogni canzone un incanto del tutto misterioso. La seconda precisazione è la sua passione per il disegno e le arti figurative. Una capacità astratta nel “disegnare” reticoli armonici è palese e sicuramente queste sue predisposizioni l’hanno aiutata nel raggiungere il risultato finale.
La storia di “Drape” si svela con “Paddle”, una sorta di introduzione. Gemiti metallici, poi supportati da suoni acquatici di una bellezza purissima, si protraggono con la voce, timida, quasi appartata. Un piano, con le sue note sporadiche e con il capo chino detta il tempo, poi distratto e deviato da alcuni strappi digitali, che conducono alla fine fra un gelido soffio di vento che sferza, e un caldo bagliore che indica la strada per “Skie”; ed è subito un incantesimo a vibrare. Uno xilofono, scende e suona, accompagnato da un schizzo che si sbizzarrisce in quanto a sviluppo e creatività. Il tutto continua a srotolarsi con grande grazia; si aggiungono, con il passare dei secondi, la voce, piccoli singhiozzi e una estrosità garbata.
La successiva “De Sii?” è un minuscolo bozzetto che si racchiude in un ciclico rincorrersi di timbri ovattati, e impressiona per personalità compositiva, come “Manima No Lemon”, la logica prosecuzione più dilungata e contorta, con altri inserti vocali e trovate che denotano un estro invidiabile, anche per la grande presa progressiva di cui è intriso il pezzo: la partenza quasi silenziosa, infatti, approda a una conclusione molto corposa ma pur sempre aggraziata.
Il connubio fra drone sintetici e gorgogli elettronici si rinnova con sorpresa nella breve “Tarantilla”, evidenziando, come negli episodi precedenti, una certa animosità inquieta nella musica di Moskitoo, sempre debitamente nascosta e celata da una patina di colore tenue.
Le parole fanno ancora dono di gioia e sincerità (“Terrier”), in un clamore di ispirazione ambientale e tradizione giapponese, i sample rurali di “Shaggy” hanno un che di amatoriale e rustico, perfettamente puntellati da un partitura di metallophone a tratti dissonante.
Avviandoci alla parte finale dell’opera, ci troviamo davanti uno dei momenti più sperimentali, visto che “Tip Toe Blues” recide la linea di apparente regolarità che univa la prima metà, per tuffarsi nel rimestare di una melodia accartocciata e scomposta; la voce è slegata dai suoni, e induce un lieve senso di disturbo che non fa altro che rendere più ricca la ricetta. Un episodio che lascia intravedere future evoluzioni della musica di Moskitoo, magari distanti dagli standard glitch-pop e più vicine a certa avanguardia vocale di stampo europeo (AGF) ma anche giapponese (l’ultimo album di Tujiko Noriko).
C’è poco altro da fare se non dire che i vecchi amori, però, lasciano sempre il segno. Il tipico svolgimento di “Wham & Whammy”, che ricalca proprio lo stile della prima Tujiko Noriko, è irresistibile. Questo è puro glitch-pop, pieno di suoni microscopici e minuscoli, supportati da una fantasia fuori dal tempo, proveniente dall’indie-tronica classica, commutata dalla dolcezza giapponese. Il beat di drum-machine (questa volta dritta e precisa) è circondato da spruzzi di synth colorati e da un ritornello che ti si stampa in testa:”Oh-Oh-Oh.. Don’t Never Wake Up..”.
Desiderosi di conferme, ci lasciamo felicemente cullare dalla conclusiva “Watashi No Neml Tabi”, dove la voglia di sorprendere si completa con un lavoro sulla stratificazione vocale, sempre accompagnato da una impalcatura ritmica di tutto rispetto e molto originale.
Senza dilungare quest’analisi approfondita, ci lasciamo mettendo in risalto la ricerca musicale della 12k e del suo creatore Taylor Deupree, capace di scovare talenti altrimenti destinati a rimanere nel loro mondo, incapaci di “raccontare i propri sogni”, e d’altronde, chi è capace di farlo con la musica non può che ottenere il nostro plauso.