Da queste profondità scandagliate con perplessa, incerta maestria, giungono carillon intorpiditi da albe stupefatte (“Ready Set Glow”), elegie tramortite e poi lasciate andare alla deriva in un cosmo già di suo in apnea (“Recent Bedroom”), in mezzo a nubi di voci erranti tra variabili zone d’ombra lisergico-ambientali, quasi che il tutto, alla fine, assumesse i crismi di un calvario dolce e fintamente tenebroso (“On Guard”, “Winter Vacation”).
In fin dei conti, il disco suona un po’ come dei Deerhunter all’acqua di rose, senza troppi clamori: qualche volta in circolo minimalista (“Cold As Ice”), altrove con qualche disturbo elettronico, pulsare sommesso e fasce sintetiche avvolgenti giusto per marchiare a fuoco la scritta “Kranky” sul palmo della mano, facendo finta di esserci, di rispettare le regole (“Scraping Past”, “After Class”).
Le atmosfere sonnacchiose conciliano con il sonno e questo, a dirla tutta, potrebbe rappresentare un gran bel punto a favore di Cox. Ma c’è da dire che, almeno in qualche caso (vedi la scorza post-punk e il cuore interstellare di “Bite Marks”, i Jesus & Mary Chain alle prese con un western spaziale (?) di “Ativan” e il pur ovvio requiem finale della title track), il tutto suona in maniera tanto delicata quanto relativamente (molto relativamente) intrigante.
Ma, alla fine, arrivato l'oste e fatti i conti, avremmo anche potuto fare a meno di tutto questo…
(09/02/2008)