Deadbeat

Roots And Wire

2008 (Wagon Repair)
dub techno, raggae

Non è roba londinese, non è dubstep, non è neanche technaccia e tantomeno è deep sull'onda di ritorno di certe morbidezze. Però si colloca un po' ovunque, e se fossimo sulla settimana enigmistica vi proporrei un rebus con i faccioni di Moritz Von Oswald e Kode9 che si rollano un canna in una metropoli X di un paese Y. Insomma, “Roots and Wire”, al di là di quello che ci vogliono raccontare per creargli dell'hype attorno, è un disco parecchio trasversale al mondo elettronico contemporaneo. Vive completamente nel qui e ora, probabilmente suonerà già atrofizzato il prossimo anno, ma le previsioni del futuro non sono il mio forte, dunque mi limito a pensarlo, appunto, qui e ora.

Il precedente "Journeyman Annual" era effettivamente un disco dubstep, seppur con parecchi distinguo, e aveva messo in luce le capacità produttive del signor Deadbeat. Non emerge perciò dal nulla, si è fatto le ossa lavorando sodo e godendo anche della stima della “Berlino bene”, tra cui i Monolake che l'hanno voluto affianco in parecchi episodi. Perciò: ritmiche anche spezzate, ma è un'attitudine techno non esattamente limitata a ciò che accade nella sua testa.
"Roots And Wire" si fa largo spintonando con pochissimo garbo, come al solito Monteith mette in gioco dei suoni strepitosi e vandalici, una fucina ritmica che concorre con quella dei Konono e che si rifà in molti punti a una fisicità sudata insolita per questo mondo. “Grounation (Berghain Drum Jack)” è l'apoteosi di quanto detto poco sopra. Percussioni tribali che quadrano ogni quattro battute, inserti elettronici ad aumentare la paranoia e un inferno di congas in crescendo. Non parlatemi di dub perchè qui è techno molto poco educata, e in cabina di regia abbiamo Guillaume Coutu Dumont a spiegarci il perché di questo exploit (già b-side, in una versione differente, dell'Ep “Eastward On To Mecca”).

A inserire in certi contesti alcune canzoni di questo disco però non si sbaglia, poiché nei credits appare volentieri un nome, quello di Paul St. Hilaire, che molti ricorderanno più facilmente come Tikiman. Voce prezzemolina di sterminate produzioni dub&co, ma soprattutto ugola ufficiale del mostro raggae postmoderno Rhythm and Sound, ovvero Ernestus & Oswald, ovvero Basic Channel, ovvero Berlino. Le cose non succedono per caso... L'apertura e la chiusura vedono coinvolto il cantante caraibico in due spunti semplicemente reggae fatto e finito nel 2008, con i suoi tiratissimi bassi sintetici che esplodono, piattini che ricamano il beat e il tipico incedere in levare.

Quello che stupisce di più però è come, a distanza di anni e anni, il metodo Basic Channel abbia ancora il suo diritto di paternità su innumerevoli cose. Deadbeat è un loro figliastro e dunque non è esente dal sentirsi chiamato in causa, specie se ci propone gli otto-minuti-otto di “Deep Structure”, in cui la manopolina del pitch del basso reggae viene girata, viene quantizzato e infine viene incastrato il tutto dentro a una gabbia di techno notturna, in cui il synth modula finché ne ha e la melodia non è che uno scampolo lasciato andare. Si somma, si sottrae e si gioca con gli spazi. Ma lo si fa con grande metodo. Quello stesso metodo, studiato nei minimi dettagli, raffinato nel tempo e poi mostrato con una visione personale e moderna che attraversa tutto il disco.

Deadbeat non sconvolgerà nessuno, ma è uno che sta segnando un percorso di alta qualità costante. Solo nei live si fa fregare come una mammoletta, ma in studio è pachidermico e anche questa volta mette insieme i pezzi del quadro che gli altri lasciano sparsi, facendo sembrare tutto parecchio facile. Anche questa volta, con "Roots And Wire", segna a suo favore e non possiamo che riconoscergliene il merito.

26/11/2008

Tracklist

  1. Rise Again (feat. Paul St. Hilaire)
  2. Roots and Wire
  3. Grounation (Berghain Drum Jack)
  4. Xberg Ghosts
  5. Deep Structure
  6. Night Sleeping
  7. Sun People (Dub Divisionaire)
  8. Babylon Correction (feat. Paul St. Hilaire)

Deadbeat sul web