Forzando un po’ la mano, ma neanche più di tanto, si potrebbe individuare una linea di demarcazione netta nella carriera di David Berman e dei suoi Silver Jews, quella di inizio del nuovo secolo; un confine che divide i primi lavori grezzi e sentiti da quelli più lavorati ma meno umorali degli anni 2000.
Ascoltando questo suo ultimo lavoro (il sesto nel curriculum) e confrontandolo per esempio con “The Natural Bridge” (il paragone con l’esordio “Starlite Walzer” sarebbe quasi impossibile) si nota una decisa differenza, oltre che sul piano strutturalmente musicale su quello, magari meno evidente ma ugualmente percepibile, dell’ispirazione e della passione.
“Lookout Mountain, Lookout Sea”, così come il precedente “Tanglewood Number”, è un buon disco ma è album di mestiere, in cui nella bellezza formale delle canzoni si è smarrita la sincera naivitè degli esordi di fine anni 90.
Ovvio che il buon Berman sa scrivere bene e il suo talento non è svanito nel nulla, lo confermano l’andirivieni di ritmo dell’iniziale “What Is Not But Could Be If”, lo swingante country di elettriche e piano “Aloysius, Bluegrass Drummer", la dolente aridità di “My Pillow Is the Threshold” e la lunga cavalcata alla Lou Reed di “San Francisco BC”, il resto però si appiattisce in vari onesti folk virati al pop solare, spesso accompagnati da cori femminili che danno un tocco a volte alla Belle & Sebastian.
“Lookout Mountain, Lookout Sea”, in definitiva, non è un brutto disco, ma è un lavoro senza nervatura, il classico album che ci si aspetterebbe da un buon e decoroso cantautore, non da quel songwriter di talento che sappiamo essere David Berman.
05/09/2008