Silver Jews

Tanglewood Numbers

2005 (Drag City)
songwriter

Affondare. Riemergere. Scoprire che l'unica cosa a cui vale la pena di aggrapparsi è la realtà.
C'è un inedito bisogno di fisicità, tra le pieghe del ritorno dei Silver Jews di David Berman. Chitarre dense di concretezza, voci piene di carnalità, accenti di batteria secchi e asciutti. Dopo avere guardato negli occhi i propri demoni fino a rischiare di soccombere, lo schivo leader dei Silver Jews racconta di essere finalmente tornato a galla dopo cinque anni di "intossicazione subacquea". Droga, alcool e il vuoto incolmabile di un abisso senza nome l'avevano condotto alla soglia del suicidio, e non per modo di dire. "There is a place past the blues I never want to see again (…) Black planet, black freighter, black sea", confessa ora Berman in "There Is A Place", traccia conclusiva del nuovo "Tanglewood Numbers".

Rispetto all'aria di Nashville che si respirava nel precedente e acclamato "Bright Flight", l'ultima fatica dei Silver Jews dopo quattro anni di silenzio punta senza esitazioni verso territori più rock che mai: un cantautorato elettrico dagli accordi spigolosi ed essenziali, che elegge il volto ombroso di Lou Reed come proprio nume tutelare, a partire da quella "Sometimes A Pony Gets Depressed" che vuole suonare quasi come un plagio velvettiano.
Ma l'illusione di trovarsi di fronte all'album di una vera e propria band non deve trarre in inganno: ancora una volta, infatti, i Silver Jews sono affare personale di David Berman, che ha riunito nel proprio scantinato tutti i vecchi compagni d'avventura, dagli ex-Pavement Stephen Malkmus e Bob Nastanovich (membri occasionali dei Silver Jews dai tempi del disco d'esordio, "Starlite Walker") fino a quel Will Oldham/Bonnie "Prince" Billy la cui aura severa non può ormai mancare in qualsiasi disco di songwriting depresso che si rispetti.

È proprio il tocco chitarristico di Malkmus, insieme al violino di Paz Lenchantin (già impegnato al basso negli A Perfect Circle), a caratterizzare maggiormente la veste musicale dell'album. Ma un ruolo centrale è riservato anche, come di consueto, alla gentile consorte di Berman, Cassie Marrett, che presta la propria voce come controcanto ai cori sghembi del marito.
A produrre il disco, poi, era stato chiamato un nome di tutto rispetto della scena alt.country come Mark Nevers dei Lambchop, già al fianco dei Silver Jews in "Bright Flight": ma le divergenze di vedute hanno indotto Berman a ripiegare sul veterano di Nashville Joe Funderburk, non a caso presentato dal sito musicnashville.com come un "hard-rock, alternative and metal specialist".
Berman, infatti, non esita a definire "Tanglewood Numbers" come il suo disco hard-rock: a dire la verità, però, di riff alla Led Zeppelin non c'è nemmeno l'ombra, nel quinto album dei Silver Jews… E non c'è da stupirsene, perché David Berman è un tipo decisamente refrattario alle pose da rocker duro e puro, tanto da non suonare quasi mai dal vivo per non rischiare di mostrarsi "sotto una luce eroica". Piuttosto che ai concerti, Berman preferisce dedicarsi ai reading di poesia e alla scrittura del seguito di "Actual Air", il volume di versi che ha pubblicato nel 1999.

In "Tanglewood Numbers", allora, è più facile trovare i classici balli agresti a base di violino cui i Silver Jews ci hanno ormai abituato, come "Animal Shapes" e "How Can I Love You If You Won't Lie Down". Oppure imbattersi in ballate sospese tra lo Smog meno funereo e i Pavement più in vena di romanticherie, come "K-Hole" e "Sleeping Is The Only Love". Ed è nelle tonalità scure e avvolgenti con cui la voce di Berman tratteggia la malinconia di "I'm Getting Back Into Getting Back Into You" che si può trovare il cuore (trafitto) del disco, tra chitarre liquide, coretti soavi e fraseggi lievi di tastiere.
Non riesce a convincere fino in fondo, invece, il tentativo dei Silver Jews di dare vita a quella che, nella presentazione alla stampa, viene definita come una "tormenta rock": l'energica "Punks In The Beerlight", la filastrocca elettrificata di "The Poor, The Fair And The Good" e il coro ebbro su cui si chiude "There Is A Place" non ritrovano infatti quell'equilibrio e quell'arguzia che conferivano un fascino inimitabile a dischi come "American Water" e "Bright Flight". Concentrandosi sulla propria ossatura rock, il suono dei Silver Jews sembra diventare in "Tanglewood Numbers" più uniforme e meno ricco di sfumature che in passato. E anche se i brani degni della penna scura e pungente di Berman non mancano, stavolta la parola capolavoro non sembra appartenere al vocabolario dei Silver Jews.

01/10/2012

Tracklist

1. Punks In The Beerlight
2. Sometimes A Pony Gets Depressed
3. K-Hole
4. Animal Shapes
5. I'm Getting Back Into Getting Back Into You
6. How Can I Love You If You Won't Lie Down
7. The Poor The Fair and The Good
8. Sleeping Is The Only Love
9. The Farmer's Hotel
10. There Is A Place

Silver Jews sul web