Solo un iniquo accanimento potrebbe negare a "How We Lost", recente e più accessibile capitolo della decennale carriera dei Windsor For The Derby di Don Matz e Jason Mcneely, la dovuta attenzione o pari dignità rispetto alla passata discografia.
Ciò che dapprima alimenta un sospetto si svela come una nuova natura, attraverso i brani del nuovo disco del combo di stanza a Philadelphia: lo sbocco a una foce pop, temprata nel proprio corso da squillanti corde di trasognata psichedelia.
Il titolo “How We Lost” può sottendere il bisogno di lenire un rammarico, di farsi sensibili innanzi al richiamo di stati emozionali trascurati o parzialmente rimossi. Dalla copertina, un raggio a prisma irradia e investe il cielo, diffondendosi graduale da un gruppo di nubi.
Il disco si focalizza su un ripristino, su una ricognizione "armonica" che è anzitutto esplorazione rilassata e contemplazione estatica da parte di un medesimo organismo sonoro svegliatosi altrove e, d’incanto, paralizzato.
Un “altrove” che sin dal principio (“Let Go”) si esprime in cantati a eco (suggerendo un’idea di “richiamo” tormentoso), e che è filigrana di chitarre in estasi le cui tenere armonie si ornano di cori in tripudio (“Maladies”), di battiti in 4/4 “motorik” à-la krautrock (“Fallen Off the Earth”), abbinando parvenze ora Beach Boys e Yo La Tengo, ora Spiritualized e Neu!.
Intarsi di sgargianti figure di tastiera o corde a cadenza ipnotica librano su messi di voci infervorate (“Hold On”, quasi "stereolabiana", la dolcissima fatiscente “Good Things”) e percussioni dinamiche e tribali (“What We Want”, la dimissionaria “Spirit Fade”), oppure declinano su avvalli (“Robin Robinette”, “Troubles”), originati da volubili tensioni emozionali.
Più che di una semplificazione di elementi, si potrebbe quindi parlare di abiti diversi a partire da una stessa pregiata, inconfondibile stoffa. Altri colori, ove poter volgere sguardi, elaborati con cura, per esprimere ancora un inconfondibile idioma; impressionando immagini musicali appena più fugaci e volatili senza eludere attitudini, focali privilegiate.
Forse, com’è stato detto con lucidità altrove, questo disco rappresenta (o “celebra”, come affermano gli autori) una fase di risveglio, il passaggio e la presa di coscienza da uno stato austero e notturno ai primi incipienti, raggianti bagliori diurni.
30/05/2008