Gli scozzesi 1990s ce le ricordavamo come una band che non sapeva fare molte cose, ma che il suo sporco mestiere lo portava comunque a termine nella maniera giusta. Ora si rifanno vivi a due anni dall’esordio “Cookies” e non sembrano molto cambiati. Il loro allupato power-pop da battaglia, a base di edonismo in fregola perenne, iniettato di lussuriosa voglia di sballo, si arricchisce di una dozzina di nuove canzoncine che sembrano confermare l’originaria impressione di trovarsi di fronte a un gruppo irriducibilmente glam nell’attitudine, trapiantato però nei corpi scheletrici di una garage band pelle e ossa, nevrotica e con le pupille dilatate che schizzano fuori dalle orbite.
Quella di cui stiamo parlando è una party band che si diverte e vuole divertire, poco altro. È comunque apprezzabile la capacità della band di coniugare l’inettitudine godereccia e blaterante degli Happy Mondays con una girandola di riff scassati degni dei Rolling Stones di fine anni Settanta/inizio anni Ottanta, e urletti “Uh-Uh-Ah-Ah” che spuntano fuori come ciuffi cotonati un po’ ovunque, a esaltare una pletora di citazioni più o meno dirette al mito intramontabile dei vari David Bowie, Lou Reed o Marc Bolan (a tal proposito sentirsi “The Box” o “Local Science”).
Rispetto all’album di debutto sembrano mancare quei due-tre pezzi in grado di imprimersi subito nella memoria trasformandosi in appiccicoso chewingum canticchiabile, ma in compenso gli arrangiamenti sono più curati e il suono risulta in generale più “costruito” e ricco di particolari, oltre che molto più eclettico e cangiante. L’esito è, a dire il vero, alquanto altalenante, ma la maggioranza degli episodi tiene botta, sfangandola quando il tiro ritmico pilota la progressione del pezzo (come accade, ad esempio, nell’impennata di “Vondelpark” o nella sfrigolante “I Don’t Even Know...”) o quando ricami vocali modellati con grazia soul si sposano a tempi più sgambettanti e funky (è il caso soprattutto di “Balthazar/ Heart Of Glass”, della buonissima “59”, perfetta come sottofondo per mettersi il gel davanti allo specchio dopo una bella doccia, o di “Everybody Please Relax”, davvero singolare).
Altrove, soprattutto nell’ultimo segmento dell’album, si tende a lasciarsi prendere troppo la mano da un easy listening da vecchio mangianastri rock, che rischia di risultare troppo bolso e fuori tempo massimo, sebbene non sia da escludere in toto che, dopo un film a suo modo “programmatico” come “The Wrestler”, una certa estetica possa di nuovo tornare a stuzzicare i palati di un’ampia fetta del pubblico più nostalgico. Ad ogni modo, non era lecito aspettarsi da questa band rivoluzioni copernicane, quanto piuttosto un lavoro fruibile e spassoso. Da questo punto di vista l’aspettativa non ci pare delusa.
15/04/2009
1. VondelPark
2. Tell Me When You're Ready
3. I Don't Even Know What That Is
4. 59
5. Kickstrasse
6. Everybody Please Relax
7. Balthazar
8. Local Science
9. Box, The
10. Giddy Up
11. The Kids
12. Sparks