A Spirale è il side-project del chitarrista e del batterista del trio dei Missselfdestrrruction (il cui album unico, “Asimmetrica”, è stato prodotto da Snowdonia nel 2001), Maurizio Argenziano e Massimo Spezzaferro, napoletani.
I due esordiscono come A Spirale nel 2004, con “Come una lastra” (Lizard, 2004), un disco che sembra voler illustrare in lungo e in largo (continuum Tony Conrad-iani, fanfare Zappa, girandole hardcore, danze uzbeke etc.) la genesi del nuovo jazzcore, in realtà senza mai approcciarlo veramente (e buona parte della loro suspence deriva proprio da questo fatto velatamente filosofico). “Gariga” (Setola Di Maiale, 2008) è un affare diverso, una silente disintegrazione post-rock che si riallaccia direttamente agli esperimenti degli Starfuckers, solo con ancor meno formalismo.
A margine, ma non meno rilevanti, stanno nuovi progetti e collaborazioni. Tuner+ è il duo composto da Argenziano e Tonino Taiuti; il “Live in Oblomova” (2005) è una libera improvvisazione di due chitarre, ma è soprattutto un duetto tra vibrazioni atonali e cacofonia abrasiva. Asp/SEC_ è il trio di Mimmo Napolitano (già con Weltraum), Mario Gabola (sax) e Argenziano, il cui cd-r del 2008 apporta altre sette improvvisazioni di disturbi e click casuali à-la Morton Subotnick, per soundscape indefinite che suonano anche meno tonali degli altri progetti. “El Obsceno Pajaro de la Noche” (FF HHH, 2009), a nome Aspec(t), è registrato dalla stessa formazione, ma è volto alla violenza del noise-jazz dei Borbetomagus (con traiettorie industrial e frustate anti-armoniche). Strongly Imploded e “Why Use a Proxy?” (Ikuisuus, 2009) è una proposta di studio avant-jazz per oscillatori e generatori digitali, al limite dell’arte concettuale.
Dopo tanta ricerca, il nuovo album vero e proprio degli A Spirale (che nel frattempo hanno incorporato il sax di Gabola in pianta stabile), “Agaspastik”, pare quasi un divertissment. “Black Crack” e “Climbing Your Backbone” trasportano prove di stile Ayler-iane nel vaudeville giocoso (con feedback acuminato) e “Tersicore” prosegue il divertimento allungando a dismisura pause di precisione chirurgica nel concerto collettivo, come in una sorta di insano un due tre stella. “Calco” sfuma i toni post-rock in effetti timbrici carnascialeschi.
Sul fronte della sperimentazione, “Naja Tripudians” estremizza quanto più possibile le dissonanze su un tappeto gualcito drum’n’bass. “Suriciorbu” aggruma lemmi armonici inquietanti in mezzopiano, e “Kaluti” ci aggiunge in coda una valanga distorta.
Il disco è un po’ la seconda colonna d’Ercole del jazzcore italiano, partito a inizio decennio con l’”Igneo” degli Zu (la prima colonna), e ora, data anche la svolta Ipecac-oriented del combo romano, volto con convinzione a un gioioso girotondo delle deviazioni. Mette in risalto una delle punte di diamante delle nuove incarnazioni del rock italico, forse non affinando le dissonanze (che rimangono stilisticamente volatili, o scarsamente inquadrate), forse ignorando questioni di carisma, eppure marchiandolo a fuoco, una volta di più. Ottimo acquisto di Fratto9 Under The Sky, anche faro della complessa genealogia dei musicisti coinvolti (una delle incarnazioni più veraci della scena alternativa partenopea).
08/02/2010