A modesto parere di chi scrive, gli Starfuckers sono stati in assoluto una delle maggiori rock band italiche. Prendendo le mosse dai maestri del rumore d'autore come Faust, Chrome e Royal Trux (che innervano i loro primi, acerbi, lavori), Roberto Bertacchini (forse il maggiore batterista rock italiano tra i contemporanei), Manuele Giannini (voce, amplificatori, echoplex, computer, effetti sonori) e Alessandro Bocci (campionatore, sintetizzatore, mixer, giradischi) mettono in piedi un discorso fatto di avanguardia elettronica, funk asettici e ultra-rarefatti, dissonanze espressioniste, musique concrete. Le loro opere maggiori, vale a dire "Sinistri" (Underground, 1994) e "Infrantumi" (Lessness, 1997; Drunken Fish, 1998), i Nostri pervengono a categorie musicali innominabili, inconsce, anarchiche, e creative nell'accezione più estrema possibile.
Dopo un album sfortunato ("(Infinitive Sessions)"; Dbk Works, 2002), perché ancor più ostico e radicale dei precedenti - ma pure accompagnato da una promozione maldestra da parte della label discografica - la band decide di proseguire con più decisione quel discorso apportandone alcune significative migliorie. Anzitutto il cambio di etichetta, a riscoprire la svedese Häpna, già loro corteggiatrice ai tempi di "Infrantumi" - ma da allora accresciuta e ampliata -, per produrre e promuovere in modo più mirato il nuovo album, dal titolo "Free Pulse". Arriva poi un nuovo nome per la band, mutuandolo direttamente dal titolo del già citato album del '94: i Sinistri, quasi a voler prendere maggiore coscienza delle loro potenzialità e, al contempo, per guardare al futuro con più determinazione e intransigenza.
Inoltre, c'è la preziosa collaborazione di uno dei maggiori ingegneri del suono contemporanei, quale Dino Bramanti (attraverso software di campionamento-missaggio-rielaborazione del suono in tempo reale). Infine, c'è la volontà di dotare il proprio operato di una più decisa linea ideologico-artistica, attraverso la redazione di un vero e proprio manifesto programmatico, in tutto e per tutto in linea con i manifesti storici delle avanguardie del Novecento, compresi il "Manifesto Blanco" dello spazialismo inaugurato dai "tagli" di Fontana, e quello inerente al cinema di Dogma 95 (la cui esistenza, nei giorni in cui viene pubblicata questa recensione, è da poco cessata, cfr.).
Anzitutto, c'è la rinuncia all'intenzione come condizione preliminare del fare musica, e il suo ritorno al livello "zero", al massimo livello di non-intenzione: il silenzio. E' questo lo spirito che anima brani come la iniziale "Smooth Fried Tk2", in cui il groove magnetico della batteria, in accoppiata con una sordida vibrazione di sottofondo, fa scattare molle di rielaborazione sonora da frequenze subatomiche. Oppure in "Holes In Between", in cui l'arte concettuale di sfrigolii, sciacquii, intermittenze, sinusoidi robotiche, sciami cosmici e ronzii di vario genere (vagamente e Cage-ianamente radio works) dialoga placida con muri di pause silenti, prima che l'intervento bluesy della chitarra scrolli la stasi ascetica con ammassi di accordi strappati.
Nel secondo punto del manifesto si legge: "Ciò che si determina è frutto esclusivo delle circostanze fisico-acustiche proprie di ogni specifica esecuzione, non c'è struttura preordinata, quindi non c'è forma preordinata". Maggiormente coerente con questo assunto è "Black Vamp #1", annunciata da una scomposizione iper-cubista della chitarra: sia nell'armonia, che nella dinamica, che nella stereofonia, i Sinistri procedono per continui sfasamenti aleatori e anti-programmatici, asincronie (i timbri digitali di Bramanti che quasi assumono funzione ritmica), disfunzioni ritmiche (la batteria procede in una specie di stato di trance zoppicante e sincopata) e dispositivi di vivisezione che derivano in gran parte dall'improvvisazione "totale", affidata agli specifici acustici degli strumenti e dagli apparati di rielaborazione sonora. Ma pure nell'ultrasuono disturbato da borbottii elettronici di "Pre-Verb Fried Funk" - quasi un dub fantasmagorico -, con trama di accordi cut-up della chitarra (che diventa scarica noise in flusso elettrostatico), la band tenta di tradurre questo concetto in componimento.
Secondo il terzo punto, "Suonare musica amplificata significa sottrarre suoni al rumore anziché sommare suoni al silenzio". Si tratta, invero, di un michelangiolesco concetto di "non-finito" che anima pezzi come "Cold Fried Tk4", forte di un svilupparsi reciproco di anti-ritmiche, che forse deve molto al minimalismo sommesso delle ripetizioni, della pause e dei suoni subliminali di Christian Wolff, nonché alla destrutturazione rabbiosa di certa no wave, o i timbri ampiamente funky della chitarra presa in prestito dal John McLaughlin più acido di "Bluesplex Pt. 1", impaginati dalle vibrazioni gravi dell'echoplex, a costituire un florilegio di frammenti storpiati e traviati nel loro nascere. Notevole anche "Red Angular Feelin'", con i suoi intrecci di frequenze radio e raggi gamma, con il charleston della batteria di Bertacchini a perdersi nel vuoto universale, mentre galassie nuovamente Cage-iane intrattengono una sorta di concertino seriale.
Nel quarto e ultimo punto del manifesto i Sinistri sostengono che "l'essenza della musica è il tempo, non il suono", e che quindi "non è costituita da più suoni distribuiti in un tempo uniforme, ma da un singolo suono che rimbalza in un tempo molteplice". "Ampstone" è la traccia che maggiormente esemplifica questo postulato. La consueta batteria incespicante (ma pure inquietante) fa da sfondo a suoni atmosferici volutamente ridondanti. In questo, i Sinistri trovano un picco geniale, attraverso l'unica linea vocale in tutto il disco (ad opera di Giannini): "Suono/ Solo/ Che vibra/ Si piega/ E Rimbalza/ In questo qualcosa […]". E' un chiaro sovrappiù di senso, che raddoppia la ridondanza dei suoni, e che quindi funge su più registri: illustrativo, referenziale, conativo.
Non è illuminante sul piano dell'evoluzione, dove pure la band pianta qualche paletto senza peraltro riuscire a costruire uno steccato, ma le rifiniture, i sentimenti atonali, l'amalgama di fluidità sonore sono da sufficienza piena. Ottimo il lavoro di Dino Bramanti, efficace nello scegliere i dettagli sia estatici che frastornanti delle sorgenti digitali, acustiche o elettrificate, e di volgerli - stravolti - al tutto continuo della frammentazione implacabile. L'album è stato preceduto da una serie di brani non inclusi nella tracklist definitiva, distribuiti via web in formato compresso mp3 o inclusi in compilation come "Cottage Industrial vol. 3" (CD-R Hambug, 2004) e "Allegorical Power Series vol. VII" (Antiopic, 2003). Sottotitolo: "Non-metric music by ex-Starfuckers".