Sardonica, ma mai volgare (forse persino anti-volgare), sfuggente, dissacrante, sottilmente anti-intellettualoide. Mille aggettivi non spiegherebbero appieno l'essenza di Snowdonia, una delle etichette discografiche italiane più influenti e importanti, finanche decisive per lo sviluppo del nuovo underground nostrano di metà anni 90.
Per dirla con i suoi fondatori Marco Pustianaz, Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, l'estetica (ammesso che si possa parlare di estetica in qualche modo definitiva) del "mistero snowdoniano" è quella dell'avanguardia "dura", esattamente tardo novecentesca, forse il vero punto di contatto tra il rock italico e la provocazione in quanto tale, portatrice di significanti azzerati o di significati che tornano solo a loro stessi.
Rispetto ad altre etichette cosiddette "avant" (Psychotica, Bar La Muerte, Seahorse, Fooltribe, Ebria, etc.), Snowdonia rappresenta la corrente smaliziata e sfuggente, l'unica in grado di proporre seriamente un'immagine forte di fucina di dissacrazioni assortite, di fabbrica d'idee futili volte a ragionamento serio, di creatività puramente autoreferenziale presa come vera dissertazione colta.
Gli elementi più stereotipati dell'avanguardia (arte gestuale, concept art, body art, performance, anti-oggettualità etc.) si arricchiscono di contraddizioni, giocosità, percorsi obliqui. E finalmente approdano all'irruenza tipica della musica rock, ma sempre mantenendone un distacco proverbiale, persino metafisico.
Ma più che di estetica, l'essenza di Snowdonia brilla di etica; ed è l'etica del tanto vituperato "lo-fi". La bassa qualità come sonda di una fantasia tagliente, che mischia a vanvera i segni della modernità e della postmodernità, dell'immaginario collettivo e della pubblicità, del consumismo e le strutture preordinate della società, diventa - in ultima analisi - un mezzo di conoscenza. Non è più, o non solo, una contestazione fine a sé stessa, o una ribellione come ennesima propaggine del punk, ma piuttosto un mezzo di indagine, finanche di messa in discussione, di divertito esperimento intellettivo.
La postmodernità di Snowdonia trae comunque linfa dall'infinito slancio del gioco infantile, o comunque da una libertà in primis tutta bambinesca. In questo modo, il suo motore funziona sia secondo una tematica aperta che frulla senza ordine i segni del contemporaneo più "facile", sia grazie a un messaggio pseudo-esistenziale di non-sense e non-morale. Grazie a questo compromesso (un po' equilibrio, un po' nicchia, un po' forzatura in extremis), l'avventura esistenziale insita all'etichetta - alle sue produzioni, alle immagini (forti o meno), alle presentazioni e alle promozioni, fino alla nomenclatura e alle tracklist - non si distanzia granché dalle farneticazioni cosmiche dei Residents e degli altri grandi sacerdoti freak.
Snowdonia nasce come fanzine (uno dei prodotti più di culto dell'industria del sottobosco italiano e internazionale) nella prima metà degli 80, per opera di Marco Pustianaz. Dopo una gloriosa attività di documentazione di fenomeni perlopiù oscuri del panorama italiano (per quanto all'epoca già largamente alternativo), Pustianaz abbandona il progetto. I collaboratori Cinzia LaFauci e Alberto Scotti, entrambi di Messina, proseguono l'idea convertendola a etichetta indipendente per demo e cassette autoprodotte di artisti emergenti.
Questa versione embrionale di Snowdonia non fa che coniugare gli intenti originari di Pustianaz al lato pratico della questione: non solo circolazione d'informazioni musicali underground, ma produzione e distribuzione di nuove scoperte. La filosofia di "mistero giocoso" è forse già in nuce, ma per la vera esplosione snowdoniana bisogna attendere il 1997, anno in cui il catalogo dell'etichetta si converte alle produzioni ufficiali e in cui vede la luce il progetto Maisie, formato dagli stessi La Fauci e Scotti, da sempre gruppo di punta della label.
L'album-tipo, la produzione-tipo di Snowdonia può essere così riassunta in un album dei Maisie, o almeno nei loro primi dischi (The Incredible Strange Choir Of Paracuwaii e Do You Remember When You Found Your Lud In My Nostril?).
L'album snowdoniano perfetto è principalmente un album "senza". Senza autore (che preferisce nascondersi nelle pieghe di un messaggio a vuoto), senza forma apparente (non vere canzoni, non vere suite, non vere tracklist convenzionalmente intese), senza personalità forti (seppur con notevoli eccezioni che poi sfonderanno nel jet-set del rock alternativo italico), senza uno stile riconoscibile e talvolta senza una propria autonomia o una godibilità di ascolto (spesso e volentieri rimpiazzata con un'enfasi del tutto disturbante).
La principale, zappiana invenzione di Snowdonia, ossia la "compilation tematica" (laddove il tema è di volta in volta la gastronomia fantastica, la pornografia, un fantomatico tributo ai Maisie ma sulla base di una sola canzone ripetuta all'infinito etc.), rimane genuinamente borderline.
Ma borderline è anche il catalogo nella sua interezza, l'opus dell'etichetta, a cominciare dalla confezione: l'artwork e la cura promozionale d'immagine (o anti-immagine) sono degni della meticolosità dei migliori studi grafici; persino il sito web (cfr.) dimostra una precisione d'immagine coordinata che acumina il contrasto con l'assurdo delle singole proposte.
La generosa lista delle produzioni snowdoniane comincia dunque ufficialmente con il 1997, e proprio con una compilation, Orchestre Meccaniche Italiane. È il big bang della label, all'insegna di un portfolio di applicazioni noise, free jazz, no wave, elettronica artigianale, e uno dei migliori biglietti da visita di sempre. Al suo interno sfilano gli Stoves, i residentsiani Pangolinorchestra, i brani battesimali dei Maisie stessi ("19:00", "I Am A Compacter Of Rubbish", "Road Tenders", "My Body Was A Luminous Accumulator"), "Affreux" di Jacopo Andreini e gli esperimenti sul suono di Nando Meet Corrosion e Carv-E e l'industrial di Jealousy Party.
È il preludio a Sbim & Sbam, del 1998, opus numero due e seconda compilation, stavolta un monolite di due cd che svetta come esperimento di "concept collettivo", la prima delle compilation a tema unitario (il tema delle Orchestre era ancora da svezzare). Basata su temi di fantascienza scadenti, viepiù sardonici (la Trilogy dei Residents ridotta a macchietta impertinente), da "monster movie" kitsch, o da sci-fi completamente inventato, la collezione fa la figura di un collettore di musica oscura italiana e straniera.
Oltre ai nuovi brani dei Maisie (soprattutto la variopinta "Pakistani Space Mission"), la produzione in realtà possiede un notevole mood zappiano, oltre a nuovi spunti entusiasmanti quali l'elettronica di "Frontalone lunare" (Margine), il garage-rock guasto di "Suzie Wong In Wonderland" (Motor Dimension Idols), il rumore concreto di "Seventhy Day Adventurist" (Post Prandials), gli spettri sonori deformi di Daniele Brusaschetto e il suono analogico di Gastel Etzwane.
Nello stesso anno vede la luce anche il primo vero album dei Maisie, Maisie And The Incredible Strange Choir Of Paracuwaii. Come per il "Commercial Album" dei Residents, il debutto dei due fondatori dell'etichetta messinese è un catalogo opulento di brani con un'unica idea ciascuno, ma l'insieme - monumentale - va oltre il semplice tributo ("Hitler Was Not Mad", "It's Only A Joke-Scherzo", "She's A Mongoloid Pin Up"). Ogni brano si sviluppa fino all'esasperazione, filtrato da un'originale idea di no wave (elettronica ma imprendibile, spettrale ma esuberante), anche se l'anarchia deliberata è a dir poco sovrana.
C'è letteralmente l'imbarazzo della scelta, dal free jazz di "Song About The Several Ways To Use A Woman" alle misture spregiudicate di spot e slogan consumistici, un assurdo fantastico con una baldanza persino incorruttibile, e pure un'audacia disperata.
Il '99 si apre con The Last Famous International Gluttons, una delle compilation tematiche snowdoniane più famose (a ragione). Dedicata alla gastronomia, o meglio alla "gastrofonia", è in realtà una colta ricerca sulla contaminazione totale, al limite dell'arte concettuale. Ogni canzone è una "ricetta" non-sense che, secondo le intenzioni, dovrebbe immettere nell'ascoltatore una voglia compulsiva di provarla concretamente ai fornelli, persino tralasciando il puro fatto musicale (tra tutte, l'”Atomic Sushi”, il "Chick-Peas In Alcohol", la "Thin Soup With Frogs", le "Omelette Lunaire", e così via).
La parte musicale è comunque un nuovo listato di no wave inacidita ("Sites" di Missselfdestrrruction, "Pain Waits Until 5 Pm" di Doctor Nerve), anti-muzak Residents-iana ("Sangsue Dessous" dei Palo Alto2, "Goujonnettes De Sole Au Safran" di Diledadafish e "Kuu Otoko" di Phnonpehn Model) e parodie assortite ("Bari Soba" di I.s.o., "Bread" di Jealousy Party, "Calcolatore" di Sprout, "Love You" dei Maisie e "Stock Arrangement" di Trumans Water).
Allo stesso modo, la successiva mitica compilation tematica Atomic Milk Throwers è dedicata alla pornografia come fonte d'ispirazione (nel senso più ampio del termine) per gli artisti quivi raccolti, e torreggia come raccolta di spasmi anti-funk Beefheart-iani e caricature della musica leggera da sala da ballo.
Monophon, l'unica produzione singola dell'anno, è invece il progetto spin-off di Andrea Azzali (già Tac Parts e Razza Ventura). Le tracce, quasi tutte senza titolo, approcciano una forma di jam-dub ipercinetica (talvolta semplicemente drum 'n' bass), suoni liberi analogici e campioni come sculture foniche disarticolate. Il risultato ricorda i poemi virulenti di Subotnick e la musica industriale; vi sono anche citazioni del "Drumming" di Steve Reich ("04") e del minimalismo in generale ("Continuum", il picco), ma diversi brani sono incolori o semplicemente inferiori.
Il progetto Monophon serve più che altro ad aprire nuove strade per la label. Così, il 2000 attacca con Courmayeur, il parto degli Aerodynamics (un trio di Pesaro, poi mutati in Camillas dai soli Ondedei e Bertuccioli), un'avventura hardcore techno con vocals languide alla Depeche Mode e diverse istanze aliene (come in "Abel"), un po' wave alla B-52's, un po' musichetta insulsa, con tanto di drum 'n' bass incoerenti a richiamare persino i Mr Bungle ("Baker").
Et Sise è invece l'album con cui le Allun di Stefania Pedretti prendono forza e si fanno conoscere nel mondo dell'underground italico. La loro parata no wave fa il paio con l'analfabetismo delle Shaggs e le piece contorte delle Raincoats. Le loro carrellate di suoni artificiali si uniscono a martellamenti demonici in brani come "Manichini", "Lav Lodam", "Miele" e "Eigub". La menzione speciale va comunque proprio al vocalismo della leader, con cui mette in luce le sue doti istrioniche Diamanda Galas-iane votate all'assurdo. Completano il tutto alcuni pezzi-pallottola (le tracce senza nome), talvolta rarefatti ("Giardini del nulla" e "Erapocs"), talvolta puri agglomerati di non-musica ("La creazione", loro personale vertice artistico).
Il 2000 è soprattutto l'anno di due capolavori snowdoniani. Il primo, i Duozero di No Programma 1999 2000 è un esperimento ambient-dub elettronico amatoriale (ma estremamente dotto), e uno dei punti alti dell'intero catalogo (quasi free-electro).
Il secondo è il disco omonimo (e unico) dei Faccions, un ottetto urbinate dedito a un nuovo anti-blues alla maniera di Captain Beefheart e del Nick Cave dei primi Bad Seeds, ma con rigurgiti noise-dada anche più prominenti dei maestri, con tanto di invenzioni di vario genere (riff spettacolosi, violino elettrificato etc.) e orchestrazioni dinamiche del grottesco.
A questi due gioielli segue Zero di Fausto Balbo, un album spartito tra elettronica lo-fi, esperimenti ritmici degni del primo Robert Wyatt, composizioni sui generis (basi jungle e chitarre hard-rock), piccole suite glitch-ambient e techno-rock funebri, con il comun denominatore della strafottenza latente.
Quindi Glad To Be Here, il debutto dei Larsen Lombriki, impressiona per una versione ancor più lo-fi dei primi Royal Trux ("Lucifer", "Buddha's Ride"), o amatoriale ("Mexican Shotgun"), o per i suoi country cartooneschi ("Everyday"), la sua para-psichedelia spicciola ("Please I Am Busy Please") o la sua idea melliflua di remix ("Micro Deutsche Welle").
St Ride (il varo del progetto di un combo di Genova in coproduzione con Mizmaze) si ributta a capofitto nell'ambient-techno-dub digitale, distorcendone gli assunti. In primo luogo, creazioni dub-industrial ricolme di proiezioni soore creative fanno il verso a Pan Sonic, Radiohead della svolta electro Kid A e sonorità Warp e Anticon ("Antares", "Mystipic", "Eskimoff"). Il secondo blocco raccoglie curiosi midtempo, da breakbeat improbabili (cello, loop, parlottio) come "Sqeuak the Mouse" e hip-hop elettronici con suoni muti come "Area X". Il terzo ambisce a pastiche Autechre-iani: "Report".
Avulso da schemi, e più proteso a nuove operazioni di collage sui generis, è "Eskimon", in cui nuove glacialità sono rintuzzate da scatti e stimoli che si concludono in un feroce sormonto di droni fatti in casa. Chi trascende maggiormente gli schemi è il post-jazz glitchy di "Alienite", stranito da cacofonie volatili e strati di rumore ottenuti da loop supersonici (e in misura minore la fantasia elettronica che apre "Sclock", poi chill-out piuttosto convenzionale).
Il progetto nel suo insieme suona talmente autoreferenziale che si può fregiare di una nuova formula di musica elettronica, una nuova anima nella composizione di beat e soundscape.
Il prolifico 2001, culmine dell'epoca d'oro di Snowdonia, boom della label, inizia con Poppies Of Fourteen di Al & Del, la prima co-produzione della casa messinese (la controparte, in questo caso, è la nipponica Novel Cell Poem), e una collaborazione tra Christophe Petchanatz dei Klimperei e il cantastorie Al Seamless.
È soprattutto la prima vera escursione cantautoriale dell'etichetta. Passato al vaglio snowdoniano, il songwriting ne esce scarno e umile, fondamentalmente obliquo (chitarra, piano, voce e arrangiamenti di seconda mano). Vi sono pezzi brevi che plagiano sottilmente i colossi del genere (Barrett, Cave, Waits), come "Eko For Cocker", "Scalp Irritation", "Jnp", "Fishes", talvolta irriverenti ma più che altro decadenti, o pezzi lisergici ("Sick") che debordano in un'ampia cantabilità ("Judy Blues", "Doc Computer"), e pure nella caricatura ("Therefore"). Prese in sé, sono canzoni che lasciano il tempo che trovano, ma il disco ne coglie i punti in comune, cercando di collegarle strettamente una all'altra (praticamente, un concept mancato).
Il tentativo di Al & Del serve forse a preparare il terreno al debutto vero e proprio di un ancora sconosciuto Bugo. La prima gratta è così un'altra avventura nella canzone in qualità demotape, e dalle influenze inquadrate ma pur sempre ardite (dall'ovvio Beck, a Prince, a Jon Spencer), quando non pressappochiste.
Raccolta riveduta e aggiornata delle sue prime registrazioni, il Cristian Bugatti della Prima Gratta rivela una personalità più cinica alla Warren Zevon a cui importa poco del carisma (cosa che invece farà successivamente). La collezione svariona da bubblegum spompati ("Nei momenti così" e "Quante menate che mi faccio"), a inni Beck-iani sventrati e implosi su sè stessi ("I baci della mia nonna", la Pixies-iana "Una bottiglia di uischi", e "Ragazza cuboide", un suo provino che risale al '98), a tiritere voce-chitarra à la Donovan ("Solitario", "Il cellulare è scarico", "Spermatozoi"), a divertissment esistenziali confidati al citofono ("Oggi come sto", "Potrebbe andar meglio", persino tagliuzzata in "...nca il tempo"), a grunge bislacchi ("Sabato mattina" e la frustrata "Cicca nei capelli iea!"). La linea di confine tra un'idea e l'altra non potrebbe essere più irreale; ciò che importa è la radicalità del suo pressappochismo.
Dopo una citazione della "Tears of a Clown" dei Miracles ("Nonne posso più", costretta in falsetti e distorsioni esose), si fanno largo gli esperimenti, il vero stacco qualitativo a balzare all'udito. Da "Raggio Laserr" agli altri siparietti di collegamento si arriva a "Gocce di wita", un'unione assurda di drum'n'bass amatoriale da videogame e un collage di conversazioni di linee telefoniche erotiche, chiacchiericcio in insulsa definizione e giunture frastornanti.
Vertice assoluto dell'annata è però L'infanzia di M, a nome Forbici Di Manitu, una band oscura proveniente dall'Emilia Romagna che negli anni si è costruita una meritata mitologia. La stessa Infanzia di M è il frutto di continue lavorazioni, restauri e rimissaggi il cui inizio risale addirittura al 1989.
Tour de force dell'opera (e un po' di tutta la loro carriera) sono i 12 minuti di "Il plusvalore e l'assoluto": 3 minuti di frase incantata di flauto (tanto orientaleggiante quanto seriale), 6 minuti di colpi sempre più efferati da parte di distorsioni elettroniche ai danni del flauto, e 4 minuti di plateale duetto tra le distorsioni e una sorta di turbina industriale, qualcosa a metà via tra le turbe angoscianti di Antonioni e gli spasmi di Stockhausen."infanzia, come più o meno tutti", dopo una rarefazione anti-etnica scampanellante (i Residents in versione fiabesca), si concentra su un nuovo dialogo - forse un po' distratto - tra serialismo (stavolta del pianoforte) e ritmo tropicalia, deturpato da picchiettii random.
La loro musica arcana, pre-psichedelica se non preistorica, il loro collage di eventi sonori disparati che lega Can, primi Kraftwerk, lo Zappa di "Absolutely Free" e certa tarda Canterbury, dimostra la costante delle percussioni soprattutto in "Sette casse d'ossa", il primo dei brani di breve durata (ma per niente inferiori), con un avvicendamento danzante tra flauti (e beat electro) e percussioni voodoo incalzanti, a mo' di strofa-ritornello, o vera botta-risposta. Debordante in una particolare rilettura di industrial da ballo e di Ebm è "Officine Lombardoni", un adagio di percussioni elettroniche cu cui si innesta un corredo mostruoso-cibertronico, una loro modern dance via Cccp.
Etica e estetica snowdoniane sono rifinite al meglio da Magic Secret Room, florilegio di fenomenali mostruosità grottesche e giocose (sempre al vaglio analogico), forse il disco perfetto dell'avventura delle produzioni di Snowdonia, o quello che meglio ne cattura l'essenza e che meglio sviluppa l'idea dei Residents (quasi sempre silenti, fatta eccezione per l'unico interludio cantato di "Puppet Dancehall") come battistrada per esplorare le lande ignote delle tastiere elettroniche.
Due minuti di freakout ("Abacus") introducono i 10 minuti di "Au Sante' de l'Enfant", un passo stentato thriller accompagnato da dissonanze che si dà a un aumento vertiginoso di tensione (simbolizzata dalle variazioni minimaliste), con tanto di percussioni psych alla Red Crayola, infine dandosi a un'orrenda caricatura di valzer e tip-tap. Di nuovo il ballo (una lounge-bossa mortifera) figura nella conclusione di "Jerry McQuiete", dopo una processione dark-wave che richiama lo stesso procedimento della "Negativland" dei Neu (qui rallentata, abbruttita, straziata). Lo stesso motorik rivisitato, roboante, espressionista pervade "Mircea Hopes for You" (e con esiti anche più bislacchi "Join"), un numero che spinge a pensare che la vera volontà dell'ensemble sia quella di trovare le più veraci intersezioni tra Residents e Neu.
Eppure, scampoli di poema elettronico alla Xenakis emergono nella seconda parte della più umile "Risin Aluminum Valley. Dopo un'altra orgia freak ("Slurplunapark", ossessionante alla "Sister Ray"), il vaniloquio da vuoto panico di "Canoyzip Diving" rievoca lo shuffle percussivo di Bo Diddley in cui il synth sovracuto svolge il ruolo dell'armonica "blues", quindi comincia a risuonare in una dimensione di buco nero di riverberi alieni, assume tinte clownesche, e infine sprofonda in enigmatici trilli telefonici.
Il secondo disco dei Maisie, Do You Still Remember When You Found Your Iud In My Nostril?, è un monumentale campionario di idiozie e reietti senza forma. Le influenze si ampliano dai Residents alla demenza tossica dei Royal Trux e finanche alle sarabande cosmiche di Sun Ra.
Dalle fanfare lo-fi di "My Funky Valentine" e "Love Is A Television", passando per "Yesterday I Was Sad" e il passo Velvet Underground di "Fish Heads", il disco si mostra come un luna park dissonante in cui figurano carillon-organetti ("Jimmy Robot"), svisate techno (la nuova versione di "Pakistani Space Mission") e un Tin Pan Alley mortificato, scomposto e ricomposto di continuo ("Lo-Fi Beauty").
Il duo in realtà maschera egregiamente un analfabetismo increscioso, specie nel flamenco cretino di "Summertrainlove" (la più "suonata" del lotto), ma lo usa anche per esaltare sballi in bassa definizione ("Big Mac Blues" e "Son Of A Chicken") e canzoncine infantili ("Resta di stucco è un barbatrucco" e la versione techno di "She's A Mongoloid Pin-Up").
Strumentale o cantato, la differenza è minima, tanto è l'istupidimento, l'importante è l'idea di composizione che vi sta sotto, modulata al punto da far pensare a una colossale presa per i fondelli.
La striscia positiva prosegue con l'unico disco a nome Missselfdestrrruction (preceduto da un demo), Asimmetrica, un'originale reinterpretazione del post-rock, con tocchi di essenziale dream-pop (e di Young Marble Giants), e un corredo di spasmi, loop e gorgogli. Il loro spettro di suono sa spaziare tra alterazioni sapienti e modulazioni tra Sonic Youth e Shellac, Lydia Lunch e Uzeda, rock atonale e minimale e schizzi free e industrial e vere soundscape.
L'altro pezzo unico, Meatballs Flying Underground, dei Mutable, è invece un agglomerato di brevi vignette psych-pop d'antiquariato, senza voce ma con la solita, decisa componente amatoriale (campioni artigianali, elettronica, effetti poveri etc).
Snowdonia ritorna alle compilation tematiche con Pakistani Space Album, l'ennesima provocazione. Un'unica canzone ("Pakistani Space Mission" dei Maisie) è affidata a uno stuolo di artisti (Zu, Lo-Fi Sucks, Inside, Falter Bramnk, Flying Star Fish etc.), snowdoniani e non, per reinterpretarla secondo il proprio personale punto di vista stilistico. Il tema, il leit-motiv sardonico a firma Scotti e La Fauci è così ripetuto per diciannove volte, con fare sempre diverso, talvolta accomunando l'opera più a una colonna sonora che a una vera e propria compilation.
La componente provocatoria sta nel fatto che, pertanto, l'intento di facciata (la fantascienza) è più fittizio che mai; i veri temi sono l'inventata crisi d'ispirazione dei Maisie e dell'etichetta, e - appunto - uno studio sui generis del concetto di leit-motiv. Proseguendo con le scatole cinesi, il tema della crisi d'ispirazione diventa fonte di nuova invenzione. In ultima analisi, il lavoro nel suo complesso suona come un esorbitante atto egocentrico dei Maisie.
Mentre il 2001 si chiude con la pubblicazione di Vlucht Over Den Haag dei tedeschi Trespassers W. (invero un loro disco minore), il 2002 si apre con una nuova produzione straniera, Integral dei finlandesi Ektoverde (il loro secondo album). Integral è un po' la conferma di come le produzioni straniere non siano il forte di Snowdonia; quello degli Ektoverde è un jazz-rock fortemente sperimentale che vaga senza meta in un Canterbury-sound orientato alla soundscape (e persino al minimal). Allo stesso modo, Raw Ohm è il mediocre unico album live degli Ohm (base a Dallas), con versioni rock, o comunque eseguibili, dei brani presenti nei loro primi due dischi di studio.
L'apporto dei Maisie, Music Is A Fish Defrosted With A Hair-Dryer, dà corpo e sembianza alle loro non-composizioni, un po' come i Royal Trux dopo "Twin Infinitives". Si cominciano così a udire sketch cabarettistici di tutto punto, mentre gli elementi prendono ordine (per quanto surreale, come in "Dick Smart"), o pongono un'attenzione maggiore ai suoni bizzarri (non più iconoclasti come nei primi due album). L'ispirazione è forte soprattutto in pezzi come "Las Momias", "Sadist Of Notre Dame" (l'unico vero ricordo dei Residents), mentre è diluita nelle eleganti parate da orchestrina di paese ("Resta di stucco"), da tabarin ("I'm Swinging", "Plaisir A Trois") e da crooner ("Uxoricide Waltz" e "Sun Burns In Pink Air").
Pur mantenendo stabile il lo-fi, è l'album d'inizio della transizione della band, complici soprattutto gli arrangiamenti del francese Falter Bramnk.
Ed è proprio di Falter Bramnk, chiamato in causa come arrangiatore e re-inventore dei Maisie, l'ultima produzione internazionale della label dell'anno, intitolata Reflux, una serie di schizzi strumentali dell'assurdo ma talvolta impostati tradizionalmente (hard rock, vaudeville, disco music, film music etc).
Passato dunque il 2002 "cosmopolita", nel 2003 Snowdonia si concentra nuovamente su quello che sa fare meglio, e cioè la scoperta dei nuovi astri del sottobosco italico. Così Egokid, di Milano, e il loro Egotrip, propongono numeri di psych-pop alla maniera più autenticamente Flaming Lips-iana, con una certa epicità college-pop ("Helen", "Hetro Retro Homo Superior"), scioltezza pragmatica alla Stereolab ("Girl From Venus") e sonorità Elephant 6 ("Belagente").
Gli anni di Globiana dei veterani Le Masque torna di tutto punto al concept à-la Residents, anche se svolto su modi da musica leggera, e rinforzato da escursioni stilistiche easy (samba, jazz-lounge, salsa, liscio).
Tornano anche i patron Maisie, seppur con un progetto anomalo. Bacharach For President Bruno Maderna Superstar è una continuazione della loro "de-evoluzione". Qui i Maisie flirtano con il kitsch-pop nipponico di Pizzicato Five e Cibo Matto, ma pure con foxcore e electroclash di nuova generazione; le inserzioni cacofoniche si sono fatte ormai sofisticate, gli esperimenti più pedissequi. Ci sono filastrocche ("I Am Ashamed", "Post Modern?" "Post Modern!"), intramezzi da night-club ("Fight Song #7"), hip-hop obliqui alla Bjork ("Guts"), vignette industrial-Ebm ("Vigo oh oh"), musichette da matrimoni e pop da sciacquetta ("Sypsysolly"). Più in generale, a convincere è la riscoperta melodica delle radici lo-fi, esemplificata al meglio forse in "Easy Tune For Simon Jeffes"; un nuovo traguardo di creatività è comunque raggiunto dallo space-age pop di "H.a.d.d.", per sole tastiere elettroniche.
La label nel 2003 tiene anche a battesimo i piemontesi Orange, producendo loro il debutto ufficiale Carnival & Cosmos, prosperosa collezione in forma di catena in cui la tracklist indica forme-suite che poi all'ascolto si rivelano truffaldine (e talvolta i titoli promettono molto più di quanto le canzoni poi offrano). Per esempio, "In Carnival Times" è un cow-punk alla Throwing Muses (complice il cameo di Cinzia LaFauci) in cui l'armonia è tramortita da scherzi lisergici e intrusioni di nastri e campioni, e l'idea è semplicemente ribadita in "Song of the Cock", al massimo applicata al lo-fi di Jad Fair. La meditazione roots-rock che li intercala, "Me and My Pig", è letteralmente sorpassata da "Chicken Soup with Barley", persino atonale.
La parodia seriosa del college-rock di "The Incredible Phantasmagoria of Hernando De Soto", in realtà un collage di torture soniche, li riallaccia agli sfregi dei Camper Van Beethoven, ma senza aggiornarli agli anni 2000, preferendo piuttosto renderli semplicemente trasgressivi. Il loro flipper stilistico può anche suonare fastidioso (vaudeville psichedelici come "A Beggars Dream", post-punk come "Movies", e addirittura soundscape alla Enya in "The Earth Seen from the Moon"), anche se in brani come "Telephone Song" e "About the Rain" il complesso riesce a trovare una sorta di vena contemplativa (ma pure isterica) in mezzo al marasma di boccacce.
Il disco è talmente ricco di momenti non-sense che sembra di ascoltare un puro controsenso, una sequela inenarrabile di negazioni e riaffermazioni.
Il ritorno alla compilation tematica di What Would This Record Have Sounded Like If John Cale Had Had Some Setback and Cinzia La Fauci and Alberto Scotti Had Taken His Place (un tributo collettivo agli Stooges) stavolta è soprassedibile, nonostante l'ambizione dei nomi coinvolti, da Solex a Oxbow.
Così Tottemo Godzilla Riders (con Klippa Kloppa), aka Nicola Mazzocca, è un deludente ritorno al lo-fi delle origini, in forma di shibuya-kei amatoriale da videogame (colto solo in "Onaka Ga Suita", un collage di distorsioni, e nello pseudo-minimal di "Mosura").
Il lavoro migliore dell'annata è dunque facilmente rintracciabile in Sen Soj Trumas, dei bolognesi Transgender. Post-rock kitsch alla Trans Am, doom Melvins-iano, musica cosmica Floyd-iana, matrioske polka, balletti russi grotteschi sventrati e ricomposti in accelerazione, sono solo alcuni degli ingredienti dell'originale miscela. Un efficace riassunto della loro proposta sta già nel nome: incroci bastardi di generi, con creatività istintiva degna del prog-zeuhl giapponese e della voracità del miglior Mike Patton, laddove persino i suoni elettronici servono a imbastire un prodigioso remix del rock alternativo italiano del passato prossimo (Csi).
Il 2003 revisionista si ripercuote, a inizio 2004, in dischi come Linings dei lombardi Dontcareful, un tributo minore a synth-pop, electroclash, Ebm (che deborda nella trance ipertrofica in "The Game About You") e industrial gotico ("Dwarves Dance", "Passing Compexion").
Il big-beat nucleare alla Atari Teenage Riot trionfa in Full Speed In The Wrong Direction, a nome Plozzer (ma anche il garage, il two-step e il dub-step in "Revolvering", la jungle, la goa-trance fumettistica in "Attack Of The Giant Pinballs" e "Il Ribelle Revisited"), con ampio raggio di effetti acustici disturbanti, con il limite della lunghezza dei brani (più studi che poemi di elettronica da ballo).
Ma è soprattutto Scarapocchio (da un'idea originale di Marco Canala, poi affiancato da Roberto Amabili, entrambi marchigiani) con Attenti Sono Felice a brillare, grazie a un puntuale connubio di Captain Beefheart e Jon Spencer, con toni dandy-circensi alla Kevin Ayers, proponendosi tanto balladeer dell'assurdo ("Spermicidio") quanto principino degli accoppiamenti creativi - quasi sempre dissonanti - di lo-fi a tecnica mista che richiama a tratti degli Afterhours acidificati (specie in "Endoscopia", con tam-tam pellerossa).
Infine, Sugar Plum Fairy di The Finger suona come un'operazione di mimetismo scenografico che straripa nella ballata semplice, spesso Beatles-iana e nell'usuale lo-fi pop; in sostanza, quello di Franco Di Terlizi rimane un affare fortemente cantautoriale, tradizionalista, persino conservatore.
Spetta piuttosto ai 13 piccoli singoli radiofonici della band romagnola degli Aidoru (già Konfettura) di far risalire la china, tra il 2004 e il 2005, fino a poter parlare di stagione di nuova fertilità per la label messinese (anche se spesso si trova a far leva sulle intuizioni del passato). Torna, infatti, la proverbiale attitudine alla provocazione: i Singoli degli Aidoru non hanno alcunché di radiofonico; il loro capolavoro sta anzi nel fatto di coniugare il post-rock nelle declinazioni più bizzarre (tanto slowcore, quando stoner, quanto elettronica) in senso fortemente cerebrale.
È a tutti gli effetti un mosaico eterogeneo (con una tavolozza che va da reading come "Io guardo spesso il cielo" a ballate come "Giorni") in cui ogni brano si contraddice con l'altro, ogni brano si rimangia quanto detto dal precedente; casi limite sono il pessimo saltarello (madrigale) rinascimentale (medievale) di "Angelo-gnomo" e la sonata a due di "Phase-Difference".
Il seguito di Zero, per Fausto Balbo, si chiama Falbo. In questa nuova raccolta di collage electro-glitch (che stavolta suonano come vere soundscape), l'autore porta strafottenza e irriverenza al livello colto della musica atonale. Caso più unico che raro di tutto il catalogo, addirittura anti-musicale, l'album accumula lacerti, schegge, reietti campionati di ogni sorta (un esile ritmo compare solo in "Pensiero primitivo sottopelle") in un saggio compositivo votato all'enigma assoluto.
Come se non bastasse, Lo Zecchino D'Oro Dell'Underground si occupa di riportare in auge anche le mitiche compilation tematiche snowdoniane (adombrate dopo la scadente What Would This Record), invero una delle loro provocazioni più ardite che riesce a dare pure nuovo senso al concetto stesso di "compilation": un manipolo di bimbi - uno o più per artista - sono chiamati a reinterpretare un brano di artisti (a fianco degli artisti stessi) più o meno noti della scena alternativa italica.
L'effetto generale è dissonante e dissacrante, pure in grado di accomunare realtà notoriamente distanti da Snowdonia (uno su tutti, i Marlene Kuntz). In alcuni casi, ma sono le eccezioni, le risultanti brani accomodanti da struttura propriamente infantile, con ampio spazio alle personali interpretazioni del bambino (come nel caso dei Mariposa). Provocazione nella provocazione è "La canzone delle tre vite" a nome Rosolina Mar, una band notoriamente strumentale.
Altro apice dell'annata è Free From Deceit Or Cunnings dei Larsen Lombriki. Il suono non è cambiato di molto rispetto a Glad To Be Here di cinque anni prima, ma ora la band suona glaciale e altera ("Kosuth Youth" e "Carry On Devoted Forced Laughs"). I loro garage-beat balbuzienti con canto da crooner in bassa definizione ("Honey") sfumano in numeri di psichedelia industriale pressappochista ("Cane nero del Congo") e in trance con battiti alterati ("Stupid Rock 'n' Roll"). Largamente Residents-iano in molte tracce, arriva a storpiare i Kills in "Ballad Of The Bleeding Man", a remixare il merseybeat in "Time For Love" e a flirtare a scena aperta con la de-composizione zappiana ("Zalien").
Invece, i Maisie confermano la svolta semplicistica con Morte a 33 Giri, ormai il prodotto di un vero gruppo, infinitamente più autoriale e cantautoriale, bandistico e suonato delle loro prime esperienze, con testi in italiano e la presenza ingombrante di La Fauci a dominare sul resto.
Ormai pienamente amalgamato e quasi a tu per tu con la muzak italiota ("L'inverno precoce" e "?Uma.no"), il disco segue l'ondata di molti altri artisti italiani (anche della stessa scuderia, vedi Bugo), proiettando il duo nel jet-set alternativo. L'insieme rimane fiappo, intrigante qua e là (come nell'eco di lo-fi, ormai più che lambiccato, di "Vivan Las Cadenas" e nello scorticamento trip-hop di "Sistemo l'America e torno", nel kitsch di "Una canzone riciclata" e nello sfacciato techno di "Finché la borsa va lasciala andare").
Soundtrack Stories di Falter Bramnk è il degno seguito di Reflux del 2002, una raccolta di brani che non sono più (o non solo) semplici schizzi strumentali, ma veri poemetti con un uso libero della tecnica mista (tanto analogiche, quanto digitali, quanto campionate, anche all'interno di uno stesso brano).
Così Cantina Tapes di Vittorio De Marin (sotto il fortunato moniker di Gomma Workshop) torreggia come la sperimentazione forse più futile dell'intero catalogo; una sorta di giocattolo vintage di elettronica e di strumentazione infantile che crea beat spezzati e rarefazioni suggestive, e si abbandona ad ammassi di campioni (con fare da Black Dice) e psichedelica di seconda mano ("Fantajma" e "Melotone"), con grande lavorio sul suono pittorico e le soundscape artigianali ("Woodhood").
Chiude l'anno Contrappunti di Progetto M.B. (aka Marco Bucci, originario di Ostia), un debuto a collage che fa una sorta di mosaico della sua passata produzione di Cd-R e cassette autoprodotte. Questa piccola e pacata suite nel pieno stile del Brian Eno "discreto" è insolitamente lirica e talvolta alterata da disturbi elettronici molto variegati (ma sempre dosatissimi), tanto nelle fiabe acustiche con disturbi radio elettronici di "Sorvolando" e "Nel Mentre", quanto nel quadretto quasi prog di chitarre - in cui al meglio forse si realizzano i "contrappunti" del titolo - e percussioni-ticchettio di "Appena un Attimo" e "Se Non Ora Quando", quanto nei post-rock di "Sassaiola" e "Oberato di...", gli unici usi di batteria, ma talmente minuti da far pensare all'arte orientale. Il pezzo più complesso in assoluto è "Tre Civette", hare kirshna con improvvisazione persiana, misto a un pezzo di Goran Bregovic al ralenti in sottofondo. Ma effetti parimenti fantasmagorici Bucci li ottiene anche nel duetto di organo a canne e tastiere fantasma di "8on", la muta invocazione cameristica di "Allorquando", la stilizzazione jazz dai vaghi risvolti cosmici di "Vesna Serba". Lo stile e la calligrafia della suite sono originali, anche se oltremodo timidi, talvolta introversi al punto da suonare come parodia della new age di bassa lega, quasi una versione easy listening dei secondi Residents.
Lo scarno 2006 vede anzitutto il debutto dei Masoko, Bubu'7e, quartetto con base a Roma dedito a una wave alla Diaframma e Gaznevada, con punte di punk-funk, applicata all'estetica demenziale ("Cool", "Ferrari").
Quindi VedoBeat, a nome FrancoBeat, è esattamente ciò che recitano titolo e moniker, e cioè un'operazione di autoanalisi della poesia beat con ennesimo ricorso all'estetica lo-fi e a escursioni stilistiche ridanciane. In questa lunga parata di surrealtà il tema del gioco e dell'infanzia s'intrecciano con quello dell'alienazione, dando luogo a una sorta di maledettismo infantile. La musica è un tour-de-force Captain Beefheart-iano e Todd Rundgren-iano di tecniche stili di studio, per voce e sottofondo, con tanto d'intervalli parlati in forma di monologo stralunato.
Il 2007 annovera ancora un acuto, quale L'arte di sciogliere la neve degli Humanoira, un brillante assemblato di post-rock Tortoise-iano sghembo, poesia maledetta e jazz da camera, ma poi precipita con La vita sociale di Jet Set Roger, raccolta di risapute parodie stilistiche (cantautoriali, glam, brit-pop etc). Il 2008 vede Lavoretto a catena di Andrea "Ance" Lovito, appassionato cantautore in grado di spaziare da swing, alla fusion, alla musica tradizionale italiana, e una raccolta a mo' di musical di torch song natalizie di Jet Set Roger (It's Christmas In The Jet Set).
L'evento capitale del 2009, a parte il secondo album dei Masoko (Masokismo, una questione molto più leggera del debutto, persino pop nei morbidi arrangiamenti elettronici da discoteca, e nelle ampie armonie vocali, nei gorgheggi da gruppo vocale etc.), è l'uscita dell'annunciato e atteso nuovo album dei Maisie, Balera Metropolitana.
Uno dei rari album doppi del rock italiano, la Balera emancipa completamente i Maisie dal lo-fi, di cui non rimane più traccia; anzi, la volontà del duo (ormai gruppo aperto che estremizza il formato band della Morte con svariate ospitate) sembra essere quella di raccogliere tutto lo scibile-canzone italiano, da Ornella Vanoni a Fabrizio De André, da Fred Bongusto a Marina Rei, da Antonella Ruggiero a Patty Pravo, da Lucio Battisti a Gino Paoli.
Abbandonate le pose di mattatori sperimentali, di mattacchioni non-sense, di arrangiatori finto-sofisticati, i Maisie si concentrano solo ed esclusivamente sull'essenza della forma-canzone, che esplorano in un colosso di 2 cd e un totale di quarantaquattro tracce. Il duo la studia, la utilizza come cavia da laboratorio, vi applica reazioni e ne osserva i risultati sperimentalmente. Lo stile complessivo è lontanissimo dal surreale degli esordi (forse al massimo surrel-demenziale), ed è ora noncurante degli aspetti parodistici, e più vicino a un semiserio dilettoso.
Ma la Balera è solo l'ultimo ritrovato dell'essenza di Snowdonia; ne è, per così dire, il suo livello avanzato. Il messaggio della compagine continua a brillare, nonostante gli alti e bassi, e nonostante il forte (e controverso) successo all'interno del contesto alternativo italico.
L'avventura snowdoniana continua pertanto a essere un vero e proprio "mistero", oggi più che mai. Non si può far a meno di pensare ai possibili sviluppi, alle possibili sfumature, alle traiettorie, sghembe o meno, che la realtà di Scotti e La Fauci deciderà di intraprendere da qui a un futuro più o meno remoto. La loro è una continuing story fascinosa (forse una delle poche saghe "familiari" dell'indie nostrano) che appassiona a ogni novità, a ogni passo in più (o in meno). Fino alla sua risoluzione (?).
Nel frattempo, il 2009 snowdoniano prosegue con Il nuovo è al passo coi tempi, a nome K-Conjog (in arte Fabrizio Somma, un nuovo space-age popper tuttofare di origini partenopee), un disco in corsa contro il tempo che nella prima parte annoda l'era delle primordiali sperimentazioni burlesche-infantili analogiche di Bruce Haack con il collante del big-beat di Fatboy Slim al nuovo burlesco-infantile digitale di Dan Deacon, con tanto di miscele di campioni, sovrapposizioni di basi, e retaggi old-fashioned.
Quindi La Vergine e La Rivoluzione dei Pulp-Ito, terzo albo di un misconosciuto combo lecchese, da un lato rinverdisce i fasti eruditi-esistenziali dei Csi, dall'altro finisce per suonare come una scipita parodia di un fecondo periodo del rock italiano.
Omonimo di Deian e l'Orsoglabro (in coproduzione con Musicalista e Innabilis), seguito dell'autoprodotto Il Fantasma dell'Impossibile, è il competente tentativo di un cantautore torinese - al secolo Deian Martinelli - che riprende, in parte sfidandole, convenzioni vaudeville ("Che ci vuoi fare?", "Medio"), il blues da piano-bar (la lunga "nonostante i lampioni", con parata sperimentale di fiati) e stereotipi pop di ogni sorta, il tutto nel coerente legante della sua scrittura volutamente sciatta.
Dopo questo nuovo tour-de-force di produzioni, il 2010 si apre con il ritorno di Andrea Tich (a 30 e passa anni dall'esistenzialismo fiabesco di Masturbati, il suo debutto del 1978 per l'altrettanto mitica Cramps), che nel nuovo Siamo Nati Vegetali raccoglie le canzoni scritte in questo lungo iato, stavolta arrangiandole con le qualità trascendenti delle tastiere elettroniche, arrivando a ballate Eno-iane come come "Raccontami", "Siamo nati vegetali" e "Vento freddo", pulsazioni techno in "La notte" e "Una storia", andamenti languidi come "Invece di volare", "Il segnale" e "Cinque stagioni", andamenti crepuscolari come "Troppa felicità" e confessioni come "Terremoto". Il suo è un ciclo di canzoni a due passi dall'album di foto ("Vallì", "Ma ti ricordi"), in cui i suoi sussurri lasciano spesso il posto a concertini senza voce che completano la narrazione con anche maggiore commozione ("Non mi abbandonare" in questo è la più significativa).
Le Forbici Di Manitu, dopo l'exploit sperimentale de l'Infanzia Di M (ma anche dopo Tagliare) ritornano con L'Isola, un progetto a più mani che prevede una storia d'amore surreale di pugno di Alda Teodorani (anche voce narrante) illustrata da Emanuela Biancuzzi in un libretto di 40 pagine allegato al Cd, e gli accompagnamenti del complesso, confusi (talvolta creativi nelle modellazioni di suono concreto) o rassegnati in un più convenzionale post-rock da camera. L'opera vale più per il concept in senso lato, prossimo all'opera rock - con chiare reminiscenze Csi - che per la musica.
Nel 2011 la label si occupa anzitutto di due nuovi autori-creatori: Nicola Sambo (sotto il moniker di N_Sambo), multistrumentista livornese che esordisce con Sofa Elettrico, un album multicolore e multistrato relativamente inedito per la musica rock italiana, con una parte dedicata alla rivisitazione dei poteri magici dell'elettronica applicata, e Daniele Scardanelli, che con Il buon senso spiegato al mio cane offre una raccolta di retroguardia fantasiosa e cumulata di contrasti stilistici che reggono egregiamente l'orologio biologico dei generi impollinati ("Salmo", "Kenny 7 dita"), pur con qualche regolare allineamento calligrafico. Quindi Fobetore, del collettivo Laboratorio Musicale Suono C, è un pastiche misterioso che prosegue l'esordio omonimo di due anni prima. Descritto da brani i cui titoli sono anagrammi del titolo dell'album, si contende tanto escrescenze jazz-rock quanto teatrini zappiani, quindi si rimpicciolisce nelle ambizioni in brevissimi schizzi elettronici, e riprende in sonate folk barocche immerse in paesaggi post-apocalittici di silenziosi suoni di palude.
Ma ancor di più convince Il Santuario Della Pazienza, debutto dei leccesi Zweisamkeit, un concentrato di disperazione post-post-post-industriale che si nutre di elementi discordanti: la più vorace electro-goa-trance, sporadici monologhi sussurrati, voci invertite, effetti di omntaggio sonico, silenziose ripetizioni minimaliste. Uno dei dischi più angoscianti del post-rock italiano.
Per le uscite del 2012 Snowdonia si occupa anzitutto di due sue specialità: il recupero di autori oscuri e dimenticati con all'attivo un solo album, rappresentato da Il Silenzio del Mondo di Stefano Testa (alla stregua di Andrea Tich di due anni prima), e il lancio di proposte originali come Magic Crashed, al secolo Fabio Soregaroli, già membro dei notevoli Magic Secret Room usciti più di una decade prima per la stessa label massinese, con Perchè Io Lo Sapevo. Mentre il primo delude, il ritorno di Testa invece sorprende per la produzione altamente mutevole, incline agli eventi random post-dadaisti e alla resa surrealista, in grado di cancellare l'immagine di cantautore impegnato del suo debutto (Una vita, una balena bianca e altre cose, 1977) e riproporlo come guru della finta musica leggera di auto-sabotaggio.
E' poi la volta del secondo lavoro di Fargas, progetto del modenese Luca Spaggiari, In Balia di un Dio Principiante, in cui si allarga a band e rinfocola il canto, gli arrangiamenti (in uno spettro discretamente ampio di calligrafie, tra cui impeccabili citazioni), e perviene a un ciclo di canzoni umorale, introspettivo, monologante, forte anche di un'inventiva produzione.
A fine estate esce finalmente il primo vero album ufficiale del progetto A.s.o.b., la cui collaborazione con la label in realtà data almeno 2006 (si fecero notare con il mini Sfriziona Come la Cioccolata), dopo lunghe lavorazioni e tormentati cambi di line-up. Scivola è così un coacervo di canzoni tradizionali basate su sezione ritmica docilmente funk e armonie vocali a più parti, in realtà continuamente detonate e sabotate dall'elettronica semi-industriale. Il corso "serioso" degli ultimi stralci dell'etichetta messinese è completato anche da L'ombra delle Formiche, debutto del trio Upon, in realtà un lavoro modesto conteso in un duetto tra il Dr Jekyll di una lounge senza sprint e il Mr Hyde di un risaputo post-hardcore strumentale.
Fausto Balbo dà finalmente un seguito al gioiello che fu Falbo con Login, un concept informatico ancor più intransigente e freddamente cupo (ma pure con ologrammi di danze mediorientali robotiche), Autechre-iano e prossimo alle brume ambientali di Stephen O'Malley.
Dopo una lunga pausa, nel 2013 la label in collaborazione con Goodfellas si occupa della produzione dell'ultimo album della compagine dei Deadburger (ora ribattezzati Deadburger Factory), un triplo box, intitolato La Fisica delle Nuvole, interamente dedicato a colonne sonore teatrali composte negli anni dai loro componenti, il loro Ummagumma. Il primo Cd, Puro Nylon, contiene creazioni per voci narranti e suoni riprocessati (pochissima la strumentazione puramente rock), molto più avventuroso dell'Isola delle Forbici Di Manitù di qualche anno prima. Il secondo disco comprende due Ep solisti: Microonde del tastierista Vittorio Nistri è un conguaglio caotico di strutture non-musicali, mentre Vibroplettri del chitarrista Alessandro Casini è una collezione di brani brevi che rielaborano generi storici con fare dadaista. Il terzo disco è invece una galleria di idee tenute a basso volume e poco sviluppate, nettamente meno shockante.
Nel 2014 il progetto Fargas fa girare a pieno regime la dimensione ormai bandistica di In Balia, ma il più breve e quieto Galera è una delusione, mentre Andrea Tich aggiunge un nuovo capitolo alla sua scarna discografia con il doppio Una Cometa di Sangue (che contiene materiale per lo più eterogeneo, tra cui alcune canzoni del mai pubblicato seguito di Masturbati). Gli sopperisce Simone Perna, già batterista di Viclarsen e Affranti, con il suo debutto lungo Rinuncia all'Eredità a nome 3 Fingers Guitar, per la prima volta cantato in italiano, suo piccolo tour-de-force strumentale e compositivo tra forma canzone e jam blues-rock.
Il fronte dell'avangurdia invece si conferma il forte dei recenti trascorsi dell'etichetta, e probabilmente il suo trend futuro. Assoldato nella line-up delle lavorazioni della Balera dei Maisie, il tastierista Luigi Porto, che già ha all'attivo il concept assurdista Mond My My After World (2004) e le meditazioni a nome Appleyard College di Look at Me (2006), registra il ciclo di canzoni multimediale "The Run-O'-the-Mill" (2014) e soprattutto la colonna sonora per "L'apocalisse delle scimmie" di Romano Scavolini, poi raccolta in Scimmie (2014), solido carnet di tecniche miste e impasti timbrici. Ancora meglio Ukiyoe di NichelOdeon/InSonar, progetto di Claudio Milano, ultimo parto delle sue operette-vaudeville totali: multimedialità audio-video, canzone d'autore, poesia, jazz, stilemi colti.
Il debutto Uri (2015) del ricercatore genovese Haxel Garbini, è uno studio su toni, timbri, e distorsioni di stetoscopi e sovraincisioni, un ventaglio antispettacolare di invenzioni concise. Analoga è Nei Shi (2015), debutto di Nei Shi, moniker dietro a cui si ciela Alessandro Petrillo, chitarrista e co-fondatore dei Transgender, breve raccolta di meditazioni post-rock.
Nel 2016 c'è ancora spazio per la multimedialità. Jet Set Roger, passato il mediocre La Vita Sociale, raggiunge il suo picco artistico con l'opera rock monologica Lovecraft nel Polesine (2016), dedicata al presunto soggiorno italiano dello scrittore horror, accompagnata da un "libretto" a fumetti.
A inizio 2018 vede finalmente la luce Maledette Rockstar (2018) dei Maisie, dopo annunci, rinvii e ritardi, un doppio album di due ore e mezza di durata che nel frattempo ha assurto a uno status persino mitico. Non solo nella durata e nella line-up (decine e decine di musicisti), ma soprattutto nella sostanza, l'opera espande il già ampio massimalismo della Balera suo predecessore. Eppure, i testi argutissimi, demenziali ma eleganti e forbiti di La Fauci, e le partiture eclettiche e umorali di Scotti suonano come non mai saldamente al comando. Il concept sulle "rockstar" è doppiamente fuorviante. A essere presi di mira sono nella stragrande maggioranza artisti e personaggi italiani, cantanti leggeri, come in "Maledette Rockstar", una salace imitazione di Bertè e Fiordaliso, cantautori impegnati, come nel tour-de-force "Sono sempre i migliori che se ne vanno", vaudeville a cappella che incrocia registri di conversazione colloquiale, rap, declamato e coretti da Studio 1, e VIP, come per "Folkpolitik". Altri stereotipi affiorano nelle svisate stilistiche, la mazurka di "Che fico!", ma soprattutto nella più spettacolare, stramba danza sudamericana "Ammazza il corvaccio!". Agli artisti rock stranieri sono comunque dedicate "Io sono una rockstar", cantato in italiano anglofono e condito di tempesta di chitarre dissonanti, e una "Ozzy ha un nuovo pantalone" dal piglio punk e un canto schizofrenico, un po' lirico e un po' raspo. Ed è fuorviante anche nel metodo citazionista. Tanto "Aria" (Sorrenti) quanto "Certe notti" (Ligabue) quanto "Vincenzina e il Call Center" (Jannacci, anche replicata in un'ottima versione di tango industrial), ma anche l'elettronica "Donna pesce" (Battisti e De Gregori), hanno in comune con gli autori originali il titolo e il testo (storielle e sceneggiate grottesche che si riallacciano ai luoghi comuni del caso), mentre nella sostanza suonano come orchestrazioni massimaliste che seguono, si assottigliano o sovrastano il canto. L'effetto è quello del flusso esoso e trascinante del musical e dell'operetta tentacolare a collage di Zappa. Man mano il concept, come se non bastasse, si sfilaccia e rarefa in qualcosa di sociologico a tutto campo, anche se gli esiti sono tutto sommato alterni. L'ugola duttile, sovracuta, nevrotica di Claudio Milano guida i momenti più potentemente tragicomici: interviene nel brevissimo, brutale zeuhl di "Un programma politico sintetico", l'introduzione al fulgore del disco, "Ruderi e macerie #3", sette minuti di psicodramma free-jazz, e corona il cerimoniale apocalittico post-sanremese Meat Loaf-iano "Wilma e il diavolo" con un gioiellino di acuto da castrato in un caos informe. Sempre sorprendente ma con minor energia è la sceneggiata kitsch di voci, vocine e vociacce in "Padre Pio kung-fu master". La sezione finale si accontenta d'un intelligente commentario sociale un po' distratto, immerso in quello che per il loro standard è puro intrattenimento, forte comunque almeno di "Hyperbaric Rendez-Vous" (la più cantabile e formulaica di tutte, e contemporaneamente una delle più dissociate), la coda di "L'atroce vendetta del nanetto Pingping", un cabaret erotico innervato di frasi contorte del sax, e una "War!" per crooning sdolcinato, comizi radiofonici e vaneggi hard-rock. Più che l'opera più ambiziosa della carriera, è una sorta di gargantuana summa dell'estetica della label. A quasi trent'anni dall'uscita, Epica Etica Etnica Pathos ha trovato un degno erede.
Nel 2019 l'etichetta produce uno dei migliori dischi dei casertani Klippa Kloppa, già nella stessa Snowdonia all'epoca del progetto Tottemo Godzilla Riders, Liberty (2019), grazie a pantomime in forma di garage-rock ("Cinghiali", "Il velo di Omero", "Incido sull'atmosfera) o folk-pop ("Bach", "Lyudmila Pavlichenko", "Alla fine della giostra"), ma anche di rapsodie elettroniche come "Cotidie" e "Nature morte" (su di un beat ispirato a "L'ultima luna" di Dalla), fino a una sorta di personale apoteosi-inno, "Un mondo migliore" (richiama melodicamente "La musica che gira intorno" di Fossati).
Jest Set Roger ripete la formula di Lovecraft (opera rock narrativa accompagnata dal fumetto di Zograf) per Un Rifugio per la Notte (2020), stavolta basata su Stevenson. La compagnia dei Deadburger Factory finalmente ritorna con La Chiamata (2020), un disco quasi agli antipodi del predecessore, quasi interamente basato sulla corporeità del groove e proteso alla riscoperta e un qualche rinnovamento della forma-canzone rock, corroborato da uno stuolo di ospiti. Il giovane cantautore trentino Aldo "Odla" Tanzi debutta con Oltre il Cielo Alberato (2020), supportato dagli arrangiamenti di Edoardo Vergara.
Claudio Milano finalmente ritorna con il ciclopico Incidenti - Lo Schianto (2021), di nuovo a nome NichelOdeon/InSonar, anche se di fatto l'album è un contenitore di più ensemble, tra cui Not Me e This Order, la sua prima incursione nel metal, con i 13 minuti del singolo "Ho Gettato Mio Figlio da una Rupe".
I leggendari Central Unit grazie a Snowdonia continuano a sperimentare con Parallelism (2021), un progetto transmediale (album musicale, cortometraggio e installazioni a cura di Marco Bolognesi).
I Maisie completano una sorta di trilogia di album doppi con 2013-2021 Dal diario di Luigi La Rocca, cittadino (2022). L’enciclopedismo musicale e anti-musicale stavolta fa sembrare Todd Rundgren un timido principiante: gli stornelli di “13/09/2013 Io dico no alla televisione!”, “18/10/2013 Io dico no alla chiesa!”, quello tendente alla serenata onirico-mediterranea, “21/10/2013 Io dico no a pagare le tasse per mantenere gli stranieri” e quello sprofondante in un rituale tribal-elettronico, “28/10/2013 Io dico no alla violenza contro agli animali!”, il misto di chanson parigina e aria anarchica che degrada a marcia industrial in “01/06/2013 Mio fratello Andrea”, il misto di bandismo paesano e danza carioca di “22/09/2013 Pena di Morte!”, il blues pseudo-orchestrale di “08/10/2013 Neri”, l’inno sacro di “11/10/2013 Evviva la Cina, evviva i cinesi!”, il trip-hop da incubo di “30/10/2013 I comunisti”, l’elegia dream-pop di “24/12/2013 Mio fratello Andrea si è ammazzato”, lo scalcagnato anti-anthem funk-pianistico di “06/01/2015 Un uomo è troppo solo senza un amico vero!”, il pianobar decostruito in “16/04/2016 Io dico sì ai matrimoni degli omosessuali e agli uteri in affitto!”, il sabba corale dissonante di “07/05/2016 Un sogno troppo brutto!”, il garage-rock polverizzante di “10/09/2016 Tornatore spacca il culo!”, la novelty interrotta da un minimalismo svanito in “05/10/2016” L’iPhone è una cosa bella e molto importante!”, la jam acustica in stile blaxploitation di “02/03/2018 A chi dare il voto?”, la soundscape haitiana di “10/03/2018 Sugli stranieri sto cambiando completamente idea”, la psichedelica sub-Jefferson Airplane di “10/04/2018 L’apericena”, la brass-band di “01/11/2018 Le cose di marca”, il synth-pop Kraftwerk-iano di “14/01/2019 Io ‘sto fatto che si deve amare la patria proprio non lo capisco”, la musica “seriale” di “Ho visto un film che c’era Mel Gibson”, “21/09/2019 Persone e cose che mi piacciono e non mi piacciono” e “24/12/2019 Ciao Andrea, mi vedi da lassù in paradiso?”, i collage androidi di “28/09/2019 Greta, la geniale bambina svedese che salverà il pianeta!”, il cantico post-Ustmamò di “09/04/2020 Questa emergenza Coronavirus” e quello post-Swingle Singers di “19/05/2020 E’ finita la quarantena!”. Questi titoli chilometrici raggiungono peraltro un comico parossismo nei pezzucoli di pochi secondi, un’esasperazione del binomio tra titolo-didascalia e brani strumentali del Battisti di Amore e non amore, come, tra gli altri, i 10 secondi di jingle percussivo intitolati “09/06/2018 Non so se mi piace più come una volta comprare le cose al centro commerciale, forse adesso preferisco Amazon che è più moderno e pratico. Volevo anche dire che Netflix è meraviglioso: l’ho scoperto da poco e già me ne sono troppo innamorato!”. Ma più che un insieme di generi, sub-generi e post-generi, questo Moloch di album mostra da subito un tutto con uno status d’opera-rock monologica: il duetto punk’n’roll di “15/10/2013 Oggi un comunista su Facebook” ne è ottimo esempio, come pure “25/05/2018 Cetty, ti amo!” e “07/10/2018 Olviero Toscani, il più grande fotografo!”. Al centro, più che il qualunquista Luigi La Rocca, stanno logorrea e graforrea del suo “diario”, e difatti il disco non possiede, né vuole cercarlo, alcuno svolgimento. La sua esposizione ha volta per volta sempre qualcosa di frontale, volutamente appiattito. Se stilisticamente sembra essere guidato dalla dissonanza, esteticamente prende le mosse dalla modalità a getto continuo dei social network, finendo, così, per ergersi a flusso di coscienza-incoscienza collettivo e testamento politico, una forma ironicamente distaccatissima (e per questo velenosa) di agit-prop. Ancor più forte è il valore simbolico dell’insieme. Il duo riempie un vuoto, forse anche una voragine, di pseudo-storiografia apocrifa italiana (quasi una decade, in maniera ovviamente random), fino a denunciare un vuoto più grande, quello dell'arte coeva, arte spesso ridotta a inane, tentennante, timida didascalia. Come attesta e anticipa “01/05/2013 Il sistema è corrotto, marcio, fa schifo al cazzo!”, dance-rock da varietà che è, in realtà, un capolavoro di jazz-rock d’avanguardia degno dei Mothers Of Invention (ma anche “17/09/2013” e “12/11/2014”), il duo e il suo stuolo di collaboratori insegue Zappa nella sua colossale opera di profondo sbertucciamento del politicamente corretto, e lo aggiorna, imbastendone infine un nuovo vocabolario di citazioni, frasi “trovate”, motti, mosaici improbabili d’opinioni, ideuzze viscerali, fino alle beghe social, le adorazioni dei nuovi capetti populisti, i nuovi dogmi, etc. Fino a rimarcare la distanza siderale tra l’individualismo social e la realtà. E’ un disco necessario, sic et simpliciter.
Avvolgistanti (2022) è il secondo album del torinese Luca Borgia.
Dopo una lunga gestazione vede la luce Ossi, il progetto parallelo di due Deadburger - Vittorio Nistri e Simone Tilli -, completato da un super-trio: Domenico “Dome La Muerte” Petrosino, Andrea Appino e Bruno Dorella. L'omonimo Ossi (2022) è un po' caduco, un indeciso commentario sociopolitico dell'era coeva in forma di revival garage e rhythm'n'blues. Comincia programmaticamente con un collage di strepitate dichiarazioni politiche scurrili (“Ventriloquist Rock”), ma a sua volta anche il contenuto, dal garage-punk di “Ricariche” al mezzo tributo ai Monks di “Monk Time”, dalla acida-industriale "Hasta la sconfitta" alla sceneggiata goliardica di "Miss tendopoli", dall'innodica “Naturalmente non possiamo pagarti” (tra techno-rave e hard-rock) al folk-punk di “'O pisciaturu”, suona come un insieme di slogan sguaiati quando non volgari. Quando arrivano le canzoni vere e proprie l'esercizio si fa oleografico: “Per sollevare il morale del capo” remixa la “Louie Louie” dei Kingsmen (fino a farne un'improvvisazione esotica) e “Out Demons Out” si limita a rifare, allungandolo a 9 minuti, il classico di Edgar Broughton. Il long-playing vale più che altro per la realizzazione grafica e gli inserti a fumetti.
Il 2024 è perlopiù dedicato ai nuovi progetti di Claudio Milano. Passato il calderone di "Incidenti" il "cantattore" si dedica a più mirati recital vocal-cameristici di collaborazione, registrati dal vivo anzitutto per mantenere intatta la sua verve improvisativa.
La sonorizzazione dell'atto unico "Inferno 1911" (2023), poi incisa su Decimo Cerchio (2024) con i Sincopatici, è in tutto e per tutto un suo tour-de-force canoro-attoriale, dall'aria lamentosa con piano elettrico di "Ed ecco verso noi venir per nave", alle sceneggiate elettroniche demoniache di "Per me si va nella città dolente" e "Il conte Ugolino", all'affannato recitar cantando di "Pier Della Vigna", fino al recital nel recital di "Il cammino sotterraneo". L'incrocio tra declamato monologante grottesco e canzona d'accompagnamento bizantino/indiano, in "L'angoscia delle genti", lo fa suonare come un Tim Buckley alla testa dei Third Ear Band, ma la sua è anche un'arte di equilibrismi tra parti, di chiaroscuri stilistici e di registri, a partire da numeri come "Stige", una bagattella quasi solo strumentale, e il frammento "I dilapidatori", improvvisazione collettiva dissonante. Trance aborigene possono così sottoporsi a sconquassi di effetti e dissolvenze ("Amor che a nullo amato"), droni vocali elettro-gregoriani si fanno accompagnare da glockenspiel macabro ("I traditori"), e numeri avanguardisti assurgere a centro di gravitazione dell'intera opera ("Qui sono gli eresiarchi"). Quando la sarabanda acquista la batteria emergono le uniche concessioni a un più convenzionale rock gotico ("Lucifero", "La terza Bolgia", "I barattieri"). Cantante e compagni svolgono un distinto lavoro di compattamento di un'opera per definizione variegata.
Per Quigyat (2024), una collaborazione con l'elettronica di Teo Ravelli (aka borda) e un concept imperniato sulla guerra, recupera la sigla NichelOdeon. Il pezzo eponimo (9 minuti), attraverso un avvio di una musica cosmica a elicottero, una sonata pianistica schoenbergiana, i toni da arringatore e le frustate dell'elettronica, accumula una tensione gotica che si sfoga in un assolo finale di vocalizzi diplofonici aborigeni. Il resto è dato principalmente da suoi vecchi pezzi eseguiti dal vivo e poi riprocessati in studio. La riedizione di "Alla statua dei martiri di Gorla" si spartisce tra fantasia patetica ambient-jazz Vangelis-iana e lied-filastrocca freeform (con picco d'acuto di sfaldamento nel vuoto). Con la versione di 9 minuti di "Ciò che rimane" prosegue la natura sospesa, pianistica ed elettronica dell'opera, ma con in più il tocco di una sezione ritmica irretita verso il caos.