Davvero duri a morire, i signori Melvins. Anzitutto, sono scattate alcune recenti collaborazioni, da Jello Biafra ("Never Breathe What You Can’t See", 2004, e l’inferiore "Sieg Howdy", 2005), ai Lustmord ("Pigs Of The Roman Empire", 2004). C’è poi stata la rivalutazione sempre più in auge del post-metal di estrazione stoner-doom , a fruttare nuove aree di interesse creativo, dal neo-sludge al drone metal , tutta roba - in altre parole - che ai Melvins deve praticamente l’esistenza stessa. Infine, c’è stato l’apporto dell’indimenticabile frontman King Buzzo alle band-frankestein dell’amico-collega Mike Patton, dagli altalenanti Fantomas all’inutile e fracassona FantomasMelvinsBigBand.
Quando c’è di mezzo Patton, si sa, l’esagerazione è dietro l’angolo, pronta ad attaccare o a inficiare intuizioni pur intelligenti (sublimate nella label di cui è supremo direttore artistico, la Ipecac). L’ultima (ma non ultima) insensatezza Patton la scodella ri-pubblicando i nastri di una registrazione live di un intero album di studio, in occasione dell’iniziativa "Don’t Look Back" dell’edizione 2005 del prestigioso festival inglese "All Tomorrow’s Parties" (a cui avevano aderito, tra gli altri, Stooges, Dirty Three, Dinosaur Jr. e Gang Of Four). Un evento - in altre parole - da lasciare all’estemporaneità live , al contesto retorico, al tributo fatto dall’autore stesso a un pubblico irripetibile.
A questo si deve aggiungere il fatto che l’album in questione è "Houdini" (Atlantic, 1993), album delicato, con il non indifferente incarico di traghettare dallo stile del pesante passo sulfureo della band degli esordi (e la loro personale visione dello stoner), a una forma di screziato divertissment hard-rock (da cui il buonanima Kurt Cobain imparerà più di qualcosa). Nell’album di studio il tutto funziona. Nella sua versione live la cosa diventa talmente auto-referenziale che sfiora l’imbarazzo. L’iniziale "Pearl Bomb" perde di botto la sua aurea Primus-Suicide, mentre la rabbiosissima "Cop-Ache" degenera in diligente compitino per casa.
Più in generale, gli esperimenti repellenti, gli sguardi al futuro a base di cinismo, e tutti gli altri ingredienti di "Houdini" ’93, subiscono l’appiattimento della registrazione live (anche se, ad onor del vero, la qualità d’incisione non è indegna). La sterile dimensione programmatica dell’iniziativa mette così insieme "Hooch", "Joan Of Arc", "Sky Pup", "Night Goat" in qualità di semplici bozzetti incolori, insapori e soprattutto privi di qualsiasi coinvolgimento all’ascolto. Persino il lungo incubo post-industriale di "Spread Eagle Beagle" è una delusione.
In attesa del nuovo l’album di studio (altro motivo di longevità, forse a questo punto forzata), ci si deve accontentare di poche e misere addizioni all’onorata carriera: una tracklist del disco originale leggermente variata, e la dimostrazione tronfia e facilona, per tutti gli indie-boys del globo, che "Houdini" è stato il "Dark Side Of The Moon" del trio. Al lato musicale ne viene meno di un pugno di mosche. Al basso uno spento Trevor Dunn. Sottotitolo: "A Live History of Gluttony and Lust".
06/09/2006