Jon Spencer

Jon Spencer

Pussy Galore / Blues Explosion

Il virtuso percorso di un musicista che ha saputo rinvigorire il blues, scorticandolo attraverso il punk e il rock'n'roll. Jon Spencer, in oltre trent'anni di carriera ha distrutto e ridisegnato le coordinate della moderna musica americana attraverso i dischi di Pussy Galore, Boss Hog, Blues Explosion ed Heavy Trash

di Claudio Lancia e Magda Di Genova

Jon Spencer non è una persona. Jon Spencer è un essere composto da adrenalina, che sanguina rock’n’roll e trasuda carisma. Jon Spencer ha distrutto e ricostruito le radici della musica americana con una ferocia tale da chiedersi cosa ne sia rimasto.

È il 1984 quando un secco studente della facoltà di Arti Visive della Brown University di Providence (Rhode Island) tra un compito assegnato e l’altro decide di formare un gruppo. Il gruppo si chiamerà Shithaus, e aveva in line up il futuro Cop Shoot Cop Tod Ashley, ma avrà vita breve e in quell'anno scarso inciderà un semplice demo-tape riposto in tempo record nel dimenticatoio.
Jon Spencer (nato ad Hanover, New Hampshire, nel 1965), il secco, doveva concentrarsi principalmente sugli studi per diventare video-maker. Durante l’anno scolastico Jon produce, dirige e interpreta alcuni cortometraggi in bianco e nero girati in 16mm. Non certo film per famiglie e non potrebbero esserlo, perché Spencer non ha mai nascosto la propria indole tanto edonistica quanto autodistruttiva. Narra la leggenda che uno di questi clip, più che un film, fosse il documentario di un esperimento scientifico – la cui cavia era lo stesso Spencer – che prevedeva l’inserimento di vari corpi estranei nell’ano e degli spilli su per le parti ancora più intime. Un altro film riesce a entrare in cartellone al prestigioso NY Underground Film Festival, ma viene interrotto a pochi istanti dall’inizio per “problematiche tecniche”.

Pussy GaloreNella primavera del 1985, Jon assiste a un concerto dei Jesus & Mary Chain a Washington. Non è ancora entrato nel locale quando incontra una ragazza dall’espressione triste quanto la sua. È amore a prima vista: Jon Spencer e Cristina Martinez andranno a vivere insieme dopo appena una settimana.
Libero dalla Brown University, Spencer decide di concentrarsi sulla musica e formare un gruppo insieme alla chitarrista Julia Caftriz (sua compagna di corso alla Brown) e al batterista John Hammill. Tre personaggi tanto creativi non potevano non avere un nome dal grande carisma, ecco quindi venire in loro aiuto nientemeno che 007 e il ruolo che Honor Blackman interpretò in “Goldfinger”. E Pussy Galore fu. Il loro suono era incentrato su quelle sonorità grezze anni 60 che solo in seguito il pubblico catalogherà come “punk”, un mix di Velvet Underground e New York Dolls che ah il medesimo impatto di uno schiaffo al silenzio. Idolatrati o detestati, era impossibile non notare i Pussy Galore: tecnicamente incapaci, atteggiamento presuntuoso e narcisistico, con un leader che tanto rimandava a una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro. Il gruppo riesce presto a inserirsi nella scena locale, ma sarà l’atteggiamento brusco, maleducato e individualista del leader procurerà non pochi problemi col pubblico, spesso ripetutamente offeso durante le performance.

Bastano poche settimane per entrare in sala e incidere in una sola sessione il primo 7’’ autoprodotto (la loro etichetta si chiamerà Shove): Feel Good About Your Body includeva quattro brani a metà strada tra Howlin’ Wolf e Cramps, ma chi riceve il vinile a scopi promozionali non se ne cura molto.

La formazione certo non si dà per vinta e, una volta assoldato un secondo chitarrista, Neil Hagerty, dà alle stampe Groovy Hate Fuck dove riecheggiano sconcezze, volgarità, incitamento all’uso delle droghe più disparate, parolacce a non finire e un tono incessantemente minaccioso. Il disco non viene affatto apprezzato dalla bigotta e moralista (e oggi diremmo pure “indie-snob”) Washington che, sebbene pulluli di gruppi rock, mantiene tutte le distanze possibili da ciò che sia distruttivo e offensivo.

A mettere definitivamente i bastoni tra le ruote alla loro ascesa è il potente Ian MacKaye, proprietario della Dischord Records. Siamo a giugno 1986 quando, con MacKaye contro, ai Pussy Galore non resta altro che cercare conforto nell’unico posto al mondo dove possano ricevere tutti i meriti che spettano loro: New York City.
Sostituito Hammill, che preferisce non trasferirsi nella Grande Mela, con l’ex Sonic Youth Bob Bert dietro le pelli, i Pussy Galore impiegano pochi giorni per entrare nel giro dei concerti che contano, davanti a un pubblico che Spencer descriverà come “più colto e metropolitano di quello lasciato a Washington”. La band, che ancora si rifiuta categoricamente di migliorare a livello tecnico, viene avvicinata da una piccola etichetta del luogo, la Buy Our Records, che licenzierà il nuovo lavoro dei Pussy Galore, Pussy Gold 5000, nel quale sarà contenuta anche una dissacrante cover di “Exile On Main Street” dei Rolling Stones.

La fama (e l’arroganza) del gruppo cresce, e questo spinge la formazione a entrare in studio con Cristina Martinez in qualità di terza chitarrista (anche se non aveva mai imbracciato una chitarra prima) per autoprodurre il nastro Exile On Main Street in cui risuonano (o meglio renderebbe l’idea il termine “disintegrano”) l’intero doppio album dei Rolling Stones.

Mentre Cristina Martinez abbandona il progetto per formare i Boss Hog, la sua personale creatura, giunge l'interessamento della Caroline Records, per la quale i Pussy Galore registreranno il loro album più rappresentativo, Right Now!. Si tratta di un disco seminale, perfetto sotto ogni punto di vista. Il meglio del rock’n’roll più dissacrante e scomposto incontra ombre sospese tra dark e industrial, sconfinando nel rumore fine a se stesso e a un breve canto blues che sembra essere una premonizione per il futuro.
È proprio in questo periodo, nel bel mezzo delle registrazioni di un disco tanto importante come il successore di un conclamato capolavoro, che l’armonia all’interno gruppo (alterata dall’abuso di sostanze stupefacenti) viene a mancare. Julia, ormai esausta di litigare con Jon in continuazione, decide di abbandonare il progetto e Neil (che poi formerà insieme a Jennifer Herrema i Royal Trux) prenderà presto la medesima decisione. I Pussy Galore assoldano in corsa Kurt Wolf, che rimarrà in seguito fedele collaboratore della coppia Spencer-Martinez.

Le aspettative per il seguito di Right Now! sono altissime e vengono rispettate dal successivo Sugarshit Sharp, con in copertina lo stesso Golem degli Einsturzende Neubauten, ma in fiamme. La loro consacrazione sbarca anche in Europa e le richieste di concerti, soprattutto nel Regno Unito, sono tantissime. Sarà proprio grazie alla tournée europea che Julia e Neil rientreranno a far parte del progetto.

Una volta a Londra, i Pussy Galore decidono di affittare uno studio di registrazione per quello che sentono loro stessi essere il commiato del gruppo alle scene: Dial M For Motherfucker. Le sessioni sono snervanti: in un clima sempre più compromesso dall’abuso di sostanze stupefacenti, Jon e Julia non fanno che attaccarsi, Neil si preoccupa solo delle sue pasticche e il resto del gruppo non sa gestire la situazione. Tutto il disco rispecchierà la tensione provata in studio, risultando scuro e più lento dei precedenti. Terminato esclusivamente grazie alle insistenti pressioni da parte della casa discografica, Dial M For Motherfucker è un album discusso, con momenti che possono essere considerati capolavori e altri totalmente inutili.

Spencer è fisicamente provato e si interroga sul futuro quando accetta di essere ospite dei Gibson Bros. nel loro disco "Dedicated Fool". Collabora anche con i Boss Hog, ma è chiaro sin dall’inizio che il progetto appartiene a Cristina e già dal loro primo lavoro, Drinkin’ Letchin And Lyin’, Spencer deciderà di dirottare diversi brani verso una nuova formazione. Sceglie così di chiamare Bert e Hagerty per un nuovo disco dei Pussy Galore: La Historia De La Musica Rock. Il disco è meno potente e incisivo degli altri, la mancanza di Julia si fa sentire e, per quanto il gruppo si ritrovi in un’atmosfera più rilassata, non c’è lo stesso cameratismo degli esordi. Pubblicato nel Regno Unito per l’etichetta di culto Rough Trade, La Historia De La Musica Rock fa nascere moltissime richieste di date europee, ma il tour non verrà mai intrapreso: i Pussy Galore non esistevano ormai più. A prolungare virtualmente l’esistenza dei Galore, sarà la In The Red Records che nel 1998 pubblicherà Live: In The Red, la registrazione dell’ultimo concerto della band, avvenuto il 5 agosto 1989 nello storico CBGB di New York.

Spencer continua a non trovare i propri spazi e accetta di partire in tour con i Gibson Bros insieme a Cristina in qualità di batterista. Durante questa tournée Jon si avvicina alla musica blues, amore che approfondirà durante il soggiorno a Memphis per la lavorazione al nuovo disco dei Gibson Bros, Memphis Sol Today.

Terminate le lavorazioni del disco, Jon torna a New York più agguerrito che mai e con il blues piantato nelle orecchie. Si unisce agli Honeymoon Killers e registra con loro Hang Far Low, ma non è questo ciò che realmente vuole. Forma subito dopo un gruppo tutto suo, con il sound che ha in mente, e per questo progetto coinvolge Russel Simins, batterista degli Honeymoon Killers, e il coinquilino Judah Bauer.
Il trio comincia a prendere confidenza, studia le canzoni scritte da Jon e si lancia in interminabili session di improvvisazione, fino a quando capisce di essere pronto per la sala d’incisione, trovata insieme al produttore (nientemeno che Kramer) e affittata per tre sole ore. Il risultato sono 15 brani pronti per essere pubblicati, come ai tempi di quando il rock’n’roll era una novità: una serie di 45 giri che verranno raccolti nel 2007 nel cd Jukebox Explosion Rockin’ Mid-90s Punkers!.

I vecchi fan dei Pussy Galore sono in fibrillazione, ma è lampante quanto il suono della Jon Spencer Blues Explosion sia qualcosa di lontano da qualsiasi altra musica mai ascoltata prima, soprattutto da quella dei Pussy Galore. Incurante di critiche e facce sorprese, Spencer sa che con la JSBX farà grandi cose e si concentra sullo studio del theremin, complementare alla sua voce e ai suoi incitamenti. Grazie al theremin e all’uso spudorato di chitarre da pochi dollari, con un suono ruvido e sporchissimo, una nuova schiera di fan, incuriosita, si avvicina.

Jon Spencer Blues ExplosionIl primo omonimo disco, The Jon Spencer Blues Explosion, fa la rumorosa apparizione sul mercato nel 1992, anche se non può essere certo considerato un album sorprendente. Ma basta un tour di spalla ai Jesus Lizard perché la Jon Spencer Blues Explosion diventi il gruppo più in voga del momento. Mentre il gruppo concorda con la Matador la distribuzione statunitense, la Crypt europea ne approfitta per pubblicare Crypt Style (con una copertina che vede il trio truccato e pettinato più come prostitute che come bambole di cera. Basta questo per prendere le distanze dalla dall’immagine aggressiva dei Pussy Galore), una serie di brani registrati dalla JSBX in una sessione di un giorno e mezzo insieme a Kramer e Steve Albini.

Spencer è finalmente a suo agio e soddisfatto del suono che il suo personale progetto è riuscito a creare. Quando il trio entrerà in studio per le lavorazioni dell’album successivo, le aspettative verranno ricompensate: Extra Width è un disco scarno, diretto, esuberante e denso. Spencer non è mai stato tanto a suo agio sul palco. Assistere a un concerto della JSBX è un evento, un’esperienza. Spencer ha smesso di insultare il pubblico e comincia a incitarlo. Canta, urla, non sta fermo un attimo, suda ed è subito un’icona: nessuno sa tenere il palco come fa lui.
La febbre sale e sul mercato viene immesso Mo’ Width, la ristampa di Extra Width, arricchita da un secondo cd contenenti brani non inclusi nella prima tiratura.

Se con Extra Width si urla al miracolo, è con Orange che ci si genuflette davanti alla perfezione: canzoni perfette dal cantato impeccabile e senza una nota fuori posto.

Sulla scia del successo viene pubblicato Experimental Remixes, un disco in cui alcuni brani di Orange vengono remixati da, tra gli altri, Unkle, Mike D, Beck e Moby.

Vista l'esperienza vissuta con i Pussy Galore, Spencer sta attento a non ripetere gli stessi errori e decide di prendere un po’ di respiro incidendo il secondo omonimo disco dei Boss Hog, con due cambi di formazione (l’ingresso di Hollis Queens alla batteria e seconde voci e dell’ex-Swans Jens Jürgensen al basso) che la renderanno più solida e vincente. Una pausa pop e un tour all’insegna della leggerezza riusciranno a far accettare a Jon la richiesta della Matador Records di accompagnare insieme alla JSBX R.L. Burnside nel suo sorprendente disco A Ass Pocket Of Whiskey. Tutto è assolutamente equilibrato ed è una sorpresa la sinergia di due generazioni tanto distanti. Stupisce quanto il rock’n’roll (e soprattutto Jon Spencer) abbia attinto al blues del Delta. Un disco immancabile nella discoteca ideale di chiunque ami il rock a tinte blues, in grado di riportare in auge un artista rimasto nell'oscurità per un lungo periodo.

La sicurezza guadagnata con quest’ultima collaborazione e la popolarità ottenuta con Extra Width e Orange portano la JSBX a fare il grande salto: lasciare le etichette discografiche indipendenti e firmare con una major. Prescelta sarà l’inglese Mute, alla cui corte già sono presenti Nick Cave, Einstürzende Neubauten, Depeche Mode, Fad Gadget e tanti altri.
La Mute crede tanto nel progetto che Spencer e soci campeggiano nelle prime pagine dei giornali ancora prima che Now I Got Worry arrivi nei negozi, e l’agenda si riempie di impegni (interviste, concerti, apparizioni radiofoniche e televisive, videoshooting) di giorno in giorno. Now I Got Worry è un successo. Un disco un po’ più freddo di Orange, ma pur sempre un ottimo lavoro.

Stancato dall’estenuante promozione e dall’interminabile tour, Spencer decide di volare a Chicago e cambiare rotta, proporre un sound diverso per Acme, un suono che si allontana dal rock’n’roll per avvicinarsi all'hip-hop. Le chitarre si assopiscono per graffiare di meno, la voce di abbassa e viene fatto posto a diversi ospiti e ai loro strumenti (dal piano all’organo passando per sintetizzatori, scratching e corno inglese). Il disco risente di un forzato cambio di direzione nel quale nemmeno il gruppo sembra credere, nonché dei problemi di salute (probabilmente dovuti proprio a questo forzato cambio di sonorità) di Judah Bauer, che accuserà in studio continui attacchi di panico.
Chi si aspettava la caratteristica aggressività rock-blues rimane deluso, molti fan storcono il naso, altri accantonano il disco convinti che il successore sarà rumoroso almeno quanto i primi. A poco serve un video splendido come “Talk About The Blues”, in cui gli attori sono i musicisti e i musicisti sono degli attori (John C. Reilly nei panni di Russel Simins, Giovanni Ribisi in quelli di Judah Bauer e nientemeno che una strepitosa Winona Ryder a interpretare Jon Spencer). L’album vende ma non convince e a peggiorare la situazione ci saranno le ulteriori, inutili uscite Acme Plus ed Extra Acme.

Soddisfatto per l'esito delle ultime pubblicazioni, ma un po’ confuso dal lungo tour appena concluso, Spencer preferisce prendere un attimo le distanze dalla Blues Explosion e torna in studio per registrare un nuovo lavoro con i Boss Hog: Girl Positive Plus. A distanza di pochi anni, la band resterà però bloccata da cavilli legali a seguito dell’acquisto dell’etichetta da parte della Universal Records.
Torneranno in pista soltanto nel 2017 con l'apprezzato Brood X.

Arriva il momento di tornare in studio con la JSBX e dopo tanta sperimentazione, Spencer sente il bisogno di fare un passo indietro, di concentrarsi di nuovo sulle chitarre. Questo avviene con Plastic Fang, anche se in maniera decisamente più (auto-)ironica o forse semplicemente più pop.
Concepito più a tavolino che durante ore di improvvisazione, trainato dal singolo apripista “She Said” e da un video girato da Floria Sigismondi, il disco ripropone il graffio che ci si aspetta dalle chitarre, ma i brani sono molto meno veloci e la voce non è mai stata tanto matura. L’album è apprezzato, ma più lo sarà il tour che lo seguirà, in cui i brani verranno riproposti velocissimi e coinvolgenti.

Almeno il tour è un successo e, soprattutto, infinito. Spencer e soci tornano a New York e si chiudono in studio poco dopo per incidere Damage, con il quale la ragione sociale del gruppo si abbrevierà in Blues Explosion. E' un altro disco studiato e misurato, con pochissimo spazio per l’improvvisazione. Esce un po’ a sorpresa e soffre della scarsa promozione da parte della casa discografica.

Heavy TrashEnormemente deluso dalla piega che stanno prendendo gli eventi, Spencer approfondisce l'amicizia con Matt Verta-Ray, ex-bassista della cult-band Madder Rose. Con Verta-Ray Spencer forma il duo Heavy Trash, nel quale si fondono rock’n’roll, country e rockabilly. Il disco omonimo registrato solo per curiosità andrà sufficientemente bene da indurre la casa discografica a fare pressioni perché venga portato in tour. Spencer e Vetra-Ray accettano e decidono di allargare la formazione coinvolgendo alcuni amici.

La risposta del pubblico è tale da convincere il duo a scrivere nuove canzoni per un secondo album. Going Way Out With Heavy Trash viene registrato tra Londra, Boston e New York insieme al gruppo canadese The Sadies, che poi dividerà con loro il palco nel corso della tournée mondiale.

Midnight Soul Serenade
è il terzo capitolo di questa nuova saga, nella quale il duo indossa i panni di novelli rock-a-billy heroes. Certo è un bel divertissement, ma sentire Spencer scimmiottare Elvis per il terzo disco consecutivo non è esattamente quanto ci saremmo attesi da un artista del suo spessore. Continuiamo a preferirlo quando si dedica ai ritmi serrati e sopra le righe di "Bumblee Bee" e "(Sometimes You Got To Be) Gentle", e riconosciamo che anche i momenti più narcotici e allucinogeni (la story song "The Pill", la più root "Bedevilment") non gli riescano poi così male.
La breve "Pimento" è di una gradevolezza unica (Tarantino prenderà nota, statene certi...), mentre i due estremi del disco (l'iniziale "Gee, I Really Love You" e la conclusiva "In My Heart") ci spediscono dritti nei sogni anni 50 dei nostri genitori. Il resto delle composizioni non fa altro che evidenziare quanto Jon Spencer abbia dato il meglio di sé in altri momenti.

Archiviato la parabola Heavy Trash, nel 2010 si torna a parlare di Blues Explosion grazie a Dirty Shirt Rock And Roll, un'antologia che include rarità e brani inediti dei primi dieci anni di vita (dal 1992 al 2002) di quello che oramai è il progetto di Jon Spencer. I tre si divertono a fare il verso ora ai Doors ("Love Ain't On The Run"), ora ai grandi del soul ("Magical Colors"), ora giocano a rinnovare il mito dei Rolling Stones nell'irresistibile "Wail", ora intingono le chitarre nell'hip-hop di un'inaspettata "***k s**t up", fino a raggiungere perdonabili eccessi di narcisismo, come quando si autoproclamano fautori di una miscela esplosiva ("Blues X Man"). Degni di nota anche i tre strumentali traboccanti groove ("Buscemi", "Train #2" e "Greyhound"), tralasciabile invece il remix di "Flavor" nonostante la presenza di Beck come special guest. Il meglio lo danno quando deturpano il caro vecchio blues, attraverso un approccio garage/lo-fi. Ascoltateli in "Feeling Of Love", in "Shake ‘em On Down" o nell'iniziale "Chicken Dog" (in duetto con Rufus Thomas) e avrete l'esatta idea del loro approccio alla materia musicale. La compilation si chiude con la radiofonica "She Said", perfetta sintesi dei Blues Explosion più patinati e meno destrutturanti dell'ultima parte di carriera, quando tutto divenne più studiato e misurato.

Sempre nel 2010 la campagna di ristampe del catalogo dei JSBE prevede la reissue dell'ottimo Controversial Negro, un live registrato a Tucson nel 1996 - in origine pubblicato esclusivamente sul mercato giapponese - che riesce a catturare l'essenza più selvaggia che la band è in grado di sprigionare sul palco.

Ma per asistere al ritorno sulle scene dei Jon Spencer Blues Explosion occorrerà attendere sino a settembre del 2012, quando viene pubblicato Meat And Bone, lavoro che pulsa sangue e sudore da ogni solco. La formazione, che meglio di ogni altra ha saputo trascodificare i vecchi codici del blues, immergendoli nel punk e trasferendoli con forza nel nuovo millennio, è di nuovo riunita nello schieramento tipo: il trio delle meraviglie con Judah Bauer alle chitarre e Russel Simins dietro pelli e tamburi. Non che nel frattempo i signori siano stati con le mani in mano: negli ultimi anni son state curate le reissue dei gioielli storici della band, il belloccio Jon ha realizzato tre dignitosi album di rock-a-billy trasversale con gli Heavy Trash e si è prestato a diverse collaborazioni, Bauer è nel nuovo di Cat Power, Simins si è dilettato nel progetto garage-rock metropolitano Men Without Pants, in coppia con Dan The Automator dei Gorillaz. Ma rivederli riuniti sotto la ragione sociale storica fa sempre un certo effetto.
Per Meat And Bone nessuna guest star: bastano loro tre, nudi e crudi, anche la produzione è gestita in casa da Jon in persona. La ricetta è sempre la medesima: rock'n'roll frenetici ("Danger"), blues malsani old style scartavetrati a colpi di elettricità ("Unclear", tanto per capire da chi hanno appreso la lezione i White Stripes), provocatori funky metropolitani ("Get Your Pants Off"), qualche compitino facilotto svolto con diligenza (lo strumentale conclusivo "Zingar"), e tantissima energia. Tutto è dannatamente sexy, un festival di suoni scosso da continui movimenti tellurici, nel quale può bastare che Jon appoggi le labbra sull'armonica ("Bag Of Bones") per scatenare il putiferio in un piccolo club, un semplice riff ("Boot Cut") sparato a tutto volume o un basso iper distorto ("Ice Cream Killer") può buttar giù le pareti della vostra cameretta, i testi sessualmente provocatori sono un chiaro invito all'estasi. L'approccio caustico e diretto ci rimanda sovente ai Rolling Stones dei primi anni, con tracce ("Black Thoughts") che sembrano uscite dalla penna della premiata ditta Jagger/Richards. L'omaggio alle radici viene perfezionato attraverso i ringraziamenti espressi nell'iniziale "Black Mold", in cui Spencer e compagnia nominano una serie di numi tutelari (da Art Blakey a Ornette Coleman fino a Little Richard) che evidentemente hanno illuminato il loro cammino.

Trascorrono gli anni e Jon Spencer sembra proprio aver stretto un patto di sangue col demonio: conserva un fascino giovanile, è il prototipo della moderna rockstar, ha una moglie invidiabile, ha anche imparato più o meno a suonare, canta da dio e ogni progetto che decide di portare avanti non è mai meno che interessante. Che possa proporre delle hit è ovviamente un ironico controsenso per chi – come lui - ha sempre preferito disintegrare i dogmi e ricostruirli secondo la propria estetica, piuttosto che assicurarsi un passaggio radiofonico in più. Eppure per il primo album registrato a proprio nome, e pubblicato a novembre del 2018, sceglie come titolo Spencer Sings The Hits. Jon punta tutto sui super riff di “Beetle Boots”, sulla meravigliosa enfasi di “Ghost” e sulla sana energia di “Overload” per confortare la nicchia che lo ha sempre sostenuto.
Solo un paio di tracce superano i tre minuti, per il resto queste dodici hit immaginarie volano via che è un piacere, lasciando come retrogusto il sottile desiderio di riascoltare tutto dall’inizio e rotolarsi nell'eccitante caos ordinato di “Trash Can” e nelle acide intersezioni spazio-temporali di “Alien Humidity”, pronte a lanciare in orbita la versione più noise mai udita dei Pixies. Il sound è quello al quale ci ha abituati: blues scorticati, scarnificati, destrutturati, sciolti nell’acido del punk, arsi al sole del garage-rock, ricostruiti attraverso quelle scosse telluriche mai affievolitesi, nonostante gli eccessi di una vita e l’avanzare dell’età.

Nel frattempo, anche a causa dei problemi di salute che affliggono Judah Bauer, una sindrome respiratoria che gli impedisce di proseguire l'attività on the road, Jon Spencer annuncia il definitivo scioglimento dei Blues Explosion. A questo punto la nuova backing band diviene quella che lo ha accompagnato durante le registrazioni e il tour dell’esordio solista.
Il nome scelto per la nuova formazione è The HITmakers, quasi a voler sottolineare l’istinto piacione da sempre presente nello scorticato mix sonoro architettato dal chitarrista del New Hampshire. Ne fanno parte Sam Coomes (metà dei Quasi, qui impegnato ai synth), M.Sord (batteria) e Bob Bert, più volte ostinato compagno di ventura di Jon, impegnato a pecuotere percussioni improvvisate e detriti vari.

Il primo atto ufficialmente attribuito alla nuova ragione sociale viene pubblicato ad aprile del 2022 e si intitola Spencer Gets It Lit, attraverso il quale Jon conferma la missione che ha deciso di condurre fino a quando avrà la forza di produrre nuova musica: abbattere il blues, così come lo abbiamo conosciuto finora, e ricomporlo secondo nuovi e personali canoni.
Posta a inizio corsa, la sporcizia sonora di “Junk Man”, concepita con approccio lo-fi e tastierine plasticose applicate ai riffoni fuzzati di Spencer, è perfettamente programmatica per definire questo tour di tredici tracce, costruito esaltando una forma di sudicio e scapestrato garage-rock-blues. Brani che viaggiano rapidi e immediati, quasi mai oltre i tre minuti di durata. Non siamo ai livelli dei capisaldi della discografia di Spencer, ma averlo alla soglia dei 60 anni con grinta e talento immutati è una gran bella conquista.

Magari dal punto di vista artistico non c'è più niente di nuovo nella musica di Jon Spencer, ma nelle sue vene il sangue continua a scorrere a mille all'ora. È anche per merito dellle sue intuizioni se oggi le barriere fra generi musicali sono un po' più fragili, nonostante il suo garage-blues possa risultare oggi meno "putrido" e più "pulito" rispetto a venti o trent'anni prima. Oppure forse è il "sistema" che ha imparato a "digerirlo" senza scandalizzarsene.
Nel corso degli anni Jon Spencer ha saputo stupire, rinnovarsi sperimentando in tante direzioni, revisionare il blues dei pionieri e il rock'n'roll a stelle e strisce accompagnandolo al trapasso nel nuovo millennio, facendo sempre attenzione a non scendere a troppi compromessi stilistici o comportamentali. Senza perdere una virgola della propria sensuale brutalità, e con le chitarre che continuano a sferragliare, prosegue il personale tragitto finalizzato a ridisegnare le strutture portanti della moderna american music.

Jon Spencer

Discografia

PUSSY GALORE

Feel Good About Your Body (Ep, 1985)

Goovy Hate Fuck (Ep, 1986)

Pussy Gold 5000 (Ep, 1986)
Right Now! (1986)
Exile On Main Street (tape, 1986)
Sugarshit Sharp (Ep, 1988)
Dial M For Motherfucker (1989)
La Historia De La Musica Rock (1990)
Live: In The Red (live, 1998)
BOSS HOG

Drinkin' Letchin' And Lyin' (1989)

Boss Hog (1995)
Whiteout (2000)
Girl Positive Plus (2001)
Brood X (2017)
HONEYMOON KILLERS
Hang For Low (1990)
JON SPENCER BLUES EXPLOSION
The Jon Spencer Blues Explosion (1992)
Crypt Style (1992)
Extra Width/Mo' Width (1993)
Orange (1994)
Experimental Remixes (1994)
Now I Got Worry (1996)
Acme (1998)
Acme Plus (1999)
Extra Acme (1999)
Plastic Fang (2002)
Damage (2004)
Jukebox Explosion Rockin' Mid-90s Punkers! (2007)
Dirty Shirt Rock And Roll (2010)
Controversial Negro (Essential, 2010)
Meat And Bone (Bronzerat, 2012)
Freedom Tower - No Wave Dance Party 2015 (Mom And Pop, 2015)
HEAVY TRASH
Heavy Trash (2005)
Going Way Out With Heavy Trash (2007)
Midnight Soul Serenade(Bronzerat, 2009)
JON SPENCER
Spencer Sings The Hits (In The Red, 2018)
JON SPENCER & The HITmakers
Spencer Gets It Lit(Bronzerat, 2022)
GIBSON BROS.
Dedicated Fools (1989)
Memphis Sol Today (1993)
R.L. BURNSIDE
A Ass Pocket Of Whiskey (1996)
Pietra miliare
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