Jon Spencer è una delle grandi personalità musicali emerse negli anni 90 dalle quali ci saremmo attesi una rivoluzione copernicana nel mondo delle sette note. Parzialmente la cosa avvenne, quando con i Blues Explosion mise a soqquadro il modo di concepire il genere dal quale la band prese il nome, filtrandolo attraverso un approccio garagecome nessuno mai era riuscito a fare prima.
Nonostante sette album preziosi prodotti fra il 1992 e il 2004, a un certo punto Spencer ritenne che in quella direzione non aveva più nulla di nuovo da dire: la strada era ormai tracciata e decise di esplorare nuovi lidi, conscio dell'autorevolezza che ormai gli veniva attribuita.
Si imbarcò quindi nel progetto Heavy Trash, in compagnia di Matt Verta-Ray, già bassista nella formazione alt-rock newyorkese dei Madder Rose e membro aggiunto dei Blues Explosion in alcuni tour.
"Midnight Soul Serenade" è il terzo capitolo di questa nuova saga, nella quale il duo indossa i panni di novelli rock-a-billy heroes.
Ovviamente parliamo di un rock-a-billy ristrutturato attraverso le lenti di Jon Spencer, quindi fortemente deviato e intriso di chitarre ruvide e malsane, dove permane la presenza di inequivocabili elementi garage, blues e alt-country.
Ma stavolta la rivoluzione non avviene: non si riesce a replicare la forza d'urto della straordinaria esperienza dei Blues Explosion, e gli Heavy Trash vengono risucchiati in un vortice fifties ormai fuori dal tempo.
Certo è un bel divertissement, ma sentire Spencer scimmiottare Elvis per il terzo disco consecutivo non è esattamente quanto ci saremmo attesi da un artista del suo spessore. Non è il primo intoccabile degli anni 90 a lasciare perplessi, ma rispettiamo la sua scelta di non voler più rappresentare la figura dell'eroe di rottura.
Con l'avvento dell'età di mezzo, sceglie di dedicarsi a ciò che lo fa divertire nella maniera più spensierata possibile. E lo fa in grande stile, circondandosi di ottimi musicisti, in grado di facilitargli il compito nell'assemblare undici composizioni fresche, dinamiche e anche divertenti.
Noi lo continuiamo a preferire quando si dedica ai ritmi serrati e sopra le righe di "Bumblee Bee" e "(Sometimes You Got To Be) Gentle", e gli riconosciamo che anche i momenti più narcotici e allucinogeni (la story song "The Pill", la più root "Bedevilment") non gli riescono poi così male.
La breve "Pimento" è di una gradevolezza unica (Tarantino prenderà nota, statene certi...), mentre i due estremi del disco (l'iniziale "Gee, I Really Love You" e la conclusiva "In My Heart") ci spediscono dritti nei sogni anni 50 dei nostri genitori.
Il resto delle composizioni non fa altro che evidenziare come Jon Spencer abbia dato il meglio di sé in altri momenti.
Senza perdere una virgola della propria sensuale brutalità, e con le chitarre che continuano a sferragliare, Spencer prosegue il suo percorso atto a ridisegnare le strutture portanti della musica americana. Ma la revisione del rock'n'roll a stelle e strisce non passa più da queste parti.
26/11/2009