Fad Gadget, o se volete la luna scura di Frank Tovey. Il suo alter ego. Come il giorno e la notte. Osannato e celebrato come artista anticonvenzionale e di avanguardia, eclettico e bizzarro, pop e sperimentale, geniale e trasgressivo, una morte che l’ha ghermito all'improvviso e troppo presto. Per pochi, ma non per tutti.
Francis John Tovey nasce a Londra nel 1963, ma è solo con il trasferimento a Leeds, in gioventù, che si forgia quell’incredibile personaggio che diventerà da lì a poco uno dei pionieri più influenti della new wave elettronica.
Prima fermata, la Metropolitan University, detta anche volgarmente Politecnico (dove si fa le ossa pure la premiata ditta Almond/Ball prima di diventare Soft Cell). È qui che, appena adolescente, decide che il suo futuro sarà comunque nell’arte: artista di strada, di teatro o di cabaret non importa, purché sia. La musica, sua vera passione fin da bambino, per il momento viene messa da parte. Ai tempi della scuola, ossessionato dall'idea di Iggy, Bowie e Bolan, aveva anche provato a prendere lezioni di chitarra, senza grandi risultati. In realtà si sente insicuro, negato per qualsiasi strumento, non gli piace nemmeno il timbro della sua voce. Il Politecnico, così, diventa una scelta quasi obbligata. Gli anni trascorsi a Leeds, dove studia arti visive, recitazione e mimo, saranno comunque fondamentali per la sua formazione, insieme agli insegnamenti del maestro Lindsay Kemp. Siamo quasi alla fine degli anni 70, e l’ampia diffusione a basso costo di apparecchiature elettroniche permette di comporre musica anche a chi di fatto non ha alcuna preparazione tecnica. Un nuovo approccio attitudinale, che da lì a poco diventerà assolutamente comune a tutte le nuove band inglesi e non solo.
"Vidi la musica elettronica diventare più punk del punk: non dovevi imparare alcun accordo, bastava schiacciare sulla tastiera e veniva subito fuori qualche suono interessante" (Daniel Miller, 2013).
A Frank viene perciò quasi automatico arricchire le sue prime ingenue, acerbe pièces teatrali con un accompagnamento musicale. Un vecchio tape recorder Grundig opportunamente rimaneggiato, una piccola drum machine Korg e un piano elettrico di poche pretese si adattano perfettamente allo scopo. Tornato a Londra, si sistema in una casa popolare, in coabitazione. Prende possesso di un piccolo armadio a muro dove si rinchiude durante il giorno con i suoi “giocattoli", iniziando a comporre alcune musiche.
Uno di questi primi esperimenti diventerà uno dei brani migliori della prima ora, “The Box", dove già il titolo rievoca quell’ambiente claustrofobico, quasi privo d'aria, in cui abbozza le prime idee. Risalgono a questo periodo le song che poi confluiranno nel primo album anche se, chiaramente, allo stato si tratta di demo molto basici, quasi embrionali. È tempo anche di crearsi un nome d'arte, un moniker che possa attirare l’attenzione: la scelta cade su Fad Gadget, semplice e accattivante perché fa venire in mente un prodotto da supermercato.
Il coinquilino Edwin Pouncey, giornalista musicale e futuro attore comico (diventerà famoso come Savage Pencil), rimane impressionato dalle prime bizzarre esibizioni e dalla musica che proviene dall'armadio, influenzata da tutto ciò che si ascolta in casa, e cioè Kraftwerk, i dischi di Bowie della fidanzata di Frank e il singolo di The Normal.
L’anno precedente, infatti, uno sconosciuto Daniel Miller, armato solo di sintetizzatore e drum machine, registra un 45 giri che entrerà nella storia della musica inglese. Il singolo, con i brani “Warm Leathrerette/TVOD”, distribuito nell’ottobre 1978 con lo pseudonimo di The Normal, ottiene subito grande visibilità nel circuito alternativo. E ovviamente a casa Miller cominciano ad arrivare demo e cassettine in quantità industriale da parte di band o presunte tali, che lo immaginano erroneamente a capo di qualche casa discografica.
Daniel, lasciando intravedere già all’epoca un grande fiuto per gli affari, e non soltanto musicale, decide di aspettare il profilo giusto per dar vita a una collaborazione e, perché no, fondare una label. L’occasione la fornisce lo stesso Pouncey, che gli parla in termini entusiastici di quello che ha sentito e visto filtrare dall'armadio dove tutto accade. Dopo aver ascoltato un paio di demo nella sede della Rough Trade, portati lì dallo stesso Frank, Miller capisce subito che quel ragazzone di bella presenza, modi gentili e dall’approccio timido, fa al caso suo.
Nel luglio 1979 Fad Gadget, e questa è storia, diventa il primo artista a firmare per la Mute Records. Negli RMS Studios il duo registra subito il 45 giri “Back To Nature”, superbo brano a tinte darkeggianti, un intro ottenuto con oscillazioni di synth che riproducono suoni simili al cinguettio degli uccelli, e un ritmo monocorde in stile industrial sulla scia del sound di “Warm Leatherette”. Il pezzo, che ironizza sulle persone che vogliono tornare in mezzo alla natura pretendendo di portarsi dietro tutte le comodità possibili, diventa in un amen un cult della scena elettronica indie.
I riscontri di vendita non sono ancora esaltanti (arriva a un soffio dalla top 40), ma non sfigura di certo accanto ad altri grandi singoli del periodo, provenienti anch’essi da etichette indipendenti. Per esempio “Being Boiled” degli Human League, “Nag Nag Nag" dei Cabaret Voltaire o “Hot On The Heels Of Love” dei Throbbing Gristle. A corredo di tutto, una bellissima sleeve in bianco e nero che riprende Frank nudo, di spalle, fotografato dalla fidanzata Barbara Frost.Nelle settimane a cavallo dell’uscita di “Back To Nature”, si riescono anche a organizzare alcune date. Il primo concerto assoluto a nome Fad Gadget si tiene il 18 luglio al Moonlight Club, dove nella stessa serata suonano anche i Monochrome Set. Il riscontro è assai modesto, e non soltanto per le poche presenze. Il problema principale è che lui, da solo sul palco, deve giocoforza limitarsi a starsene buono e fermo dietro a un synth, muovendosi al massimo per azionare i backing tapes. Nessuna possibilità di interagire col pubblico, quindi, che per lui equivale a essere messo in gabbia. Decide così di formare una live band con due tipi belgi, Jean Marc Lederman e Philip Wauquaire, che si occupano di suonare i sintetizzatori lasciandolo libero di muoversi sul palco a suo piacimento. Ed è così che iniziano a prendere forma quelle memorabili performance che faranno storia.
Stante l’ancora limitata capacità dell'artista di sfruttare al meglio le opportunità dello studio di registrazione, Miller è guida, produttore, musicista e quasi fratello maggiore. C’è sempre lui ai comandi in “Ricky’s Hand”, secondo singolo che arriva nei negozi all’inizio del 1980. Un accenno di melodia rallentata in apertura (che ritroviamo poi nel ritornello), lascia spazio a un ritmo elettronico insistente, serrato, che si intreccia con una ipnotica bass line. Un incastro perfetto di atmosfere industriali, battezzate anche dal trapano Black & Decker, a suggellare un brano clamoroso, ironico e teatrale anche nel testo (una sorta di ammonimento sarcastico a non mettersi alla guida in stato di ebbrezza).
La copertina del 45 giri, con il disegno di una mano che viene bruciata - con tanto di fumo verso l’alto - dalla birra fuoriuscita da un bicchiere, è l’esempio lampante della genuinità un po' naïf di questo primo periodo “militante", ma anche della voglia, in casa Mute, di proporsi come una label davvero innovativa e alternativa, anche negli aspetti grafici e comunicativi.
A quel tempo, i neonati Depeche Mode iniziano la gavetta nei piccoli club della provincia londinese, ed è appunto in uno di questi, il Bridgehouse di Canning Town, che Miller, presente in qualità di addetto al mixer per il concerto di Gadget, li vede in azione per la prima volta. Gore e compagni fanno da opening act per l’artista più famoso, che per loro, soprattutto per Dave Gahan, è un vero e proprio idolo. Esiste anche la data, 12 novembre 1980, e in Rete è possibile reperire la locandina della serata. Ma questa è un’altra storia.In attesa che la carriera dei Mode decolli in tutto il suo splendore, la sinergia tra Miller e Fad è ormai totale, e quest’ultimo si presta volentieri a impersonare la parte di Darryl, cantante immaginario di un gruppo altrettanto immaginario, i Silicon Teens. Nulla più che un’abile operazione musicale/commerciale che vede al timone il solo Miller, che si inventa letteralmente un disco di canzoni rock’n‘roll anni 50/60 riarrangiate in una nuova veste techno-pop, spensierata e danzante.
"Music For Parties" (il titolo dice tutto), è importante soprattutto perché è il primo 33 giri stampato e pubblicato dalla Mute. Il singolo estratto, “Memphis Tennessee”, ottiene un buon riscontro nelle chart indie Uk, e ne viene girato pure un clip, ambientato in una ipotetica sala feste del Titanic, dove Fad appare al fianco di un Miller capellone e praticamente irriconoscibile, nonostante in realtà non abbia partecipato al disco e i vocals, come già detto, siano attribuibili a quest’ultimo.
I tempi sono ormai maturi per cimentarsi sulla lunga distanza, e così Frank entra ai Blackwing Studios, situati nel sud di Londra, per registrare il suo primo album. La sala, utilizzata negli anni 80 dalla quasi totalità degli artisti Mute, era stato individuata da Miller, alla ricerca di uno spazio grande e facilmente fruibile dove sistemare i suoi sintetizzatori. Lo affianca un team coi fiocchi, capeggiato dallo stesso Miller con i collaboratori John Fryer ed Eric Radcliffe, presentissimi anche nei primi dischi targati Depeche Mode e Yazoo. Una formazione talmente collaudata nella struttura e nei compiti che la si potrebbe elencare come fosse una squadra di calcio: Londra, Blackwing, Miller, Fryer, Radcliffe, Mute e così via, aggiungendoci ogni volta l’artista di turno.
Fireside Favourites esce il 1 ottobre 1980, e presenta ovviamente temi musicali già sperimentati nei primi due singoli. Un’elettronica scarna, sincopata, retta da ritmi sintetici e in alcuni pezzi anche da strumenti più tradizionali come basso, chitarra e batteria acustica. Note e suoni ammantati di una atmosfera algida, glaciale, una sorta di electrowave minimale con venature industrial e un’attitudine punk nell’uso delle macchine ormai collaudato.
Ma l’approccio rimane ben diverso rispetto a quello di altri artisti a cui viene accostato, per esempio Cabaret Voltaire, Human League, Ultravox e John Foxx, Gary Numan. Sono tempi in cui si fa a gara nell’apparire glaciali e rigidi dietro le macchine, come i Kraftwerk insegnano.
Ma per Gadget non è così. La tecnologia è perfettamente funzionale al suo ruolo di one man band e gli permette di fare la musica che più gli piace, ma arrivando dalla recitazione e dalle arti cabarettiste ha bisogno del contatto fisico con il pubblico, vive per esibirsi, usa il palco come un campo di battaglia. E' più un Iggy Pop del circuito underground, un clamoroso animale da palco che trova sfogo nei modi più teatrali possibili. E non a caso la sleeve dell'album lo cattura in primo piano, camicia aperta col microfono in mano e sguardo spiritato. Nulla di più lontano dalla luce asettica di "Metamatic" o dal gelo robotico di "The Pleasure Principle".
Fireside Favourites lascia intravedere buone potenzialità, anche di songwriting, sebbene non presenti grandi aperture melodiche, e arriva solo a sfiorare la sintesi musicale che l’artista ha in mente e che maturerà nei dischi successivi. Si opta per non inserire in tracklist i precedenti clamorosi due singoli, e di questa coerenza va sinceramente dato atto.
Prevale un certo pessimismo di fondo e una sfiducia abbastanza marcata nel genere umano, con testi che insistono sull’inquietudine, sull’ossessione della società per l'automobile ("Pedestrian") e sulla noia di vivere le relazioni di coppia, comuni alla sua generazione (“Coitus Interruptus”).
Alcuni brani sono quasi un esperimento teatrale, una sorta di cabaret decadente e un po' sinistro, dove vengono presi in giro i mormoni (“Salt Lake City Sunday”) o si descrive il mondo con gli occhi di una mosca (“Insecticide”). La title track (senza però la esse finale) è anche singolo, ritmo quasi ondeggiante e suoni che sembrano lo swing di un clacson che suona a ripetizione, un testo dove una conquista femminile è il pretesto per affrontare il tema dell’incubo nucleare. Sicuramente un ottimo brano, ma forse poco adatto come primo singolo.
Grande attenzione è dedicata alla batteria di Nick Cash, combinata con le percussioni elettroniche, che in alcuni episodi, per esempio “State Of The Nation” e "Coitus Interruptus” che poi sono anche tra i brani di punta, portano a un ritmo sincopato e quasi funky. “Newsreel" con le sue sonorità e ritmi quasi noise si avvicina a certa produzione numaniana del periodo dei Tubeway Army, "The Box" è presente in versione alternativa (e purtroppo meno incisiva) rispetto a quella inserita come lato B nel 45 giri “Back To Nature” ed è anche uno dei primissimi brani composti dall’artista nel famoso armadio a muro. Chiude "Arch Of The Aorta", splendido strumentale con backing vocals in loop che riprendono un dialogo tra medici e paziente. Visto il titolo, quasi un sinistro presagio.Con la pubblicazione del disco arriva il bello. Cioè il primo tour continentale in piccoli club quando va bene, cantine e pub nella maggior parte dei casi. I comportamenti on stage diventano sempre più trasgressivi, pericolosi, estremizzati al limite dell’autolesionismo: lanciarsi sulle prime file, arrampicarsi sulle impalcature del locale di turno, ormai, sono atti all’ordine del giorno, così come strapparsi capelli e peli pubici. E ancora, lame affilate usate come rasoi, schiuma da barba a coprire viso e corpo (tiene sempre una bomboletta spray in tasca), il microfono a filo lungo utilizzato come oggetto contundente da stringersi al collo e per colpirsi in fronte. Sangue, escoriazioni, occhi neri e lividi ovunque.
Durante un concerto londinese si rompe la testa nel tentativo di suonare con la stessa un pad elettronico; ricucito con decine di punti al Charing Cross Hospital, torna sul palco poco dopo con la testa bendata e ancora sanguinante, vestito in camice bianco.
Qualche anno dopo si spezzerà i tendini di entrambe le gambe nel tentativo di saltare sui gradini durante uno show al Paradiso di Amsterdam. E nonostante tutto, strisciando per terra, riesce attraverso un cunicolo a tornare sul palco e a concludere il concerto! Questo è Fad, laddove Frank nel privato a detta di musicisti, amici e collaboratori, è la persona più umile, mite e accomodante che sia possibile incontrare.
Nel marzo 1981 viene pubblicato un nuovo doppio singolo, “Make Room/Lady Shave”. È l’ultima occasione in cui Miller partecipa attivamente al lavoro in studio, preferendo per il futuro dedicare tutto il suo tempo ai Depeche Mode. Più convenzionale e simile alle atmosfere di Fireside Favourites il lato A, mentre “Lady Shave” con pad e percussioni elettroniche ad accompagnare e impreziosire l’incedere gelido e marziale dei synth, diventa ben presto un classico nei live e pure nei dancefloor alternativi. La voce di Frank qui è al top, alternandosi tra sensualità e schizofrenia, urla sguaiate e linee suadenti.
Pochi mesi dopo è la volta del secondo album Incontinent, che già dal titolo si presenta di non facile presa, con pochissime velleità commerciali; mancano ancora le melodie e quei riff accattivanti che arriveranno solo nel disco successivo. La sleeve, bellissima, è opera di Anton Corbijn (che qui comincia la sua collaborazione con Gadget), e ritrae l’artista vestito e truccato da Punch, il celebre personaggio del teatro dei burattini di Punch & Judy. E se è vero che spesso la copertina non fa altro che anticipare i contenuti di un album, qui la regola è confermata da una certa atmosfera teatrale che pervade le nove tracce del disco. Il continuo andirivieni tra Europa e America, con viaggi estenuanti e non certo comodi tra un concerto e l’altro, provoca sul suo equilibrio mentale una pericolosa rottura, la cui conseguenza è un lavoro dall'andamento spesso rumoristico e cantilenante, meno energico e assai scarno negli arrangiamenti.
Poche sonorità industriali, rispetto a Fireside Favourites, elettronica più ovattata e uso maggiore di strumenti tradizionali (alcuni assai bizzarri come lo scacciapensieri e la fisarmonica), con backing vocals femminili e percussioni quasi tribali sparse un po' ovunque. Solo in pochi brani, tra cui “Swallow It”, il secondo singolo “King Of The Flies” e “Plain Clothes” in chiusura, ritroviamo il Gadget più wave e perciò più “tradizionale”, mentre l’apripista “Saturday Night Special”, con liriche dedicate alla violenza e al possesso di armi all’interno delle famiglie americane (argomento quantomai attuale peraltro), è una sorta di lento decadente e malinconico in chiave acustica, con atmosfere orientaleggianti. Non certo il pezzo ideale da inviare alle radio per promuovere il nuovo album. Ben tre gli strumentali presenti: “Incontinent”, convincente affresco minimal-electro, “Manual Dexterity” e “Diminished Responsibility”, episodi quasi esclusivamente rumoristici.
Nel complesso, un’opera meno riuscita rispetto all'album di esordio. La formula musicale che si va delineando non fa altro che anticipare quanto faranno, con molta più visibilità e successo, i Depeche a partire da "Construction Time Again". E cioè fondamentalmente un'intelaiatura pop sulla quale viene cucito un vestito all'occorrenza elettronico, più classico o rumoristico. In ogni caso, sperimentale.
È lui a introdurre per la prima volta i campionamenti più disparati, dai rasoi elettrici al trapano Black & Decker passando attraverso i suoni della natura, le bottiglie di vetro e i metalli da percuotere ancora prima degli Einstürzende Neubauten.E’ del 1981 anche la collaborazione con Boyd Rice, meglio conosciuto come NON, signore del rumore e grande sperimentatore del noise inteso come suono, che sfocia in un album a doppio nome Tovey/Rice (curiosamente qui Frank non usa il moniker). Suite strumentali denominate “Extraction 1-12”, non certo di facile ascolto come facilmente si evince dal titolo ironico Easy Listening For The Hard Of Hearing.
Ed è proprio Frank a volere un disco più astratto e sperimentale, mentre Rice avrebbe gradito qualcosa che si avvicinasse di più al pop. In ogni caso, abbiamo a che fare con dodici piccoli esperimenti noise ottenuti “giocando” con le macchine: qualsiasi oggetto presente in studio in grado di produrre rumore viene campionato e finisce su disco. Che peraltro uscirà solo tre anni più tardi, sempre per la Mute. Nel 1985 i due suoneranno il materiale in alcuni istituti e gallerie di arte contemporanea, ma senza suscitare particolare interesse di critica e pubblico.
Senza nemmeno prendersi il classico anno sabbatico, Fad entra in studio a inizio 1982, sempre ai Blackwing, riducendo i collaboratori e servendosi per la produzione del solo John Fryer. Il risultato sarà il suo disco più riuscito, più elettronico e più politico: Under The Flag, album maestoso in cui techno-pop di classe e spinta innovativa convivono felicemente, col desiderio di spingersi per la prima volta verso un pubblico più ampio. Il taglio sociale e politico dell’album è evidente fin dal titolo e dalla copertina, sempre ad opera di Corbijn: questa volta l’artista è inquadrato di profilo, un’ombra completamente nera su sfondo bianco intenta a reggere una sorta di bandiera immaginaria. Il buon Anton se ne ricorderà, quasi 35 anni dopo, per l’artwork di "Spirit" dei Depeche Mode.
Un disco quindi più accessibile dei precedenti, ricco di spunti creativi e melodie efficaci, impreziosito da alcune gemme che rimarranno nel tempo a venire. L’ultilizzo per la prima volta del sequencer Roland MC-4 MicroComposer lo aiuta nella composizione dei brani, e il disco suona magnificamente, fresco e attuale. Aumenta l’apporto dei backing vocals femminili, con la presenza illustre di Alison Moyet, ancora ma per poco voce degli Yazoo, e pure di Barbara Frost, nel frattempo diventata sua moglie.
Due sono le circostanze che influenzano in modo decisivo il lavoro: la guerra delle isole Falkland tra Inghilterra e Argentina, da lui fortemente osteggiata, e la nascita della prima figlia. I testi ovviamente ne sono impregnati, con riferimenti al conflitto in corso, alla povertà, alle tensioni sociali e alle misure repressive dei conservatori. Un'istantanea perfetta di quella che è l'Inghilterra nel 1982, sotto il governo Thatcher. E, anche qui, in anticipo rispetto ad altre band che lanceranno i loro strali contro la leader dei Tories, Depeche Mode ovviamente ma pure Test Department e, in altro contesto musicale, gli Style Council di Paul Weller.L’intro “Under The Flag I”, posta in apertura, chiarisce in pochi secondi quello che sarà il mood del disco: sequencer e drum machine a menar le danze, con chirurgici riff di synth ad aprire le melodie, e voce severa, monocorde, quasi una litania recitata, a ricamare. Le successive “Scapegoat” e soprattutto “Love Parasite”, altro singolo classico con la sua ipnotica bass line, si muovono attraverso queste coordinate, con inserti improvvisi di nenie e voci infantili in sottofondo.
“Plainsong” è di fatto una canzone a cappella, retta quasi esclusivamente da voci e cori, che sostituiscono la musica in un crescendo di pathos ed emozione. Ma è solo un attimo: il disco risale subito di bpm con “Wheels Of Fortune”, buon connubio tra pop e wave con il sax a impreziosire la melodia, cori e voci in falsetto ovunque.
"Life On The Line" è la canzone synth-pop per eccellenza, introdotta da un efficacissimo riff che sorregge tutto il brano, strofa e ritornello come marchio di fabbrica del genere. E infatti viene scelta come singolo che precede l’album, ne anticipa le sonorità e farà pure una rapida apparizione nelle chart britanniche.
Si arriva così a una delle punte del disco, “The Sheep Look Up”, che parte minimale, scarna, lenta, severa, e via via si arricchisce di cori, suoni e percussioni, sino al maestoso e onirico finale orchestrale. “Cipher” è un viaggio introspettivo e notturno, malinconico, cadenzato da note severe di piano (sembra quasi di sentire gli Yazoo più cupi di “Winter Kills”), “For Whom The Bells Toll” con percussioni e suoni sintetici distorti a reggere il ritmo viene scelta come terzo singolo, e il tutto si chiude laddove era iniziato, con una reprise del brano di apertura: diversa linea vocale, quasi uno spoken word, su base simile.
Curiosamente, nello stesso anno viene pubblicato su 45 giri un brano escluso dall’album, e cioè “I Discover Love”, probabilmente a causa delle sonorità più leggere di pure pop con venature soul, che lo fanno somigliare più a certa roba Motown, sulla falsariga di alcuni brani dei Soft Cell.
Il tour promozionale, interrotto a causa dell’incidente di Amsterdam, gli consente di avere più tempo per riordinare le idee e apportare alcuni cambi significativi. Il successivo Gag, infatti, che vedrà luce solo nel 1984, è anche il primo album frutto del lavoro corale di una band, dove i musicisti avranno più peso rispetto al passato, collaborando anche alla stesura dei testi.
Non solo, si decide anche di registrare il disco lontano da Londra, e precisamente agli Hansa Studios di Berlino, città carismatica e per certi versi misteriosa per via del muro, nonché centro nevralgico di stili e tendenze musicali. Il cuore della vecchia Europa non ancora unita, insomma.
L’elettronica non viene abbandonata, ma il processo creativo è incentrato più sul concetto di gruppo. In questo, Fad si dimostra come al solito originale e controcorrente. Era stato tra i primi a utilizzare i sintetizzatori, quando ancora non erano cool, e adesso che la moda si è sparsa ovunque contagiando non solo il pop, opta per una virata improvvisa verso un suono più sanguigno, quasi rockeggiante nella sua esecuzione. Le ossessive trame elettroniche di Under The Flag così cedono il passo a una maggiore presenza di chitarre e altri strumenti acustici. Gli arrangiamenti amplificano ed esaltano le doti vocali e istrioniche dell’artista, che più di una volta viene invitato come special guest in location di culto. Per esempio, alla Royal Albert Hall dove suona due sere di seguito con Siouxie & The Banshees.Un fattore importante in Gag è l’influenza degli Einstürzende Neubauten, che registrano agli Hansa nello stesso periodo, nella sala accanto. Fad se ne innamora quando gli aprono lo show al Loft, armati di martello pneumatico con il quale letteralmente distruggono il pavimento del club. Gli oggetti bizzarri di cui si servono sul palco per creare musica costituiscono un’attrattiva formidabile e gli suggeriscono un approccio simile. In particolare, attira la sua attenzione un vecchio torchio tipografico posto al piano terra del grande appartamento dove alloggia la band. In funzione, la macchina da stampa produce in loop un ritmo accattivante, e così viene chiesto all’ingegnere di studio Gareth Jones di campionarlo, con interventi aggiuntivi di batteria e percussioni ottenute battendo su bottiglie mezzo piene. Il suono così ottenuto diventa la base di “Collapsing New People”, maestoso singolo pubblicato a fine ‘83. Probabilmente il vertice mai più superato. Euforico e soddisfatto del risultato ottenuto, Gadget chiede alla band teutonica di lavorare a un remix del brano. Il Berlin Mix esce nel 12’ del singolo e presenta alcune variazioni, percussioni aggiuntive e un diverso missaggio.
Anche il titolo del brano è influenzato decisamente da Blixa Bargeld e compagni. In lingua inglese, infatti, "eistürzende neubauten" si traduce "collapsing new buildings". Il testo invece è una metafora dei giovani di berlinesi, immaginati sempre sul punto di crollare per via degli abusi tossico-alcolici a cui sono dediti.
L’album esce qualche mese più tardi, con una sleeve che rappresenta il vero capolavoro di Anton Corbijn fra tutti i lavori realizzati per l’artista. La foto lo ritrae in una posa decisamente teatrale, lingua di fuori, nudo e coperto di terra e piume.
Anche questa volta, è sufficiente l’intro di “Ideal World” (e il cui titolo forse non è casuale) per capire dove si va a parare, con batteria e basso a guidare la sezione ritmica e i synth ridotti a cesellare e non più centrali. Anche il cantato si adegua, la voce aggressiva, a tratti rauca, sofferta, usata come uno strumento.
Rimangono a fare da trait d’union col passato qualche episodio più intimo, con carillon e immancabili cori e voci di bambini (“Sleep”), e anche i pezzi più leggeri come “Speak To Me” e il secondo singolo “One’s Man Meat”, che possono essere visti in chiave più tradizionale pop-rock. Il finale si muove tra l’atmosfera eterea, sognante di “The Ring” e il lungo outro violinistico di “Ad Nauseam”, che chiude ufficialmente l’era Fad Gadget.
D’ora in poi infatti l’artista decide di presentarsi al pubblico col suo vero nome. In Inghilterra ormai Fad Gadget si è costruito una solida reputazione in ambito underground e viene inserito nelle classifiche alternative nonostante si senta fondamentalmente un artista pop. Convinto di non poter modificare questa percezione, preferisce liberarsi di un’etichetta che in fondo non lo rappresenta, o almeno non lo rappresenta più.
Anche la paura di diventare ripetitivo ha un suo peso. Si fa strada la consapevolezza di aver ormai provato tutto il possibile in campo elettronico, e questo lo spingerà col tempo verso una musica più tradizionale, pur rimanendo intatta l’attitudine alla sperimentazione.In realtà il passaggio alla nuova fase non è traumatico ma avviene molto gradualmente.
Nel 1986 la Mute pubblica una raccolta ufficiale di singoli e, dopo la parentesi del side-project MKultra insieme agli esperti di arti visive Malcolm Poynter and Simon Stringer, che produrrà un solo 45 giri in ambito industrial-dance (“Immobilise”), l’esordio a nome Tovey avviene con Snakes And Ladders, dove Frank si ricicla novello pistolero spaghetti-western (così appare nella sleeve), pronto a sparare a zero contro falso perbenismo e lussuria compiacente delle classi borghesi. Ci muoviamo tra Saint Tropez e dintorni insomma, yacht e diamanti, cocaina e champagne.
L’album è godibilissimo: un synth-pop fresco e leggero, ma senza quella forza dirompente, la sperimentazione e la lucida follia presenti invece nei lavori a nome Gadget. L’intento infatti è dichiaratamente mainstream, ovvero cercare di arrivare al grande pubblico e soprattutto aggredire il mercato americano. “Luxury”, singolo apripista, sembra funzionale allo scopo: un brano di stampo classico e dall'atmosfera suadente, che si snoda attraverso un efficacissimo arpeggio/riff di synth iniziale e una melodia sensuale e orecchiabile, quindi perfetto per fare da traino. In studio il team di lavoro è quello dei vecchi tempi: ci sono Daniel Miller ed Eric Radcliffe, con l’aggiunta del tecnico del suono Flood, agli inizi di una luminosa carriera che lo vedrà poi lavorare con U2 e Depeche Mode.
“The Cutting Edge”, in apertura, è un mix perfetto di percussioni, incursioni di chitarra acustica e suoni elettronici. La title track scorre veloce come un vecchio treno sulla West coast, ma è soprattutto “Shot In The Dark”, fischi in sottofondo e un’atmosfera da O.K. Corral con lungo e maestoso finale sintetico, a rappresentare uno dei picchi dell’album. Come Morricone che incontra l’electropop. Gradevole anche il secondo singolo, “Luddite Joe”, un pop nervoso e psicotico che ironizza sull’ossessione delle persone per la tecnologia, un amore-odio che è stato una costante della carriera di Tovey.
Nonostante il tutto alla fine risulti assai gradevole e nonostante “Luxury”, l’operazione non decolla, perché il disco è troppo easy per i vecchi fan e allo stesso tempo troppo alternativo per le masse generaliste. Il flop convincerà Frank a indirizzarsi per il futuro su coordinate del tutto differenti, senza più badare ad alcuna logica di music business.
Una preziosa testimonianza del suo nervosismo dell’epoca verso tutto ciò che è mainstream si può trovare nell’esibizione in playback in un programma televisivo tedesco (in questa pagina il video tratto da YouTube) registrato all’aperto, dove Frank, apparentemente calmo e in controllo, si scatena all'improvviso scagliando per terra tutta la strumentazione e lanciando i synth verso il pubblico sbigottito, prima di essere portato via a forza dai responsabili della trasmissione.
Dopo un anno di silenzio, nel 1988 esce Civilian, che davvero può essere considerato come l’inizio del nuovo corso. Si ritrovano in tre a lavorare ai Sawmills Studios di Londra: Frank, Mark Jeffery che suonerà la batteria e le percussioni in tutto il disco, contribuendo anche alle liriche in alcuni brani, e il produttore Rico Conning, nuovo acquisto della scuderia Mute, che l’anno successivo sarà a fianco di Martin Gore nel suo "Counterfeit Ep". Un album volutamente low-profile, quasi fatto in casa, sleeve anonima e poco marketing, come se l’artista avesse pianificato una partenza soft, senza clamore. La grande novità è il singolo “Bridge St. Shuffle", una canzone modern-folk con tanto di distorsioni ed effetti di pedale, che parla di un format televisivo dove la gente si suicida. Il video, girato in bianco e nero in un sobborgo della periferia londinese, inquadra il protagonista sopra un camioncino in movimento mentre canta e suona il banjo, accompagnato da un batterista che percuote i tamburi.
In realtà, il brano è assai deviante, in quanto Civilian non è un disco folk, anzi. Assente l'elettronica, rimane l’attenzione maniacale per il ritmo, presente in modo massiccio in ogni brano (non a caso l’unico musicista coinvolto è un drummer). Una sorta di rock alternativo urbano, a tratti nervoso e spigoloso, a volte più leggero e con reminiscenze pop, ma alla fine sono poche le canzoni che rimangono. Tra queste, “From City To The Isle Of Gods”, episodio downtempo con arrangiamenti quasi orientali e gran lavoro sulle percussioni (in alcuni frangenti sembra di risentire addirittura i Japan di Tin Drum).
Di “The Brootherood” viene stampato dalla Mute un promo remix (evidentemente in origine era stato pensato come singolo), con un nuovo arrangiamento electro che ne esalta la potenza e il lungo finale. In ogni caso, uno dei pezzi di punta del disco. Si respira tensione, con suoni sinistri, atmosfera cupa e dilatata in “Diana” e “Unknown Civilian” (sorretta da un grande intro e con inserti strumentali più eterei), prima del finale scarno e tribale di “Disperate Dan”, sostenuta quasi esclusivamente da tamburi e percussioni.Il botto, o meglio la trasformazione definitiva, arriva invece con Tyranny And The Hired Hand del 1989, disco di protesta sociale composto da cover (dei brani in tracklist infatti solo “Midwife Song” è a sua firma) e realizzato in poco più di dieci giorni, così dicono le note di copertina. Una discesa totale e senza compromessi nel folk, suonato esclusivamente in acustico con mandolini, banjo, fisarmonica, pedal steel guitar, armonica, viola, fretless bass e piano. Una manciata di canzoni pescate dalla tradizione americana e inglese (per esempio, il singolo “Sam Hall”, brano tra l'altro ripreso anche da Johnny Cash), protest songs contro “i ricchi, gli avidi, gli usurai e gli affamatori, che il diavolo se li porti!” (da “Money Cravin’ Folks”).
Musicalmente, ma solo per quello, appare come un corpo estraneo “Men Of Good Fortune”, splendido affresco di Lou Reed contenuto in "Berlin" e qui riproposto in versione assai fedele. Il testo, che parla di cinismo e ricchezza in un mondo dove giustizia ed equità non sono contemplati, si sposa infatti perfettamente coi le tematiche affrontate nell’album. Stesso discorso per “North Country Blues” di Dylan, dove però, ci sia concesso, il cantato è tutt’altra cosa rispetto alle biascicate e monotone linee vocali del santone americano.
Tyranny And The Hired Hand è solo un antipasto, perché l’obiettivo è realizzare un disco tutto suo, dalle sonorità simili anche se meno estremo. Per questo non esita a collaborare con The Pyros, un gruppo di Irish folk di stanza a Londra, con cui entra in studio a registrare un album a firma congiunta. Un sodalizio che si protrarrà anche ai live e al lavoro successivo.Grand Union è un disco autobiografico, che trae spunto dalla vita musicale e personale del suo autore. Avendo notato che i posti a lui più cari, per esempio la Mute nella mitica sede di Arrow Road e pure lo studio di registrazione, così come i musicisti e i collaboratori, hanno come comune denominatore il fatto di risiedere nelle vicinanze del Grand Union, il canale che attraversa tutta Londra, Tovey compone con la chitarra acustica dieci pezzi “geografici", per poi lasciare al gruppo totale libertà in sede di arrangiamento.
Un metodo inusuale, che però regala freschezza alla musica e soprattutto toglie di dosso tutta la pressione che derivava dall’essere lui in prima persona a decidere tutto. Come raccontato nelle interviste dell’epoca, c'è un confluire tra due mondi diversi. Grazie ai Pyros, l’artista si avvicina maggiormente al folk, e di converso la band nella fase di registrazione acquista quei connotati elettrici che prima mancavano, perché lavorava solo in acustico in ambito bluegrass.
In studio Frank viene descritto come un vulcano di idee, sempre pronto a sperimentare nonostante le macchine e l’elettronica siano allo stato attuale solo un ricordo. Per l’occasione viene costruito anche un particolare banjo elettrico a 5 corde, dal suono sporco molto rock'n'roll, utilizzato negli assoli e in tutti i pezzi dell'album.
Il punto di domanda è se in questa veste l’artista possa interessare anche al pubblico che lo seguiva come Fad Gadget. Il salto è enorme, come si è visto, anche se la transizione è stata lunga. In realtà, da artista che da sempre ha rifiutato di etichettare la propria musica, per lui appare del tutto naturale spingersi in altre direzioni. Alla fine, al centro ci sono sempre le canzoni, comunque le si vesta.
E di belle canzoni, in Grand Union, ce ne sono parecchie. A partire da quel gioiellino di “Cities Of The Plain”, elegante midtempo dall’atmosfera suadente e malinconica. E, ripetiamo, siamo di fronte a un crossover tra classiche atmosfere celtiche e pop-rock più tradizionale, che rende il disco godibile anche per chi ha un background diciamo più alternativo. Se si riesce ad ascoltare senza pregiudizi.
Il video dell’omonimo singolo è girato in una fattoria a Isle Of Dogs, un’area a ferro di cavallo nell’est di Londra, vicino a Greenwich, delimitata per 3/4 dal Tamigi. Per la copertina dell’album viene utilizzata una foto scattata nella stessa location, con un palazzone a vetri a fare da contraltare, sullo sfondo, all’immagine bucolica dell’artista in sella a un cavallo. Riprendendo così il tema della speculazione edilizia in un’area tra le più povere di Londra dove Frank ha vissuto da bambino.
Nel successivo tour promozionale in giro per l'Europa, viene suonato il nuovo materiale ma anche, a sorpresa, qualche pezzo dell’era wave (“Back To Nature” e “Ricky's Hand”, ad esempio), opportunamente riarrangiato.Il secondo episodio della collaborazione con The Pyros (nella band irlandese nel frattempo si è aggiunto il batterista Laurence Doherty) segue a ruota l’anno successivo. Sorprendentemente, si opta per il ritorno ai mitici Blackwing Studios - l’ultima volta infatti era stata nel 1983 per la registrazione di “Under The Flag” - e viene richiamato anche lo storico tastierista Dave Simmonds. Sarà pure una coincidenza, fatto sta che porta fortuna, perché Worried Me In Second-Half Suite è senza dubbio l’album più riuscito tra tutti quelli usciti a firma Tovey. Ma le sorprese non finiscono qui: di folk infatti nelle undici tracce che lo compongono manco a parlarne.
Qui ci muoviamo sui binari di un rock particolarmente ispirato, che riveste melodie efficaci e mai banali, con venature blues e ricco di atmosfere ora acustiche ora elettriche. Prendiamo per esempio la title track, che chiude il disco: parte delicatamente, con accompagnamento acustico e un cantato suadente, per poi virare verso sonorità più dure, in un trionfo di distorsioni ed effetti di pedale a sfumare. Struttura utilizzata anche per l'opener “Chasing The Blues Away”, altro brano di punta.
Che dire poi del del singolo “All That Is Mine” (scelta perfetta) che si muove in equilibrio tra una strofa deliziosamente pop e un refrain tendente al rock?
Non ci sono pezzi minori, solo belle canzoni che risalterebbero anche in altra veste. Non a caso un paio di queste, clamorosamente riarrangiate in chiave elettronica, saranno inserite nella scaletta dei concerti del 2001/2002.
Frank ci sta dentro alla grande, con una voce profonda, tormentata e, come al solito, teatrale, che raggiunge il culmine interpretativo nel lento “Only Doing Your Job”, dove sembra quasi di ascoltare Nick Cave e i suoi Seeds. Si comporta da crooner consumato nel blues velocizzato di “Crow's Nest Blues" e in quello più classico di “Opportunity's Knocking”, impreziosito da delicati inserti di piano, è poetico e suadente in “You Won’t Get That From Me” e dylanesco nella lenta “Doing Time”.
E, a proposito di Dylan, che in questa fase è un'influenza esplicita e riconosciuta (vedi la cover presente in "Tyranny"), la sleeve del disco ritrae il nostro eroe in posa con una somiglianza anche fisica da lasciare senza parole.
Dopo il tour di Worried Me In Second-Half Suite, nel 1993, terminata l’esperienza coi Pyros, si cristallizza tutto. Non ci sono conferme in merito, e cioè se prevalga la noia di fare dischi, un calo di ispirazione o magari l’insoddisfazione per l’accoglienza ricevuta dagli ultimi lavori. Fatto sta che Frank sparisce completamente dalla circolazione per quasi otto anni, durante i quali si occupa di vivere la vita (op. cit.), e saltuariamente compone musiche per opere teatrali minori, su richiesta del regista Michael Vale, vecchio amico e compagno di scuola. Una, in particolare, è ambientata in un porcile e quando gli viene inviato il file audio con i grugniti dei maiali, manipolando il suono li trasforma in grida quasi umane e inserisce il tutto nella soundtrack “A Place With The Pigs” (particolare rivelato dallo stesso regista nella retrospettiva di cui parleremo a breve).
Tramite un’amicizia comune, la band austriaca Temple X gli invia un demo e, vista la reazione, lo invita a produrre il suo album d'esordio. Lui accetta volentieri, mette a disposizione un brano scritto in precedenza e tenuto nel cassetto, produce e si occupa del missaggio. Indovinate dove viene registrato il disco? Ai Blackwings, ovviamente.
La fiamma si riaccende pian piano, alimentata dall’invito da parte del gruppo di raggiungerli on stage alla prima occasione. A fine novembre del 2000, nel bel mezzo di un concerto dei Temple X in terra tedesca, sale sul palco e canta tre pezzi, tra cui “Ricky’s Hand”. Succede tutto in un attimo, nemmeno il tempo di sbarcare a Heathrow che viene contattato da un promoter che lo vuole headliner all’Elektrofest in programma il 15 aprile 2001 al Mean Fiddler di Londra. Ed è così che Frank, con un grandissimo coup de théatre, ritorna Fad. I vecchi pezzi dal vivo funzionano ancora alla grande, a distanza di vent'anni l'energia e la potenza rimangono intatte.
Alla serata presenziano sia Miller che Gore e Fletcher, e a quel punto viene automatica, alla Mute e ai Depeche stessi, l’idea di celebrare uno dei padri fondatori invitandolo ad aprire i concerti del prossimo Exciter Tour.
La label decide anche di pubblicare una nuova doppia raccolta rimasterizzata, contenente singoli, remix e qualche extended version. Per la copertina, viene utilizzata una bellissima foto che Anton Corbijn aveva scattato nel buio di una stanza d’albergo a Liverpool, nel lontano 1981, con Frank coperto completamente di schiuma da barba, immobile e simile a una scultura bizzarra.
Da lì in poi gli avvenimenti si susseguono a velocità impressionante: il tour europeo nelle grandi arene come special guest dei Depeche Mode, accompagnato dai Temple X, gli inviti ai festival europei per l'estate seguente, un tour in Giappone e America in via di definizione e la scrittura di materiale per un nuovo album a firma Fad Gadget.
In Italia, i concerti dell’Exciter Tour a Milano e Bologna sono i primi e gli ultimi a ospitare un suo show, e vedendolo al termine di un set infuocato saltellare felice verso il backstage sulle note finali di “Coitus Interruptus”, nessuno può lontanamente immaginare quello che succederà di lì a poco.
Nei primi mesi del 2002, ancora un sold-out al Garage di Londra e infine lo show al Sama Festival di Goteborg, Svezia, il 30 marzo. La setlist, oltre ai pezzi storici, recupera anche un paio di brani dell’ultimo disco a nome Tovey, e precisamente “Worried Men” e “Chasing The Blues Away”, riportati in auge con un nuovo, sublime arrangiamento electro (su YouTube è presente l'intero concerto di Goteborg, in qualità soundboard).
Tutto è eccitante, l'entusiasmo contagioso e la carriera di nuovo pronta a schizzare in alto. E invece arriva la fine: improvvisa, inaspettata e crudele come poche. Appena quattro giorni dopo il concerto in terra svedese, Frank muore nella sua casa di Londra per un attacco cardiaco a soli 45 anni, una vita non soltanto musicale davanti.
Uno statement della Mute del 5 aprile, due giorni dopo il decesso, comunica ufficialmente la notizia. A suo modo, vista cinicamente, è la quadratura di un cerchio, la chiusura di una storia bellissima iniziata con i Mode che gli aprono i concerti e che diventeranno poi famosi, e termina, per qualche segno del destino, con loro che restituiscono il favore. Purtroppo senza alcun lieto fine.E’ una tragedia immensa non solo per la famiglia, gli amici e gli storici collaboratori. La label perde uno dei suoi artisti più rappresentativi e di culto, Miller quasi un fratello. C’è sgomento e costernazione anche tra i labelmates, Depeche Mode in primis ovviamente, e per tutte le band che nel tempo hanno visto in Frank un’influenza e un punto di riferimento costante.
L’anno seguente, su input dei familiari, prende corpo l’idea di celebrarlo con un'opera omnia che comprenda oltre vent’anni di carriera discografica. Con il placet di Miller, vengono recuperati dagli archivi della Mute e di alcune televisioni europee decine e decine di tapes VHS, registrazioni inedite e tutto il materiale che poteva essere restaurato e quindi pubblicato.
Dopo un paio d’anni di lavoro, il risultato è la commovente retrospettiva Frank Tovey By Fad Gadget, composta da 2 cd 2 Dvd e contenente ore e ore di immagini e musica. L'audio, rimasterizzato, abbraccia anche i singoli (e pure gli episodi migliori) della fase Tovey esclusi dalle due raccolte precedenti e contiene una traccia mai pubblicata (“Sleeper”), i primi demo registrati nel mitico armadio della casa di West Kensigton a Londra e ritrovati in una cassettina audio, un brano tributo dei Temple X e ovviamente le top 5 preferite dai fan.
Le vere perle però si trovano nei Dvd, e non poteva essere altrimenti. Si parte dal documentario sull’artista con sottotitoli in italiano, diretto dalla figlia Morgan e contenente video girati in famiglia e nella vita di tutti i giorni, interviste, immagini in sala di registrazione, spezzoni di concerti. Lo ricordano con aneddoti, considerazioni personali e grande commozione Daniel Miller, Dave Gahan, Martin Gore, Boyd Rice, Anton Corbjin, gli storici collaboratori Nick Cash e Dave Simmonds, i Temple X, i Pyros, il giornalista Paul Morley, l'amico regista Michael Vale ed Edwin Pouncey.
E poi i promo video dei singoli pubblicati a nome Tovey, apparizioni televisive in playback e perciò splendidamente teatrali dell’era Gadget e lo short film “Grand Union”, girato dallo stesso Frank in occasione dell’uscita dell'album omonimo nel 1991.
Il secondo dischetto è invece dedicato alle performance live. Ci sono esibizioni a broadcast televisivi del 1982 e del 1983, il video di “Coitus Interruptus” tratto da un concerto a New York nel 1981, l’intero concerto tenuto all'Hacienda il 28 febbraio 1984, un estratto dall'Exciter Tour e infine lo show completo del Garage, gennaio 2002.
Nelle note del booklet la ricostruzione minuziosa, da parte dell’ex-moglie Barbara che ne ha curato il progetto, del lavoro e delle difficoltà riscontrate per la realizzazione della retrospettiva, e un ricordo di Marc Almond suo compagno al Politecnico di Leeds.
Addio Frank, riposa in pace, sei tornato troppo presto back to nature.
Frank was the first artist I ever worked with on Mute. He made some very special and influential records and was an exceptional live performer. He played a big part in helping to lay the foundations of what the label was to become in the ensuing years, i will miss him greatly.
(Daniel Miller)
FAD GADGET | ||
Fireside Favourites(Mute, 1980) | 7 | |
Incontinet (Mute, 1981) | 6,5 | |
Under The Flag (Mute, 1982) | 8 | |
Gag(Mute, 1984) | 7 | |
The Best Of Fad Gadget (Mute, 2001) | 7 | |
Fad Gadget By Frank Tovey (Mute, 2006) | 10 | |
FRANK TOVEY | ||
The Fad Gadget Singles(Mute, 1986) | 8 | |
Snakes And Ladders (Mute, 1986) | 6,5 | |
Civilian (Mute, 1988) | 6 | |
Tyranny And The Hired Hand (Mute, 1989) | 5 | |
FRANK TOVEY & THE PYROS | ||
Grand Union (Mute, 1991) | 6,5 | |
Worried Men In Second-Half Suite (Mute, 1992) | 7,5 | |
FRANK TOVEY - BOYD RICE | ||
Easy Listening For The Hard Of Hearing (Mute, 1984) | 6 | |
MKULTRA | ||
Immobilise (Mute, 1986) | 6 |
Fireside Favourites | |
Coitus Interruptus | |
Life On The Line | |
Ricky's Hand | |
For Whom The Bells Toll | |
Back To Nature | |
Tovey & Rice | |
Collapsing New People | |
Frank Tovey - Luxury | |
Frank Tovey - Bridge St. Shuffle | |
Frank Tovey - Sam Hall | |
Frank Tovey - All That Is Mine | |
Love Parasite | |
Lady Shave |